Uno dei “provvedimenti
urgenti per il rilancio dell’economia” che il prorogato-non-sfiduciato-commissariato-dai-dieci-saggi-o-forse-no
governo Monti sta faticosamente varando è lo sblocco di una parte dei pagamenti
scaduti ai fornitori della pubblica amministrazione.
L’importo in
gioco, 40 miliardi di euro, è rilevante, e il dibattito in corso tocca vari
temi, tra cui: stabilire quanto di questi fondi rimarrà alle imprese, e quanto “transiterà”
finendo a rimborsare debiti bancari accesi in passato; e da dove lo Stato preleverà
le risorse per evitare sforamenti nei parametri (deficit / PIL, debito pubblico
/ PIL) concordati con l’Unione Europea (evidentemente tramite maggiori entrate
fiscali o tagli di altre spese).
Si arriva
rapidamente a capire che il gioco è a somma zero, o quasi, e che l’economia
italiana non si risolleva certo con questo. Per carità, un’azienda che attende
pagamenti da un anno o più ha tutto il diritto di ricevere una boccata d’ossigeno.
Però se le
risorse erogate da una parte vengono prelevate dall’altra, è evidente che la
situazione generale dell’economia rimane più o meno dov’è, cioè in pieno
dissesto. Certo, quando l’intervento sarà finalmente operativo, leggeremo
qualche articolo confortante su aziende e imprenditori che hanno evitato il
baratro grazie allo sblocco di un pagamento importante.
Non leggeremo,
invece, notizie singole relative a migliaia o milioni di imprese e cittadini
che avranno fatto un ulteriore micro passettino sulla strada dell’impoverimento
o dell’insolvenza, a causa di provvedimenti restrittivi di finanza pubblica
(per preservare i sacri parametri europei, si capisce). Ma statisticamente, per
qualcuno sarà la goccia d’acqua che fa traboccare il vaso.
Un governo o un
parlamento che discutessero seriamente di “provvedimenti urgenti per il
rilancio dell’economia” dovrebbero avere in mente, prima dei 40 miliardi di
euro di pagamenti da sbloccare (che sono un tema importante, si capisce) qualche
altro dato, e fare qualche riflessione diversa.
Nel 2007 l’economia
italiana si trovava in una situazione non dico smagliante (cresceva poco già
dal 1999, l’anno guarda caso dell’introduzione dell’euro) ma quantomeno
decorosa.
Se il tasso di
sviluppo reale (escluso cioè l’effetto prezzi) da allora fosse stato in media
dell’1,5%, il PIL italiano 2013 sarebbe vicino a 1.900 miliardi di euro. Teniamo
conto che la crescita della popolazione e l’innovazione tecnologica comportano
crescite annue della produzione potenziale generalmente stimate sopra il 2%, ma
stiamo pure cauti.
Il PIL italiano
2013 sarà invece inferiore a 1.600 miliardi. Stiamo parlando di 300 miliardi in
meno di reddito, che vogliono dire almeno tre milioni di persone disoccupate in
più, aziende che falliscono, pesante disagio sociale, mancanza di prospettive
per i giovani e per chi perde il lavoro, tensioni permanenti sui mercati
finanziari.
Questo buco di
PIL di 300 miliardi non nasce dal fatto che l’economia italiana non è in grado
di produrre. Nasce dal fatto che usa la stessa moneta del suo principale
partner commerciale (la Germania); che i suoi costi di produzione sono
cresciuti più velocemente; che abbassarli di colpo non è possibile se non in
parte, e per la parte per cui ci si riesce comprime i consumi interni e quindi
la produzione; e che la caduta del PIL ha fatto sorgere dubbi sulla
sostenibilità del debito italiano, che si è cercato di affrontare con politiche
restrittive (soprattutto maggiori tasse) con il risultato di affossare
ulteriormente domanda e produzione.
Un forte delta
di competitività si recupera, in modo immediato e senza produrre il collasso
del potere d’acquisto interno, solo intervenendo sull’architettura del sistema
monetario. Uscire dall’euro e svalutare è una strada.
Il progetto Certificati di Credito Fiscale è un’altra: emissione di uno strumento di tipo
monetario, autonomamente gestito dall’Italia; immediata riduzione del cuneo
fiscale sul lavoro (e quindi riallineamento di competitività); forte supporto
alla domanda e al potere d’acquisto interno.
Con tutto il rispetto
per i creditori della pubblica amministrazione, se vogliamo discutere di “provvedimenti
urgenti per il rilancio dell’economia” dobbiamo parlare di QUESTO. Se no risolviamo
i problemi di alcuni (com’è giusto e va fatto), peggioriamo marginalmente (ma
significativamente) i problemi di molti altri (come non è giusto e non va
fatto) e nel complesso restiamo al punto di prima.
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