venerdì 5 giugno 2015

La Grecia al passaggio decisivo


Un’altra settimana di incontri, e nessuna soluzione in vista per la crisi greca. I creditori sono disponibili a rifinanziare il debito solo a condizione che la Grecia adotti ulteriori misure di austerità (tra cui tagli di pensioni e incrementi di IVA) inasprendo così la depressione che affligge l’economia da sei anni, e ponendo inoltre le condizioni per rendere impossibile, in futuro, onorare le nuove scadenze.

Lo stallo è totalmente basato su questioni di principio. La UE rifiuta di ammettere che le politiche con cui è stata affrontata l’Eurocrisi sono fallimentari e insostenibili. Proposte ragionevoli e forse addirittura troppo moderate come quelle di Syriza cadono nel vuoto.

A mio parere, l’azione più sensata che il governo greco può attuare dev’essere non deflagrante ma nello stesso tempo unilaterale, e consiste nell’introdurre una forma di moneta nazionale complementare (ma non sostitutiva) all’euro.

La differenza sfugge spesso all’attenzione dei commentatori, ma è decisiva. Se la Grecia iniziasse ad emettere IOU – titoli di debito di cui si promette il rimborso futuro in euro – e li usasse al posto dell’euro per pagare stipendi pubblici e pensioni, questo sarebbe con ogni probabilità percepito come un segno dell’insostenibilità della permanenza della Grecia nell’Eurosistema. La fuga di depositi dalle banche si accelererebbe, e l’uscita della Grecia dall’euro seguirebbe in tempi molto brevi. In ogni caso, l’impegno di rimborso in euro connesso agli IOU è ben poco credibile, dato che la Grecia è già insolvente sul debito attuale.

Ma lo stato greco ha oggi, in realtà, una situazione di equilibrio nel saldo pubblico primario. Questo significa che la pubblica amministrazione incassa tanti euro quanti ne spende, esclusi i pagamenti per interessi e rimborsi di debito.

Se i pagamenti ai creditori vengono sospesi, lo stato greco possiede, in effetti, gli euro necessari per sostenere le sue spese. Non ha bisogno, a questo fine, di utilizzare uno strumento finanziario sostitutivo dell’euro.

Gli mancano, invece, le risorse per effettuare politiche espansive e di rilancio dell’economia. A questo fine dovrebbe emettere un titolo che non costituisce una nuova forma di indebitamento.

La proposta è di emettere e utilizzare Certificati di Credito Fiscale. E’ un titolo che dà diritto al possessore di compensare pagamenti altrimenti dovuti alla pubblica amministrazione (tasse, imposte, contributi sociali, multe e sanzioni, ecc.) a partire da una data futura: per esempio, due anni dopo l’assegnazione.

I CCF non sono debito perché non esiste alcun impegno di rimborso, ma solo di accettazione (da parte dello stato emittente). Questo rende impossibile, in teoria così come in pratica, che la Grecia possa essere costretta al default a fronte dell’impegno connesso ai CCF.

Le emissioni annue potrebbero essere pari, ad esempio, a 7 miliardi di valore facciale (circa il 4% del PIL greco) ed essere destinate a una varietà di fini: integrazione di reddito ai lavoratori, sostegno a categorie sociali disagiate, erogazioni alle aziende in funzione dei costi di lavoro sostenuti (in modo da migliorarne immediatamente la competitività).

Il ricevente potrà convertire CCF in euro, vendendoli sul mercato finanziario. Hanno un valore certo (il facciale) al momento della scadenza e quoterebbero con uno sconto modesto rispetto a questo importo, purché le scadenze annuali non siano elevate rispetto agli incassi totali della pubblica amministrazione greca: ma 7 miliardi sono solo il 10% circa del gettito lordo.

I CCF circolerebbero anche nell’ambito di transazioni e compravendite tra privati.

La maggiore disponibilità di potere d’acquisto rivitalizzerebbe domanda e occupazione, e creerebbe nel tempo anche il maggior gettito fiscale che compenserà i futuri utilizzi dei CCF (a partire da due anni dopo l’avvio del programma, come detto).

Contestualmente, la Grecia dovrebbe sospendere ogni pagamento ai creditori internazionali, annunciando però nello stesso tempo la disponibilità a destinare – a partire dal 2016 – ad esempio il 2% del PIL al rimborso (in euro) di capitale e interessi, nell’ambito di un nuovo piano finanziario.

L’impegno sarebbe altamente credibile se assunto da un’economia rilanciata dal programma CCF. Potrebbero anche essere introdotte “clausole di salvaguardia” a tutela ulteriore del nuovo programma, temporaneamente attivabili solo in caso di ammanco (in una dato anno) rispetto all’impegno di rimborso del 2%. Ad esempio, tramite prelievi una-tantum in euro che prevedano però, a compensazione, l’erogazione al contribuente di titoli fiscali (CCF a scadenza più lunga). Clausole così conformate non hanno (se non in misura enormemente più modesta) l’effetto prociclico delle combinazioni di tagli e tasse con cui la crisi è stata effettuata in passato.

Un sistema euro + CCF ha tutte le condizioni tecniche per essere stabile e sostenibile. L’unità di conto e la moneta legale della Grecia rimane l’euro. La Grecia, nello stesso tempo, dispone di tutte le leve necessarie per attuare una politica di rilancio economico. E le prospettive di rientro dei creditori migliorano enormemente.

La reazione politica della UE è, ovviamente, un tema diverso. E’ immaginabile (per quanto dubbio sul piano legale) che la BCE sospenda il programma di Emergency Liquidity Assistance al sistema bancario greco, forzandone il default, o attui altre azioni deflagranti. Ne seguirebbe una Grexit disordinata.

Si tratterebbe, peraltro, di azioni qualificabili come puro furore ideologico, che produrrebbero enormi rischi di sfaldamento dell’intero Eurosistema.
 
Lo ritengo improbabile. In ogni caso, la responsabilità di un breakup disordinato sarebbe, a quel punto, tutta sulle spalle delle autorità UE.

7 commenti:

  1. ammesso e non concesso che i greci utilizzeranno i ccf, gli euro saranno tesaurizzati e lo stato costretto a sostituirli con sempre maggiore quantità di ccf e quindi default della grecia sull'euro. di fatto è una uscita dall'euro ma perché la grecia dovrebbe non solo fare default ma anche uscire dall'euro quando il suo potere di trattativa sta proprio nel rimanere dentro l'euro e non poter essere cacciata?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Saranno invece utilizzati perché quando un intermediario di scambio e' artificialmente razionato, com'è il caso dell'euro, si utilizza nella misura del necessario quello che c'è - come i CCF - quand'anche valesse un po' meno. Quanto al potere di ricatto della Grecia, se ha ragione lei verranno fatte grosse concessioni sui vincoli fiscali. Ma non sta succedendo. E tra l'altro anche l'integrale accettazione dell'attuale proposta Syriza probabilmente non basterebbe.

      Elimina
    2. "grosse" concessioni non se ne fanno perché il ricattato e il ricattante comunque non hanno interesse ad autodistruggersi ma a rinviare.

      riguardo i ccf (nel modo in cui li proponete voi) sono di fatto un ritorno alla dracma mascherato. nel momento in cui si dovesse proporre i ccf vinceranno appunto le forze politiche che proporranno la dracma

      Elimina
    3. Ma rinviando non si risolve niente. I rinvii hanno un limite, e credo proprio che ci siamo vicini.
      Ritorno alla dracma mascherato ? sono definizioni, anzi opinioni. Di sicuro evita una marea di complicazioni tecniche (ma non solo) che il breakup invece provocherebbe.

      Elimina
    4. i rinvii servono e comunque nei fenomeni a grande scala sono l'unica soluzione. stiamo parlando di interi paesi mica di una multinazionale. i rinvii fanno perdere consenso a syriza e rafforzano le richieste europee. syriza non può uscire all'euro perché dal default emergerebbero i nazionalisti greci. l'europa può tenere a stecchetto la grecia facendo perdere consenso elettorale a syriza fino a che di fronte alla caduta del governo dovrà fare riforme. purtroppo per la grecia infatti altri paesi europei hanno già fatto riforme (vere o presunte) e quindi la grecia si trova nella posizione di essere criticata facilmente dagli altri europei.

      Elimina
    5. La Grecia di riforme (inutili se non controproducenti) ne ha fatte più degli altri. I paesi già in crisi che se la cavano un po' meglio sono quelli che hanno fatto più deficit spending, non più riforme. Vedi Spagna e Irlanda (post del 23.1.2014).

      Elimina
    6. le riforme non risolvono i problemi dell'euro ma dell'economia di un paese. poi toccherà all'euro riformare se stesso oppure saltare. le riforme sarebbero infatti necessarie anche con la lira. o coi ccf.

      Elimina