Praticamente in tutto il mondo occidentale, la politica economica degli Stati, o più esattamente la politica fiscale, è incentrata, a parole anche se (per fortuna) non del tutto a fatti, su un principio basilare.
Basilare e completamente sbagliato.
Il principio è che il debito pubblico sia un fattore d’impoverimento del paese. Un onere che vincolerà lo sviluppo dell’economia e incomberà sulle generazioni future.
Bene: il debito pubblico non è niente di tutto questo.
Il debito pubblico è uno strumento messo a disposizione di aziende e cittadini per impiegare il loro risparmio.
E il deficit pubblico produce risparmio finanziario nel settore privato dell’economia. Se lo Stato spende più di quanto tassa, il settore privato riceve più di quanto paga.
Il deficit pubblico può essere eccessivo se genera livelli di inflazione troppo alti. Ma tipicamente deve esistere, perché un’economia in sviluppo ha bisogno di una crescita tendenziale e graduale dei mezzi di pagamento in circolazione.
E come crescono i mezzi di pagamento, devono crescere anche gli strumenti di impiego del risparmio: funzione, come detto, svolta del debito pubblico.
Invece politici e media paludati nel 99% dei casi parlano, e purtroppo troppo spesso agiscono, come se il deficit e il debito fossero un male da estirpare, o quantomeno da limitare, contingentare, ridurre. Da limitare perché non si riesce ad azzerarli: ma l’ideale sarebbe raderli al suolo.
L’Occidente è in preda a un’isteria collettiva che
stiamo pagando a carissimo prezzo.