Le cause della
crisi economica possono essere così riassunte.
I paesi dell’eurozona
utilizzano la stessa moneta. In alcuni (Germania e paesi della vecchia “area
marco”) la crescita di costi e retribuzioni è tenuta sotto controllo in modo
molto disciplinato. In altri (Sud Europa) ci sono invece stati aumenti più alti
rispetto a quelli della produttività.
Dal 1999 a oggi si
è prodotta, nei costi di lavoro per unità di prodotto, una forbice del 20%
circa tra Italia e Germania.
In passato,
questo causava la graduale rivalutazione del marco tedesco rispetto alla lira
italiana: i cambi flessibili agivano da ammortizzatore. In regime di moneta
unica ciò non è più possibile.
Il Nord Europa,
data la maggiore competitività, ha accumulato surplus commerciali e crediti;
specularmente è cresciuto il debito estero del Sud.
Dal 2009 in poi,
anche a causa della congiuntura mondiale negativa prodotta dal fallimento
Lehman, sono cresciuti i dubbi sulla capacità dei paesi del Sud Europa di
rimanere solvibili. Il mercato ha quindi richiesto interessi più alti sul loro
debito, sia pubblico che privato.
Per prevenire
una crisi finanziaria, da metà 2011 in Italia si è cercato di migliorare le
finanze pubbliche soprattutto tramite maggior imposizione su consumi e
patrimoni, e di rendere più flessibile e produttivo il lavoro.
Purtroppo però
la caduta di domanda e potere d’acquisto è stata molto più accentuata di quanto
si sperasse, innescando un circolo vizioso:
-Flessione
dei consumi.
-Caduta
della produzione e dei redditi.
-Discesa
dei valori degli immobili e delle attività patrimoniali in genere.
-Aumento
delle sofferenze e riduzione delle erogazioni di credito bancario.
-Buona
parte dei benefici delle maggiori imposte sui conti pubblici è stata erosa
dalla caduta della base imponibile.
-Il
minor denominatore ha incrementato il rapporto debito pubblico / PIL.
Eliminare o
ridurre fortemente il delta di costo del lavoro per unità di prodotto tra
Italia e Germania non è possibile, nei tempi imposti dalla crisi, tramite
interventi su organizzazione aziendale e innovazione tecnologica, che
richiedono periodi ben più lunghi.
La via della riduzione
salariale è altrettanto sterile: come visto riduce domanda e PIL, deteriora il
credito e squilibra ulteriormente la finanza pubblica.
Il
progetto Certificati di Credito Fiscale (CCF) è finalizzato a risolvere i
problemi strutturali del sistema euro nel modo seguente.
1. Emissione
di circa 200 miliardi all’anno di titoli (i CCF appunto) utilizzabili per
pagare tasse, imposte o qualsiasi altra obbligazione finanziaria verso le
pubbliche amministrazioni, a partire da due anni dopo la loro emissione.
2. I
CCF sono assegnati gratuitamente a datori di lavoro del settore privato (80
miliardi circa), a lavoratori (dipendenti e autonomi) sia del settore privato
che del settore pubblico (70 miliardi circa), e per i residui 50 miliardi ad altri
usi: ripristino di tagli a servizi pubblici essenziali, sostegno al reddito dei
ceti sociali disagiati, riduzione dello scaduto di pagamenti dovuti dalle
pubbliche amministrazioni ai fornitori ecc.
In particolare,
la quota destinata a ridurre il costo del lavoro del settore privato riporta la
competitività delle aziende italiane ai livelli tedeschi, ottenendo (per altra
via) effetti simili a un
riallineamento valutario.
I CCF non sono debito pubblico: lo
Stato non li rimborserà alla scadenza. Li accetterà invece a saldo di obbligazioni
finanziarie. I CCF sono una moneta
nazionale con utilizzo differito, che lo Stato italiano può emettere autonomamente
e che potrà affiancare l’euro.
Il percettore
dei CCF potrà monetizzarli in anticipo rispetto alla scadenza, con uno sconto
di mercato finanziario, oppure utilizzarli per transazioni tra privati (saranno
infatti illimitatamente e liberamente trasferibili).
Recenti stime
formulate da eminenti studiosi (tra cui Olivier Blanchard, capo economista del
Fondo Monetario Internazionale, e Paul Krugman, Premio Nobel 2008) indicano che
in una situazione di economia depressa, uno stimolo al potere d’acquisto e alla
domanda produce effetti di espansione del PIL più che proporzionali. Un multiplo
comunemente rilevato in queste analisi è 1,3 circa.
Quindi
l’immissione di 200 miliardi di CCF nell’economia italiana causerebbe 260 miliardi
di maggior PIL. Questo consente di recuperare tutti gli effetti della crisi, in
termini di reddito e di occupazione.
In
conclusione il progetto Certificati di Credito Fiscale consente:
-La
forte e rapida ripresa dell’economia.
-Il
ripristino dei livelli di occupazione precedenti alla crisi.
-Il
considerevole miglioramento del debito pubblico in rapporto al PIL.
-Il
riallineamento della competitività del lavoro italiano ai livelli tedeschi,
senza penalizzare (anzi migliorando) i redditi dei lavoratori.
Ludovico Fulci: qualsiasi iniziaiva volta al rilancio della domanda va benissimo... unico problema è che essendo "scontabili" prima del biennio, si rischierebbe la loro concentrazione in mano dei più ricchi che sarebbero in grado di attendere il decorso del biennio a partire dal quale potrebbero essere utilizzati a valore pieno. questo potrebbe rischiare di favorire la speculazione (compro subito un ccf a 100 dato che tra due anni mi varrà 200...) anche se con risvolti positivi nel breve termine per l'economia reale... io vedo meglio un programma di investimenti pubblici in nuove lire, con supporto all'economia reale nei settori strategici dell'economia nazionale e una introduzione, in ogni regione di una moneta locale, in funzione di supporto delle attività artigianali locali e come introduzione di un reddito di cittadinanza.
RispondiEliminaE' un rischio molto meno significativo di quanto sembra perché il tasso di sconto sarebbe in realtà in linea con quello di un BOT a due anni (forse addirittura più basso perché sono titoli senza rischio di default, è una situazione analoga ai Mosler Bond, come notava lo stesso Warren Mosler). I CCF possono comunque essere usati per tutte le finalità per le quali tu useresti le "nuove lire". Importante però è che una parte vada a ridurre il costo del lavoro (compensando le imposte gravanti sulle aziende, senza penalizzare i lavoratori). Questo permette di riallineare la competitività intra area euro (Italia vs Germania in particolare).
EliminaI CCF sono assegnati gratuitamente a datori di lavoro del settore privato (80 miliardi circa), a lavoratori (dipendenti e autonomi) sia del settore privato che del settore pubblico (70 miliardi circa): non mi è chiaro con quali criteri lo stato distribuirebbe questi regali. O forse non sono regali ma restituzione di somme dovute. Non mi è chiaro. Grazie
RispondiEliminaIl criterio è l'ammontare dei costi di lavoro sostenuti dall'azienda (da un lato) e delle retribuzioni nette dei dipendenti (dall'altro). Si riduce il costo del lavoro e si aumentano i redditi. Questo incrementa la competitività delle aziende (quindi l'export) e la domanda dei consumatori italiani. Si genera un forte incremento di occupazione e di PIL, le entrate fiscali salgono e questo compensa l'utilizzo (alla loro scadenza, due anni dopo l'emissione) dei CCF per pagare imposte.
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