L’inflazione che ha colpito i paesi occidentali economicamente avanzati (ma non, guarda caso, il Giappone) tra il 2021 e il 2022 appare, in larga misura, rientrata.
Tuttavia si leggono non di rado “moniti” di commentatori economici inclini al catastrofismo, secondo i quali potremmo essere alla vigilia di un secondo episodio inflazionistico.
E l’esistenza del rischio, secondo questi commentatori, è provata dall’esempio degli anni Settanta, quando gli episodi in effetti furono due: uno nel 1973-1975, e un secondo nel 1979-1980.
Il paragone però è fuorviante, e per una ragione molto semplice.
L’inflazione a due cifre degli anni Settanta fu causata essenzialmente da due ondate di rincaro del prezzo del petrolio, una in seguito alla guerra del Kippur e l’altra per effetto della crisi degli ostaggi in Iran.
Nel 2021-2022 abbiamo analogamente subito uno spunto di inflazione originata da due fenomeni, avvenuti in rapida successione, che hanno rappresentato discontinuità dal lato dell’offerta di energia e materie prime: la rottura delle catene di fornitura quando l’economia mondiale si è riavviata dopo la fine dei Covid-lockdowns, e la guerra ucraina.
Per immaginare che un secondo episodio di inflazione a due cifre possa svilupparsi tipo nel 2027, occorre pensare a un nuovo fenomeno di discontinuità di offerta.
Può succedere, naturalmente. Ma si tratterebbe di un evento esogeno. Non della conseguenza di un qualche misterioso “fenomeno di rimbalzo” dovuto alle politiche messe in atto da governi e banche centrali.
Può succedere, ma non c’è nulla di automatico. Non c’è
ragione per cui i fenomeni inflazionistici si debbano necessariamente ripresentare due volte, a
distanza di qualche anno.
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