Con Luca Mibelli
e anche sulla base di spunti forniti da NonSono SuFacebuk nell’ambito del
gruppo facebook Economia 5 Stelle, si sono discusse alcune possibili varianti e
ottimizzazioni del progetto Certificati di Credito Fiscale (CCF).
Un’idea da considerare
è la seguente. Nello schema base i CCF hanno la facoltà di essere utilizzabili –
in qualsiasi momento a partire da due anni dopo la data di emissione – per estinguere,
al valore facciale, obbligazioni finanziarie di qualsiasi tipo (in primo luogo,
ma non solo, fiscali) verso la Pubblica Amministrazione italiana.
La variante, o
meglio la caratteristica aggiuntiva, potrebbe essere di aumentare il valore di
utilizzo se quest’ultimo avviene successivamente alla prima scadenza possibile.
In pratica: nel
giugno 2013 mi vengono assegnati CCF per 100 euro. Nel giugno 2015 li posso
usare per pagare (ad esempio) 100 euro di imposte.
Se non lo
effettuo subito, il valore di utilizzo aumenta. Per esempio diventa 103 euro se
attendo un anno, 106 se ne attendo due eccetera.
In pratica si
riconosce ai CCF un tasso d’interesse, a decorrere dalla data di utilizzabilità.
Nell’esempio è un 3% annuo fisso; si possono considerare alternativamente tassi
variabili indicizzati ai BOT, ai tassi d’intervento BCE, all’inflazione ecc.
Si ottengono così due risultati.
Primo, si
migliora la valutazione di mercato dei CCF. Molti percettori di CCF
probabilmente li cederanno prima della data di utilizzo, a soggetti che li
acquisteranno a sconto per poi usarli a fronte di loro impegni
finanziari verso la Pubblica Amministrazione. Lo sconto potrebbe essere più
elevato del tasso su un normale titolo di Stato a causa di sfridi temporali –
es. minore concentrazione di date di versamento di imposte in certi periodi
dell’anno. Se il ritardo di utilizzo dei CCF si accompagna a un incremento del
suo valore facciale, questo problema diventa di scarso o nullo rilievo.
Secondo, alcuni
titolari di CCF potranno ritardarne l’utilizzo semplicemente per beneficiare
della rivalutazione. Ci sarà quindi una parziale diluizione temporale del loro
impiego; nel frattempo, gli euro incassati dallo Stato saranno più alti. La riduzione
delle obbligazioni finanziarie statali denominate in euro (debito pubblico)
sarà quindi accelerata.
Piero Roncoletta: Buongiorno Dott. Cattaneo, prendo lo spunto da questo post perché stavo giusto parlando dei CCF con un mio amico imprenditore. Egli considera una possibile debolezza la farraginosità della burocrazia statale, che già vediamo p.es. nella gestione dei rimborsi IVA/IRPEF, negli lunghezza degli accertamenti fiscali ecc. Supponiamo per esempio che CCF siano stati attribuiti ad aziende con irregolarità nel versamento dei contributi, come si gestisce? Altro punto di rilievo: i "monetizzatori" di ultima istanza sono ovviamente le banche. Come incentivare le banche ad accettare CCF in cambio di liquidità? Quello che lei propone nel suo post è un sicuramente un modo, però la cedolarizzazione dei CCF a questo punto diventa nuovo debito per lo stato, o no? Potremmo pensare a una legge che obblighi le banche ad accettare sempre e comunque i CCF? Penso che sia anche opportuno (ma penso che lei lo abbia già previsto), fissare una data di scadenza per l'utilizzo dei CCF, 5, 7 o 10 anni e determinare la loro rivalutazione in funzione di quest'ultima per renderne omogenei i "rendimenti".
RispondiEliminaSe vede la bozza di proposta di legge (30.4.2013) sul blog, la mia idea è di attribuire i CCF a lavoratori e aziende sulla base delle retribuzioni risultanti da prospetti di paga (i "cedolini") e delle dichiarazioni dei redditi per i lavoratori autonomi. Non c'è emissione se non c'è versamento dei contributi (oltre che di retribuzioni nette e tasse). Mi pare un meccanismo semplice e sicuro.
EliminaNo, la cedolarizzazione non diventa nuovo debito perché continua a valere il principio che i CCF non saranno mai rimborsati cash, saranno accettati a fronte di impegni finanziari verso lo Stato. Sul forzare per legge le banche ad accettarli non penso che sarà necessario; comunque negli anni 70 credo anche 80 esistevano vincoli di portafoglio che obbligavano gli istituti a detenere quote minime di titoli di Stato. Si tratterebbe di qualcosa di simile.
EliminaPiero Roncoletta: Giusto, però di truffe contributive, specie quando ci sono di mezzo altre forme di agevolazione alle imprese, in passato ce ne sono state a iosa, pensiamo per esempio nell'agricoltura quando venivano fatti risultare lavoratori fantasma pur di incassare i contributi europei! Se il CCF è ancora in possesso della ditta truffaldina, si annulla con un clic, ma se è stato ceduto a un soggetto terzo? Le mie riflessioni nascono solo dal fatto che poiché ho molta fiducia nello strumento e nella sua fattibilità, provo a vederne le possibili criticità! Insomma, voglio essere costruttivo.
RispondiEliminaSe il CCF è attribuito SOLO nel momento in cui il contributo è versato all'INPS, questo risolve il problema ? a istinto direi di sì.
EliminaPiero Roncoletta: Forse sì. In effetti, si potrebbe andare a rivedere come "funzionavano" le truffe contributive degli anni 90 e prendere le contromisure opportune. Tenendo conto che i nostri connazionali ne sanno una più del diavolo, comunque penso che si debba mettere in conto che circoleranno un po' di CCF illegali, ma alla fine è un dettaglio e poi il meccanismo si perfeziona usandolo. Dal punto di vista dell'impatto con la burocrazia statale, che ne pensi? (diamoci del tu)
RispondiEliminaCerto ! la gestione amministrativa mi pare semplice, alla presentazione del cedolino o della dichiarazione di redditi da lavoro autonomo (o se preferiamo, delle ricevute di pagamento di tasse e contributi) INPS o agenzia delle entrate accreditano un apposito "conto CCF" che quasi sempre sarà appoggiato sulla stessa banca utilizzata per i versamenti... Non so come la pensi, ma le amministrazioni statali tutto sommato gestiscono cose ben più complicate senza grossi guai ...!
EliminaPiero Roncoletta: Sì, una volta emesso il CCF diventa un titolo al portatore, il "conto CCF" è simile a un deposito titoli - senza bolli e commissioni - e a quel punto la gestione passa al sistema bancario. si potrebbe quasi pensare a una sorta di mercato secondario per la loro trattazione, simile al MOT ma più regolamentato (es: limitato al territorio e a operatori nazionali, divieto di costruirci sopra prodotti derivati) per evitare che diventino oggetto di speculazione. Non so però se questo snaturerebbe l'iniziativa, boh è da rifletterci su.
RispondiEliminaNo anzi, il mercato secondario (senza derivati e diavolerie assortite, certo) è proprio quanto dà liquidità allo strumento e ne rafforza l'accettazione e l'utilità.
Elimina