Anche gli
economisti e i commentatori più prestigiosi sono vittima di un grosso equivoco
in merito all’eurocrisi. Ieri, un post di Paul Krugman me l’ha, una volta di
più, ricordato.
Il punto chiave
del post è l’affermazione contenuta alla fine del primo paragrafo: una
soluzione è impossibile a meno che la Germania non accetti un tasso d’inflazione
più elevato (rispetto all’Eurozona Sud).
Per soluzione,
Krugman intende l’adozione di politiche macroeconomiche, nell’ambito dell’Eurozona,
che rilancino PIL e occupazione, senza però riprodurre gli sbilanci di saldi
commerciali che sono stati tamponati (dal 2011 in poi) solo a costo di
pesantissime politiche di austerità e dell’esplosione della disoccupazione nei
paesi mediterranei. Tutto questo, senza mettere in atto la “spaccatura” della
moneta unica e il ritorno alle monete nazionali.
I paesi mediterranei
sono meno competitivi della Germania. Quindi – l’hanno fatto notare in molti –
se attuano un’azione espansiva della domanda, buona parte andrà ad
aumentare le importazioni e non la produzione interna. L’effetto di ripresa di PIL
e occupazione sarà quindi modesto, si creeranno problemi di deficit commerciale
e riprenderà a salirà il debito del Sud Europa verso l’estero.
Se “spacchiamo”
l’euro, le monete del Sud si svaluteranno rispetto alla moneta tedesca e questo
problema verrà evitato. Se invece vogliamo evitare il breakup, dice Krugman, l’unica
possibilità è che prezzi e, soprattutto, salari crescano più velocemente in
Germania rispetto al Sud. Oggi c’è una differenza di costo del lavoro per unità
di prodotto stimata nel 20% circa. Per recuperare questa differenza in un
periodo di tempo non lunghissimo (ma neanche breve – qualcosa tipo cinque anni)
serve un’inflazione salariale, in Germania, parecchio più alta rispetto al Sud:
per esempio 5% annuo contro 1%.
Ora, Krugman sbaglia nel dire che questa è la sola soluzione
della crisi che evita il breakup della moneta unica. C’è un’altra strada, che
tra l’altro non richiede anni per completare l’aggiustamento della
competitività tra Sud e Germania ma ha, al contrario, effetti IMMEDIATI:
permettere ai paesi dell’Eurozona mediterranea una grossa azione espansiva, e
utilizzare una parte significativa di questa azione per ridurre il costo del lavoro che grava sulle aziende (in particolare, con forti sgravi di tasse e
contributi).
E questo può
essere fatto in due modi: o, semplicemente, l’Eurozona Sud innalza i deficit,
abbassa le tasse sul lavoro e la BCE continua, di fatto (come sta facendo già oggi)
a garantire la solvibilità degli stati.
Oppure, l’Eurozona
Sud introduce monete parallele all’euro, quali i Certificati di Credito Fiscale,
e le utilizza per finanziare le azioni espansive e di riallineamento della
competitività - come delineato nella Riforma Morbida.
Quindi sbaglia
chi dice che, tecnicamente, non c’è soluzione alla crisi senza breakup dell’euro.
Ma sbaglia anche Krugman nell’indicare come senza alternative una strada (una più alta
crescita di prezzi e salari in Germania) che, oltre a non essere la sola, è
anche lenta e inefficiente.
Questo
è un punto estremamente importante. Lo sto continuamente ripetendo da quando ho
cominciato a proporre la Riforma Morbida e sono, sinceramente, molto stupito da
quanto sia difficile farlo comprendere. L’obiezione che espandere la domanda
senza svalutare non funziona (perché squilibra i saldi commerciali dei paesi meno competitivi) mi viene sollevata da tantissimi interlocutori:
ma il modo per evitarlo (l’intervento sul cuneo fiscale) non mi sembra
affatto un passaggio complicato.
C’è, poi, la
dimensione politica del problema, e questo è l’altro tema dove la Riforma
Morbida mi appare una strada decisamente più plausibile di ogni altra
soluzione.
L’atteggiamento
della Germania, sgradevole finché si vuole, criticabile finché si vuole, non
cooperativo finché si vuole, a me appare molto semplice da interpretare. Non è
disposta a fare NULLA che venga incontro ai problemi dei vicini, per quanto essenziali possano essere queste richieste per riportare
l’Eurozona alla prosperità economica.
Quindi no ai
trasferimenti, no alla rivalutazione della moneta tedesca (che implica perdita
di competitività per la Germania e svalutazione dei crediti tedeschi verso il
Sud) e no all'accettazione di alti livelli di inflazione e di crescita dei salari
in Germania.
Le analisi dello
scenario politico naturalmente sono più aleatorie di quelle tecnico-economiche.
Ma, se è vero quanto sopra, non passerà neanche un’azione espansiva finanziata
o garantita dalla BCE. Perché comunque è una richiesta a cui la Germania
dovrebbe acconsentire. E la risposta sarebbe sempre no.
Il massimo che
ci possiamo attendere, oggi che l’indebolimento generale dell’economia sta
creando rallentamenti anche in Germania, è lo stretto indispensabile per
riportare il trend tedesco a livelli
decorosi. Quindi un po’ di flessibilità sull’interpretazione dei limiti di
Maastricht magari ci sarà, e non verrà applicato il Fiscal Compact perché è assolutamente ineseguibile. Insomma quel tanto che basta a riportare la
crescita reale tedesca intorno all’1,5%-2%. Non di più: a quel livello l’industria
esportatrice tedesca sta già bene ed evita eccessive richieste salariali dai
dipendenti.
Ma questo
implica che l’Italia resta a zero, la Francia al massimo poco sopra e la
disoccupazione continua ad aumentare o a rimanere altissima in tutta l’Eurozona
mediterranea.
Politicamente,
ritengo la Riforma Morbida la via di gran lunga più plausibile: perché non è
deflagrante (al contrario del breakup), ma nello stesso tempo può essere adottata per
azione unilaterale di singoli paesi. Senza chiedere NIENTE alla Germania, in
altri termini: che è una condizione politica essenziale.
Richiede, comunque,
una forte volontà, oggi assente sia in Italia che in Francia. Ma il continuo
deterioramento della situazione economica porterà a cambiamenti.