Il mainstream degli economisti e degli organi d’informazione è riuscito a mettere nella testa di larga parte della popolazione il concetto che il debito pubblico impoverisca il paese, e che di conseguenza sia necessario, essenziale, vitale, indispensabile ridurlo.
E’ un’affermazione completamente infondata.
Il debito pubblico in moneta propria può essere in qualsiasi momento estinto o rifinanziato dal paese che lo emette. Non è un onere, non crea vincoli di solvibilità.
Il debito pubblico corrisponde, centesimo per centesimo, a risparmio di chi possiede i titoli. E il debito pubblico di un paese, e in particolare dell’Italia, è tipicamente detenuto da residenti del paese stesso.
Il debito pubblico è una forma di impiego del risparmio privato che viene automaticamente generato quando lo Stato spende più di quello che tassa. I titoli di Stato sono risparmio, sono valore. Ridurre l’ammontare in circolazione non significa arricchire il paese. Al contrario.
L’eccesso di spesa dello Stato rispetto alla tassazione, cioè il deficit pubblico, oltre certi livelli (che non corrispondono a nessun limite numerico definito a priori) può essere da evitare in quanto inflazionistico. Ma questo è un altro discorso, che non ha nulla a che vedere con la solvibilità dello Stato.
I “vincoli di finanza pubblica”, nei termini in cui ne
parla il mainstream, sono una colossale mistificazione. Sono un problema creato
senza alcuna necessità. L’ha generato esclusivamente, per quanto riguarda l’Italia,
la decisione di aver rinunciato alla propria moneta. Senza alcuna ragione
economica.