Mie risposte ad alcune
obiezioni formulate in merito all’applicazione del progetto CCF nella
Repubblica di San Marino. Sulla stampa locale sono già apparsi alcuni articoli,
inserisco prossimamente i link ai prossimi che riporteranno questo scambio di
opinioni.
Ringrazio il
dott. Giovanni Benaglia per le sue osservazioni in merito al progetto
Certificati di Credito Fiscale (CCF), che mi danno l’opportunità di chiarire,
credo e spero in modo esaustivo e convincente, i dubbi sollevati.
In primo luogo,
in caso di applicazione a un’economia piccola come quella della Repubblica di
San Marino, si dice, “solo una minima parte degli operatori economici sarà
disposta a ricevere quelle che di fatto sono delle cambiali spendibili dopo due
anni piuttosto che del denaro contante” e quindi “il valore di mercato sarà di
gran lunga inferiore rispetto a quello nominale”.
In realtà, i CCF
costituiscono un impegno nei confronti di uno stato sovrano dotato di potere di
imposizione fiscale. In questo senso è lecito assimilarli a una cambiale: ma il
valore di una cambiale non è legato alla dimensione della controparte, bensì
alla sua affidabilità.
Ora, attuando il
progetto a San Marino i CCF a partire da due anni dalla loro emissione, saranno
– per legge – illimitatamente accettati dalla Repubblica per onorare qualsiasi
impegno finanziario nei suoi confronti: tasse e imposte in primo luogo. Non
esiste un problema di affidabilità, in quanto la Repubblica si impegna ad accettare
i CCF, non a rimborsarli. Sono una sorta di moneta a utilizzo differito.
L’unica
circostanza sotto la quale i CCF potrebbero subire una forte penalizzazione di
valore è se venissero emessi in quantità superiore o comunque vicina agli
incassi fiscali ed erariali della Repubblica nell’anno in cui diventano
utilizzabili. In questo caso il titolare potrebbe dover attendere un periodo di
tempo più lungo per riuscire effettivamente a utilizzarli. Ma, nella
formulazione attualmente prevista per il progetto nel caso italiano, si parla
di 200 miliardi di emissioni che diventano utilizzabili ogni anno a fronte di
incassi statali complessivi di 800: un rapporto che lascia totalmente
tranquillo il titolare. Per San Marino, si avrebbero dati - naturalmente -
inferiori, ma la proporzione sarebbe grosso modo la stessa.
Un’altra
obiezione formulata dal dott. Benaglia è che se “l’aumento delle entrate
fiscali generato dalla circolazione” dei CCF non fosse sufficiente, si avrebbe
“uno sbilancio negativo” e quindi “un aumento esponenziale del deficit pubblico”
(in futuro). Ma anche qui è una questione di proporzioni. L’esperienza storica
insegna che immettere capacità di spesa in un’economia depressa produce
crescita di PIL in proporzione superiore all’unità, appunto perché si attiva un
meccanismo virtuoso: il soggetto che spende attiva produzione, quindi reddito
di altri operatori, che a loro volta mettono in moto spesa e occupazione,
eccetera. Anche adottando ipotesi molto prudenti, il risultato finale è un
netto miglioramento dei parametri di finanza pubblica: non viceversa.
Il dott.
Benaglia conclude che “stampare moneta o suoi surrogati non è la via salvifica
per uscire dalla crisi. L’unica strada è quella di rendere disciplinati Stati
Sovrani troppo spendaccioni”. Ma proprio l’esperienza dell’Eurocrisi dimostra
il contrario. Sono andati in difficoltà paesi con un debito pubblico elevato
rispetto al PIL come l’Italia e la Grecia, ma anche altri che erano considerati
modelli di rettitudine fiscale, dove nel 2008 il debito era nettamente sotto le
medie europee (sempre in rapporto al PIL): come la Spagna e l’Irlanda, che
partivano dal 30-40%.
Uno degli errori
fondamentali nella sciagurata gestione dell’Eurocrisi è stato proprio quello di
imporre azioni di austerità fiscale ai paesi in difficoltà per “riconquistare
la fiducia dei mercati”. Il risultato è stato un crollo della domanda,
dell’occupazione e del PIL, con gravissime conseguenze economiche e sociali e,
per di più, un fortissimo peggioramento (e non viceversa) del rapporto
tra debiti pubblici e PIL.
Stampare moneta
risolve una crisi come l’attuale non perché la moneta in sé sia un oggetto
miracoloso. La moneta è l’avvio della soluzione quando viene utilizzata per
aumentare i livelli di domanda nell’ambito di un sistema economico dove la
domanda medesima è depressa, cioè nettamente inferiore alla potenzialità del
sistema. Se emetto moneta e la utilizzo per aumentare la spesa diretta dello
stato o (indirettamente, per esempio abbassando le imposte) la spesa privata di
aziende e cittadini, la domanda sale e le risorse produttive inoperose si
rimettono al lavoro: in altri termini, si riassorbe la disoccupazione.
Aggiungo che quando
il sistema ha recuperato le sue normali condizioni di funzionamento, una
maggiore emissione di moneta finalizzata a incrementare la domanda non
produrrebbe ulteriori crescite di produzione e di occupazione, ma solo di
prezzi (quindi di inflazione). A quel punto l’azione di emissione di moneta (e
suoi surrogati) e di sostegno alla domanda ha raggiunto il suo livello corretto.
Moneta e domanda
non sono né un elisir né una pietra filosofale. Sono un meccanismo di
regolazione del sistema economico, un termostato che deve essere posizionato in
modo che la casa non sia né troppo fredda né troppo calda.
Ma l'austerità non viene imposta per risolvere la crisi ma per prendere i soldi che la finanza ha creato coi derivati.
RispondiEliminaLa crisi non la risolve, questo è stato compreso dappertutto (meno che a Bruxelles, Berlino e Francoforte, pare... ma per quanto ancora ?)
Eliminaper sempre, l'europa non cambierà mai....
RispondiEliminai ricchi non vogliono il libero mercato...
i poveri vorrebbero il comunimso ma è impossibile...
la classe media accetta la deflazione pur di non perdere certi diritti acquisiti...
le industrie devono accettare per forza che devono rivolgersi all'estero o chiudere...
quindi nessun cambiamento....
Via, questi fenomeni sono avvenuti spesso, ma la storia ha sempre riportato il pendolo nell'altra direzione, alla fine. Succederà anche questa volta.
Eliminaquale direzione?
EliminaRipresa della crescita economica, riformazione della classe media, maggiore eguaglianza.
Eliminacioè tarallucci e vino
EliminaCome fate ad essere sicuri che l'espansione del credito creata dai CCF non venga utilizzata per fare finanza e non per fare consumo. Perché se non l'abbiamo capito la gente non investe più in industria ma in soldi. Grazie a chi vorrà rispondermi.
RispondiEliminaPerché li diamo DIRETTAMENTE a cittadini e aziende (a queste ultime, in funzione dei costi di lavoro che sostengono, quindi dell'occupazione che generano) NON al sistema finanziario (come avviene con il quantitative easing e diavolerie simili...): vedi qui
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