domenica 26 marzo 2023

Il Superbonus e gli errori di Eurostat

 Un breve, ma estremamente chiaro e puntuale, articolo di Biagio Bossone e Massimo Costa in merito all'insensatezza della posizione di Eurostat riguardo al Superbonus.

Qui l'articolo.

domenica 19 marzo 2023

Lezioni da una mancata (si spera) crisi bancaria

 

Salvo sorprese, al momento pare che SVB non stia innescando una crisi bancaria sistemica. Sta insomma avvenendo quanto prevedevo una settimana fa. Le banche centrali e i governi stanno intervenendo con l’intensità adeguata, tamponando i rischi di contagio. Non solo la Federal Reserve negli USA, ma anche la banca centrale svizzera con Credit Suisse.

E per quanto folle sia l’assetto dell’eurosistema, credo che se necessario la BCE farà quanto serve per soccorrere istituzioni eurozoniche potenzialmente nei guai. Anche perché le principali indiziate sono francesi e tedesche, per cui figuriamoci.

Quindi tutto più o meno sotto controllo, grazie al fatto che il ricordo del 2008 è troppo fresco per ricascarci oggi. Però l’instabilità potenziale del sistema rimane un dato di fatto, e la possibilità che un intervento carente o tardivo di fronte a problemi simili, in un futuro non vicinissimo, lasci deflagrare una crisi, resta un elemento di preoccupazione.

Come evitare rischi del genere ? il dato di fatto è che un sistema dove la grande maggioranza dei mezzi di pagamento in circolazione, altrimenti detto di quella che comunemente chiamiamo moneta, sono in effetti passività di istituti privati, non può funzionare senza una garanzia pubblica su queste passività, cioè sui depositi bancari.

Ma se ci deve essere garanzia pubblica, si pone il problema che gli istituti privati emettono passività a condizioni di favore grazie alla garanzia e investono in attività rischiose. Se va bene gli utili sono degli azionisti ma ancora di più del management degli istituti, se va male le perdite sono spalmate sulla collettività.

Quando succede, invariabilmente in molti pongono la domanda “perché devo pagare io per i danni fatti da altri ?” la risposta di prima battuta è “perché quando un incendio rischia di espandersi prima lo spegni, poi indaghi sulle responsabilità. Non lasci bruciare una città per “dare una lezione” a chi ha appiccato il fuoco”.

Giusto, però quello che dovrebbe andare di pari passo con la garanzia pubblica sui depositi è un rigoroso controllo sulle attività svolte dagli istituti. Che non si riesce mai ad introdurre perché troppe persone influenti profittano, almeno finché il rischio non si concretizza. Come dicevo nell’altro post, il settore pubblico ripulisce i cocci, mentre i trader i bonus milionari incassati nel frattempo se li tengono.

In effetti c’è da pensare seriamente a nazionalizzare la funzione di deposito bancario. Permettendo a cittadini e aziende di depositare presso l’istituto di emissione, e vietando invece la raccolta di depositi da parte delle istituzioni private.

Il che non implica la fine della finanza privata. Vuole dire che le istituzioni finanziarie non devono più emettere passività a vista o a breve termine. Devono investire soldi raccolti con vincolo di scadenza omogeneo alle attività di investimento o di finanziamento che pongono in atto.

Voglio fare credito ? raccolgo un fondo di durata per esempio decennale, erogo finanziamenti e a fine periodo ripartisco gli utili che ho prodotto, compresi i premi al management. E se gli utili non ci sono anzi ci sono perdite, questo è il normale rischio che si assume l’investitore del fondo. Senza però che abbia la possibilità di forzare il fondo a liquidare di colpo gli attivi perché una crisi reale o immaginaria innesca una fuga di depositi.

Si farà mai qualcosa di simile ? difficile, perché gli interessi che andrebbe a ledere sono potenti. Ma finché non si fa, si può solo sperare che i pompieri arrivino in tempo a spegnere l’incendio quando scoppia. Perché di tanto in tanto scoppia, questo è sicuro.

 

domenica 12 marzo 2023

Silicon Valley Bank: Lehman 2, la vendetta ?

 

Il mio amico Giovanni Piva mi ha posto la domanda che in questi giorni è sulle labbra un po’ di tutti: il crac della Silicon Valley Bank (e i problemi di altri istituti bancari USA) sono fenomeni tutto sommato abbastanza contenuti e isolati, o provocheranno un effetto domino analogo alla crisi finanziaria del 2008 ?

In sintesi: SVB è la nuova Lehman Brothers ?

La mia risposta è: non è impossibile ma è molto improbabile.

Nessuna crisi finanziaria sistemica è inevitabile. Le autorità pubbliche hanno sempre la possibilità di bloccarle sul nascere, ricapitalizzando e/o garantendo il passivo delle istituzioni coinvolte, o comunque a rischio.

La deflagrazione di una crisi del genere quindi avviene, se avviene, perché non si concretizza la volontà politica di intervenire in modo adeguato.

Perché non è successo nel 2008 ? perché, dopo che in effetti parecchi salvataggi erano stati effettuati – Washington Mutual, Freddie Mac, Fannie Mae, eccetera – la Federal Reserve e il governo USA sono stati investiti da violente critiche in merito all’utilizzo di soldi pubblici per tamponare i dissesti.

Quando i problemi sono esplosi in Lehman, le autorità hanno deciso che un’ulteriore intervento non era “politicamente accettabile”. Il risultato è stato un’insolvenza disordinata che ha rischiato di portare al collasso l’intero sistema finanziario mondiale.

A quel punto gli interventi ci sono stati, e per dimensioni molto maggiori di quanto sarebbe stato sufficiente per Lehman. Si è dovuti intervenire su Citigroup, su Bank of America, e su parecchie altre situazioni.

I ritardi negli interventi sono stati influenzati anche dal contesto politico. Bush jr era a fine mandato e non controllava più le voci dissenzienti dei congressisti del suo stesso partito. E dopo le elezioni dei primi di novembre 2008 (il fallimento Lehman era avvenuto a metà settembre) sono passati i canonici due mesi prima dell’insediamento di Obama. Ciò ha causato un ritardo nel varo dei necessari pacchetti fiscali e ha prolungato la crisi di altri mesi.

Oggi queste complicazioni politiche non ci sono. E soprattutto, il ricordo del 2008 è troppo fresco. Certo, sono passati quindici anni (il tempo vola) ma quindici anni fa i decisori di oggi era già adulti, vaccinati e in posizioni di responsabilità. Non stiamo parlando della Grande Depressione, di cui tutti hanno letto ma che nessuno ha vissuto.

Quindi a uno stallo politico che lasci deflagrare la situazione, quand’anche (cosa che al momento non so) fosse potenzialmente grave quanto quella del 2008, non credo. Fermo restando che un minimo di rischio c’è sempre, perché la follia dei comportamenti umani (specialmente di quelli collettivi) è imprevedibile.

Mi pongo piuttosto un’altra domanda. Ma se è vero che una grossa parte del problema SVB è nato dalla perdita di valore non di attivi di bilancio arcani e astrusi, ma di banalissimi titoli di Stato USA…

…titoli che hanno perso di valore perché comprati quando i tassi erano vicini a zero, mentre oggi sono al 4-5%...

…ma perché il tesoro USA (ma anche quello degli altri paesi) non si finanzia con titoli a tasso variabile, tipo i buoni vecchi CCT che ai bei tempi della lira erano molto popolari tra i risparmiatori italiani, e che sterilizzano automaticamente il rischio tassi d’interesse ?

Risposta triste, ma è la realtà: perché i titoli a tasso fisso si prestano molto di più alla speculazione. E piacciono quindi alle istituzioni finanziarie, che sui ministeri e sulle banche centrali non dovrebbero avere, ma nella realtà hanno, molta influenza.

Al trader che specula, i titoli a tasso fisso piacciono. Se poi qualcosa va storto ci penserà lo Stato a ripulire i cocci. Loro, un po’ di anni a colpi di bonus milionari se li saranno comunque fatti.

 

venerdì 10 marzo 2023

Superbonus e buoni carburante

 

Nelle ultime settimane ho letto e/o ascoltato parecchie argomentazioni orientate a sminuire gli effetti positivi del Superbonus 110% e in generale dei crediti fiscali immobiliari. Una in particolare merita qualche commento perché, come spesso succede, appare superficialmente sensata - ma non lo è.

L’argomentazione è che una buona parte, indicata non si sa bene perché nel 50%, degli interventi edilizi sarebbe stata effettuata comunque, anche senza incentivo. Quindi gli impatti positivi su PIL e gettito fiscale vanno dimezzati rispetto alle stime dei proponenti.

Riuscite a vedere la falla logica ? forse sui due piedi no, ma c’è ed è semplice da spiegare.

Immaginate che vi regalino mille euro di buoni carburante. Vi mettete, per questo, a usare di più l’auto, consumando mille euro in più di benzina o gasolio ?

Non credo proprio. Le vostre esigenze di utilizzo dell’automobile sono le stesse di prima. Lavoro, weekend, uscite serali. Non le incrementate certo per l’equivalente di mille euro di carburante. Non vi svegliate alle tre del mattino per fare il giro della tangenziale perché la benzina ve l’hanno regalata.

I vostri consumi di carburante restano gli stessi di prima. Però vi rimangono in tasca mille euro in più. E quei mille euro con ogni probabilità incrementano i vostri consumi. Non di carburante (se non in minima parte) ma di tutto il resto.

Trasferito ai crediti fiscali immobiliari questo cosa significa ? che una parte degli interventi di ristrutturazione si sarebbero fatti anche senza incentivo, certo: ma a chi li ha effettuati sono comunque rimasti in tasca più euro.

L’impatto espansivo sull’economia quindi è stato prodotto dall’intero importo degli incentivi, non solo da quelli erogati per interventi che “altrimenti non si sarebbero fatti”.

Quelli che sono stati fatti grazie all’incentivo sono un effetto espansivo ovvio. Ma anche per quelli che si sarebbero fatti comunque, gli incentivi hanno immesso potere d’acquisto nell’economia, e di conseguenza alimentato, anch’essi, capacità di spesa.

Dimezzare arbitrariamente la stima degli effetti espansivi non ha senso. Eppure parecchi critici del superbonus, parecchi euroausterici, cercano di far passare questa tesi strampalata. Tutto fa brodo quando si tratta di negare i benefici delle politiche economiche espansive.

mercoledì 8 marzo 2023

Crediti d’imposta cedibili e riportabili per espandere l’economia senza debito

 

Il dibattito sul Superbonus 110% e sui crediti fiscali immobiliari, alla luce dei recenti provvedimenti del governo, ha raggiunto vette di concitazione che non contribuiscono certo a capire i termini della questione. Il tema va chiarito perché è di estrema importanza per il rilancio dell’economia italiana e per la soluzione delle disfunzioni dell’Eurozona. Questo, per ragioni che vanno in effetti molto al di là del – pur importante – argomento Superbonus. Il vero fulcro della questione è la circolazione dei crediti d’imposta utilizzabili in compensazione: la cosiddetta Moneta Fiscale.

UNO, Eurostat NON ha affatto “bocciato la Moneta Fiscale” né l’ha “messa fuori corso”. Queste affermazioni si sono spesso lette e sentite nelle ultime settimane, ma sono totalmente sbagliate. Eurostat al contrario ha pienamente riconosciuto che i crediti fiscali trasferibili, utilizzabili per compensare tributi, esistono e sono assolutamente legittimi. L’unica modifica, rispetto alla situazione precedente, è che Eurostat afferma ora che questi crediti vanno considerati spese dello Stato all’atto dell’emissione e non minor gettito fiscale negli anni in cui verranno utilizzati come compensazione di pagamenti all’Erario. La conseguenza è che entrano nel deficit pubblico nell’anno di emissione medesimo, non successivamente.

Che cosa significa ? che cambia solo il profilo temporale del deficit, non l’impatto complessivo sul deficit medesimo. L’impatto totale rimane lo stesso ed è pari all’ammontare dei crediti emessi AL NETTO dei benefici che si producono, negli anni, in termini di crescita del PIL e quindi del gettito tributario.

DUE, ISTAT ed Eurostat hanno confermato che i crediti fiscali, trasferibili o meno, NON vanno computati nel “debito pubblico di Maastricht”, quello rilevante ai fini dei trattati. La ragione è semplice: lo Stato non deve approvvigionarsi di fondi per emettere crediti fiscali. Li crea dal nulla, come se si trattasse di una moneta fiat.

TRE, per lo stesso motivo, all’atto dell’emissione i crediti fiscali non producono nessun impatto sul fabbisogno di cassa dello Stato. Appunto in quanto i crediti fiscali vengono emessi fiat, lo Stato non ha bisogno di reperire soldi sul mercato: non c’è nessun titolo che debba essere collocato presso investitori e risparmiatori, non devono essere chiesti prestiti a nessuno.

QUATTRO, è una bugia sfacciata, che purtroppo viene costantemente ripetuta, che il Superbonus 110% abbia prodotto un’enorme quantità di frodi. Già il 10 febbraio 2022 il direttore generale dell’agenzia delle entrate, in audizione presso la commissione bilancio del Senato, aveva chiarito che solo il 3% delle frodi accertate erano riconducibili al Superbonus. I principali “colpevoli” erano state altre categorie di bonus, in particolare il bonus facciate (46% del totale) e l’ecobonus (34%). Il Superbonus è nato con un sistema di controlli ed asseverazioni (successivamente anche rafforzati) che hanno limitato al minimo le frodi. Il che significa che le frodi non si eliminano bloccando la circolazione dei crediti (come hanno affermato Draghi tempo addietro, e Giorgetti ancora nelle ultime settimane) ma introducendo un appropriato sistema di controlli – sull’emissione, non sulla circolazione. Ed è proprio il Superbonus a dimostrarlo! il credito fiscale che aveva i migliori controlli alla fonte ha generato il minor livello di frodi, nonostante circolasse liberamente.

Detto tutto ciò, il Superbonus ha dei difetti ? poteva o doveva essere costruito diversamente ? probabilmente sì, ma per motivi che non hanno nulla a che vedere né con le frodi né con la demonizzazione della Moneta Fiscale:

CINQUE, si sostiene che fosse eccessiva l’aliquota con cui è stato introdotto, il famoso 110%. Se si incentiva un importo addirittura superiore alla spesa effettiva, viene meno la spinta, da parte di chi commissiona i lavori, a negoziare al meglio con l’azienda a cui vengono affidati. Detto in parole povere, è inutile “sbattersi” per negoziare al meglio i costi se comunque a fronte dei costi stessi si riceve un incentivo addirittura superiore.

Va detto che il 110% è ripartito su cinque anni, quindi al momento della cessione del credito entra in gioco l’attualizzazione dei benefici futuri: per cui il valore riconosciuto dal compratore è sempre stato in realtà inferiore al 110%, e spesso anche al 100%. In ogni caso, questa obiezione ha un fondamento ma non mette in dubbio la validità dello strumento: casomai suggerisce (come del resto già è stato fatto) di abbassare l’aliquota di incentivo.

SEI, quello che è senz’altro un difetto del Superbonus è non aver previsto un limite dimensionale. Se non si fissa un limite, per esempio su base annua, si rischia che i lavori incentivati siano di ammontare superiore a quelli che il settore edilizio nazionale riesce a gestire. E questo sicuramente crea un collo di bottiglia e produce la lievitazione dei costi. Ma tutto ciò significa soltanto che qualsiasi applicazione della Moneta Fiscale, così come qualsiasi politica economica espansiva, deve essere ben calibrata nelle sue dimensioni e modalità.

Ma ancora più importante è sottolineare che

SETTE, il Superbonus, e i crediti fiscali immobiliari in genere, sono soltanto una forma di applicazione della Moneta Fiscale, dove per Moneta Fiscale si intendono crediti fiscali, non soggetti a rimborso cash da parte dello Stato, e indefinitamente riportabili al futuro (vale a dire, utilizzabili per un periodo illimitato di tempo).

La Moneta Fiscale in realtà si presta a un amplissimo ventaglio di applicazioni, di cui l’incentivazione di determinate forme di investimento privato è solo una. Le possibilità sono vastissime. Si possono:

Integrare i redditi da lavoro, assegnando Moneta Fiscale in aggiunta al saldo netto in busta paga, in particolare ai redditi bassi e medio bassi.

Diminuire il cuneo fiscale, assegnando Moneta Fiscale ai datori di lavoro in funzione dei costi lordi sostenuti.

Effettuare o potenziare azioni di spesa sociale: ad esempio, invece di ridurre il reddito di cittadinanza, si potrebbe lasciarlo invariato o anche incrementarlo, pagandolo in parte in Moneta Fiscale.

Finanziare investimenti pubblici: manutenzione del territorio, infrastrutture, diversificazione e sviluppo di fonti di energia, ecc.

Finanziare assunzioni di personale nel pubblico impiego: sanità, pubblica istruzione, ordine pubblico. Oggi formiamo brillanti medici e insegnanti e li costringiamo ad accettare stipendi inadeguati e precari – avendo come alternativa l’emigrazione.

Calmierare i prezzi dei beni di prima necessità e a domanda rigida: generi alimentari e bollette, in particolare. Per esempio, compensando in tutto o in parte gli incrementi di prezzo mediante un meccanismo di cashback pagato in Moneta Fiscale. Questo, soprattutto nelle fasi, come l’attuale, in cui l’inflazione si è portata al di sopra degli obiettivi BCE. Obiettivi ai quali la BCE sta cercando di ricondurla a colpi di aumento del costo del denaro, rischiando però di non riuscirci e/o di infliggere gravi danni all’economia, all’occupazione e al tessuto produttivo.

In pratica, l’emissione di Moneta Fiscale consente di mettere in atto qualsiasi manovra di politica economica. E consente di farlo senza che l’emissione incrementi né il fabbisogno finanziario del settore pubblico né il debito di Maastricht.

Altro che “metterla fuori corso”. La Moneta Fiscale, vale a dire i crediti fiscali trasferibili, utilizzabili in compensazione, e riportabili, sono uno strumento di enorme efficacia, e sarebbe folle che lo Stato italiano rinunciasse a utilizzarlo.

La Moneta Fiscale è un progetto che va molto al di là del Superbonus. Il Superbonus e i crediti fiscali immobiliari in genere hanno dimostrato la potenza della strumento e l’alto grado di accettazione dei diritti di sconto fiscale emessi dallo Stato e liberi di circolare.

Il test quindi è stato significativo e importante. Ma la Moneta Fiscale è lo strumento che permette allo Stato italiano di fare molto di più: permette di recuperare un adeguato livello di autonomia e flessibilità nella conduzione della sua politica economica, senza incidere sui fabbisogni finanziari e riportando sotto controllo il debito pubblico di Maastricht. Che va ridotto, certo (in rapporto al PIL) perché è intrinsecamente pericoloso in quanto è da rimborsare in una moneta (l’euro) che l’Italia non emette. Ma questa riduzione non si ottiene tramite deleterie politiche di austerità. Si ottiene ripristinando e mantenendo alti livelli di crescita economica e di occupazione.

sabato 4 marzo 2023

“Illusioni” sul Superbonus ?

 

Un paio di giorni, in un'intervista a Federico Fubini sul Corriere della Sera, il Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti si è lasciato andare ad affermazioni diciamo così alquanto curiose in merito al Superbonus 110%.

Ce ne sarebbero parecchie da commentare, ma qui mi soffermo su una in particolare, la seguente:

il meccanismo “aveva generato un’illusione: certi cittadini e certe imprese hanno iniziato a dare per scontato che lo Stato avrebbe pagato subito a tutti l’intero costo dei lavori, non a rate in cinque anni”.

Come si possa formulare un’affermazione di questo genere, va al di là della mia comprensione. Per accedere al Superbonus va prodotta una grossa quantità di documenti e i passaggi tecnici sono complessi. È del tutto inverosimile che qualcuno possa aver percorso tutta questa trafila senza capire quali fossero i meccanismi di monetizzazione del credito, nonché le condizioni.

Meccanismi che poi erano due: lo sconto in fattura e la cessione del credito.

Non c’era nessuna aspettativa che “lo Stato avrebbe pagato subito a tutti”. C’era invece l’aspettativa che la monetizzazione sarebbe stata possibile perché quei meccanismi funzionavano – SENZA intervento statale.

E così è stato. Finché il governo Draghi non ha iniziato a insabbiarli (i meccanismi) e il governo Meloni li ha poi completamente bloccati.

L’affermazione di Giorgetti è un pesante travisamento della realtà. E non è certo il primo: ricordate i “duemila euro di costo per ogni cittadino italiano”, calcolati dividendo l’importo dei crediti fiscali per la popolazione, come se non ci fosse NESSUN impatto compensativo di aumento del PIL e del gettito fiscale ?

Non l’avrei mai pensato, ma sto rimpiangendo Gualtieri.

giovedì 2 marzo 2023

Crediti fiscali “pagabili” che non si pagano

 

Come spiegato in alcuni degli ultimi post, in particolare qui, Eurostat ha quindi stabilito che i crediti fiscali cedibili (per esempio, ma non solo, quelli per il Superbonus) vanno a incrementare il deficit pubblico nell’anno in cui vengono emessi. Ciò in quanto sono da classificarsi come “pagabili” anche se non danno diritto a rimborso. Sono da classificare “pagabili” perché possono essere ceduti dall’assegnatario originale a un altro soggetto.

La (discutibilissima) ragione addotta è che se possono essere ceduti, prima o poi finiranno in mano a qualcuno che li userà per ridurre pagamenti di tributi, mentre se non fossero cedibili l’assegnatario potrebbe non avere “capienza fiscale”, cioè non avere imponibile sufficiente per generare tributi di dimensione pari ai crediti.

A questo punto in parecchi sono arrivati alla conclusione che lo Stato dovrà rimborsarli cash, anche se il rimborso non era contemplato all’atto dell’emissione. Il che risolverebbe il problema dei tanti titolari di crediti che non riescono a venderli perché il mercato, a causa di tutte le limitazioni e di tutte le incertezze che si sono accumulate nell’ultimo anno e mezzo, è bloccato.

Mi dispiace dar loro una cattiva notizia. NON verranno rimborsati cash. Il motivo (?) è che secondo la nuova versione del manuale Eurostat, i crediti sono “pagabili” perché possono circolare, ma questo NON introduce nessun impegno di pagamento da parte della pubblica amministrazione.

Insomma sono crediti “pagabili” (tra virgolette) ma non sono da pagarsi (senza virgolette).

Potremmo chiamarli “crediti pagabili si fa per dire”.

Se tutto questo vi sembra assurdo, vi capisco. Che vi devo dire, non ho memoria di quando mai a Bruxelles si sia partorito qualcosa che abbia un senso logico.