domenica 25 agosto 2024

Fabio Panetta e le spese per l’istruzione

 

Fabio Panetta, l’attuale governatore della Banca d’Italia, sicuramente non è il peggiore degli euroausterici. Tra i governatori delle banche centrali eurozoniche è sicuramente schierato dalla parte delle colombe, non da quella dei falchi più retrivi e ottusi.

Però appartiene al mainstream economico, quindi aspettarsi più di tanto, dal punto di vista della logica e della razionalità delle sue argomentazioni, sarebbe ingenuo.

Alcuni giorni fa ha insistito, tanto per cambiare, sulla necessità di ridurre il debito pubblico, argomentando tra le altre cose che l’Italia spende più per pagare interessi che per l’istruzione pubblica.

Di fronte a un’affermazione del genere, chi potrebbe contestare il fatto che qualcosa non funziona ?

Però qual è la conseguenza, nella testa di Panetta ? che occorre ridurre il deficit, abbassare il debito, “quindi” pagare meno interessi, “quindi” avere più soldi per altre cose. Logico, no ?

No.

Ridurre il deficit, nella testa del mainstream economico, vuol dire aumentare le tasse o abbassare le spese. Entrambe azioni che rallentano l’economia.

E abbassare le spese, quali ? non quelle per l’istruzione c’è da supporre, visto che lo stesso Panetta rileva la loro insufficienza. Ma allora andiamo avanti a tagliare cosa ? le pensioni ? la sanità ? gli investimenti in infrastrutture ?

Tutte queste cose sono state largamente sperimentate, dall’austerità bruxellian-montiana in poi. Ovviamente il debito non è sceso. Ovviamente la spesa per interessi non è diminuita. Ovviamente soldi in più da investire nell’istruzione o in altre cose non si sono visti. E ovviamente si è distrutta la crescita dell’economia italiana.

Ma caro Panetta, se gli interessi sono troppo alti, la soluzione è molto semplice. Fare deficit emettendo moneta. Anche senza uscire dall’euro tornando alla lira, bensì emettendo Moneta Fiscale.

Chissà come, questo Panetta non lo dice. Le soluzioni sono sempre quelle già sperimentate. Con esiti fallimentari.

 

mercoledì 21 agosto 2024

Il debito che non è debito

 

Un tema fondamentale, per risolvere i problemi dell’economia italiana, è far comprendere alla cittadinanza che il “debito” pubblico in moneta sovrana NON E’ DEBITO.

L’Italia è pesantemente condizionata, nelle sue scelte di politica economica, dall’aver convertito i propri titoli di Stato da lire a euro. A tutti gli effetti pratici, l’euro è diventato (e con ogni probabilità così era stato fin dall’inizio concepito) uno strumento di controllo politico. Una leva potentissima, in mano a interessi esterni al paese.

Nessuna entità esterna, al contrario, può forzare un paese all’insolvenza su “passività” che il paese stesso emette. I deficit pubblici possono essere eccessivi se creano livelli alti e volatili di inflazione. Ma il debito in moneta sovrana non crea condizionamenti di origine esterna.

Questo è il problema fondamentale nato, per il nostro paese, dall’ingresso nell’euro. Una moneta straniera, sopravvalutata rispetto ai fondamentali della nostra economia.

Tutto questo è chiaro e conclamato. Ma largamente ignorato dall’informazione mainstream.

Ogni contributo di informazione e comunicazione che aiuti a far comprendere tutto ciò è un passo, piccolo finché si vuole, ma è un passo nella direzione giusta.

mercoledì 14 agosto 2024

Debito pubblico, il grande equivoco

 

Il grande, gigantesco equivoco, quando si parla di finanza pubblica, è pensare che il debito sia un mezzo per finanziare le attività dello Stato.

Non è nulla di tutto questo.

I punti essenziali da comprendere sono i seguenti.

I mezzi di pagamento in circolazione, in un’economia in sviluppo, DEVONO aumentare.

Il deficit pubblico provvede a garantire che questo aumento si verifichi. Deficit vuol dire che le spese pubbliche superano le entrate fiscali: rimane un delta, che PER DEFINIZIONE resta in possesso del settore privato. Questo delta incrementa la disponibilità di potere d’acquisto del settore privato medesimo. E incrementa il suo risparmio finanziario.

Emettere debito pubblico quindi NON SERVE A FINANZIARE IL DEFICIT. Uno Stato che emette la sua moneta non ha NESSUN bisogno di emettere debito. Il deficit si finanzia da sé.

Il debito pubblico è semplicemente uno strumento di impiego del risparmio privato che si FORMA AUTOMATICAMENTE in conseguenza dei deficit pubblici. Non è indispensabile emetterlo.

Può essere un servizio utile offerto alla collettività.

Ma quanto sentite dire che lo Stato deve “garantirsi la benevolenza dei mercati”, che è “soggetto al giudizio degli investitori”, sappiatelo: è UNA SPUDORATA MENZOGNA.

 

lunedì 12 agosto 2024

Euroausterici e finanza pubblica

 

Gli euroausterici, compresi quelli un buona fede, hanno in testa parecchie idee sballate (viene da dire SOLO idee sballate) in merito a deficit e debito pubblico. Questa non è una novità.

Uno dei loro leitmotiv è che è (sarebbe) “una cretinata” affermare che il debito pubblico è credito dei privati che lo possiedono.

Se gli si dice “bene regalami i tuoi BTP, visto che non è credito, quindi non è un’attività finanziaria, non ha un valore, sarai felice di sgravartene e io da parte mia con piacere ti solleverò da questo fastidio” – se gli si dice QUESTO non sanno più cosa rispondere e non rimane loro che sviare il discorso.

Una maniera tipica di sviarlo è l’affermazione (in realtà ben poco attinente con la precedente, ma transeat) che “i titoli di Stato sono solo di chi li possiede mentre il debito pubblico è di tutti”. Ma questo sconclusionato tentativo di replica non tiene conto di parecchie cose.

Per iniziare, il debito pubblico, ovvero i titoli di Stato, non li possiedono tutti nella stessa misura, ma anche le tasse non le pagano tutti nella stessa misura. Un nullatenente paga molto poco, e peraltro non possiede neanche titoli, e non percepisce interessi. Chi possiede molti titoli e percepisce molti interessi di sicuro paga anche molte più tasse di un nullatenente.

Ancora più importante, uno stato che emette moneta può tranquillamente decidere di non emettere debito pubblico. Collocare titoli offrendo una remunerazione è una pura scelta politica. Se stampi moneta, la tua spesa può eccedere la tassazione senza alcun bisogno di emettere titoli.

Inoltre, e forse è l’argomento più importante su questo tema, TUTTE le ripartizioni delle spese e delle tasse sono scelte politiche. Possono essere scorrette, possono essere discutibili, possono essere inique: ma questo non ha niente a che vedere con il fatto che “serve debito e serve pagare interessi per finanziare il deficit”. Il deficit, se lo stato emette moneta, si finanzia da solo.

La sintesi della situazione, che agli euroausterici sfugge completamente (se poi fanno finta sono ottimi attori) è la seguente.

Uno stato che emette moneta non ha bisogno di emettere debito né di pagare interessi.

Se lo fa, è per motivi di opportunità politica. Magari giusti, magari sbagliati. Che però non hanno nulla a che vedere con una condizione di necessità.

Siccome un’economia che cresce ha bisogno che le attività finanziarie in circolazione aumentino nel tempo, è perfettamente normale che il bilancio dello stato sia in deficit, perché deficit significa eccesso di spesa pubblica rispetto alle tasse, e questo deficit rimane in tasca al settore privato realizzando, appunto, il fisiologico incremento di circolazione dei mezzi di pagamento.

Il deficit è a sua volta la differenza tra spese e tasse. La ripartizione delle spese e delle tasse è anch’essa una decisione politica. Che può essere iniqua o criticabile: ma a prescindere che le spese superino le tasse – quindi che esista un deficit – piuttosto che no.

E SOPRATTUTTO: non esiste nessun motivo per affermare che il deficit o il debito vadano ridotti perché creano problemi di “solvibilità” (a meno che non siano finanziati in moneta straniera) o di “equità intergenerazionale” (“il debito sulla testa dei nostri figli”). Se creano un problema, è legato all’inflazione. Nient’altro.

E INFINE: SI’, il debito pubblico corrisponde, CENTESIMO PER CENTESIMO, a credito privato. A valore di chi possiede i titoli. Se c’è una cosa certa, quando si parla di finanza pubblica, è questa.

 

mercoledì 7 agosto 2024

Un cambio di prospettiva per una nuova economia sociale

 Il video del convegno tenuto nella calura milanese  lo scorso 27 luglio. Il mio intervento parte circa dopo 1 ora e 29 minuti, fino a 1 ora e 50 minuti del video. Grazie agli organizzatori e a Ottolina TV.



venerdì 2 agosto 2024

Quando ci si sentiva europei

 

Ho sentito esprimere ad Alessandro Barbero un concetto che mi ha fatto molto riflettere e che ho trovato particolarmente azzeccato. 

In sintesi, si tratta di questo. Era molto più facile sentirsi europei quando l’Unione Europea non esisteva, rispetto ad oggi.

Il motivo principale è che l’Europa ha costruito, in qualche decennio dopo la Seconda Guerra Mondiale, un modello economico-sociale di successo, che ha promosso una crescita economica confrontabile a quella USA (un po’ meno se la misuriamo sulla base del PIL totale, un po’ più sulla base del PIL procapite, dato che la crescita demografica è stata inferiore).

E nello stesso tempo, ha edificato un modello di welfare di cui gli USA non sono minimamente dotati, basato su un sistema pensionistico pubblico, su una sanità pubblica a disposizione di tutti, e su scuole pubbliche di buona qualità, anche quelle aperte a tutti.

Riusciva quindi facile dire: voi sarete la superpotenza economica e geopolitica ma NOI EUROPEI abbiamo qualcosa che a voi manca. Qualcosa di molto importante.

E ora invece l’Unione Europea che cosa sta facendo ? sta cercando di smantellare questo sistema. Non a caso e non involontariamente: per citare l’ineffabile Tommaso Padoa Schioppa, sta spingendo ad “attenuare quel diaframma di protezioni che nel corso del ventesimo secolo hanno progressivamente allontanato l’individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere”.

Con questa espressione, tanto soave in superficie quanto sociopatica nel contenuto, TPS, eurocrate fino al midollo, spiega qual è una funzione primaria, forse LA funzione primaria, della UE.

E spiega perché ha ragione Barbero: era molto più facile sentirsi europei prima, visto che dagli USA stiamo prendendo il peggio, e non ne rappresentiamo più un modello altrettanto valido se non migliore, ma una versione peggiorata - con i difetti e senza i pregi. La UE sta smantellando il motivo principale per cui si poteva fieramente dire NOI EUROPEI.