Alcuni passaggi
di questo articolo di Wolfgang Munchau, pubblicato pochi giorni fa dal Financial
Times, suggeriscono varie considerazioni in merito alla crisi greca ma anche, e
forse soprattutto, alla possibilità di riformare e rendere funzionale
l’eurosistema.
“There is room for creative solutions. The choices are not binary:
German-imposed austerity versus Grexit. There are intermediate options superior
to both”.
“C’è spazio per
soluzioni creative. Le scelte non sono binarie: austerità imposta dalla
Germania o uscita della Grecia dall’euro. Ci sono opzioni intermedie superiori
a entrambe”.
“Another option could be a debt obligation that has some characteristics
of money – a parallel currency. It could be used as a medium of exchange,
though not necessarily as a unit of account. Its value would still be expressed
in euro”.
“Un’altra
opzione è un obbligazione di debito che ha alcune caratteristiche della moneta
– una valuta parallela. Potrebbe essere usata come intermediario di scambio, ma
non necessariamente come valuta di conto. Il suo valore continuerebbe a essere
espresso in euro”.
Quest’ultimo
paragrafo descrive esattamente alcune caratteristiche di una Moneta Fiscale Complementare
emessa nella forma di CCF (Certificato di Credito Fiscale). La nostra proposta è di emettere titoli utilizzabili, a partire da due anni dopo l’assegnazione
originaria, per pagare tasse, imposte e, in generale, obbligazioni finanziarie
verso la pubblica amministrazione dello stato emittente. I CCF hanno un valore
in quanto l’assegnatario (che li riceve gratuitamente) sa che potrà utilizzarli
per pagare tasse in futuro: e anche cederli liberamente ad altri soggetti se ha
bisogno di trasformarli in euro prima della scadenza. Sarà, inoltre, possibile
effettuare compravendite regolate direttamente in CCF.
Il CCF,
peraltro, è denominato in euro. La valuta di conto rimane l’euro, i depositi e
i titoli in circolazione rimangono espressi in euro, i bilanci delle aziende
continuano a essere redatti in euro. Se un’azienda vende un prodotto per 1.000
CCF, registra a bilancio un fatturato pari a 1.000 moltiplicato per il valore
corrente del CCF. Se in quel momento un CCF quota, sul mercato finanziario,
0,95 euro, il fatturato registrato per quella transazione sarà pari a 950 euro.
Il trattamento contabile delle vendite regolate in CCF è identico a quello di
un’operazione effettuata, per esempio, in dollari: si convertono i dollari alla
quotazione della data di fatturazione. La differenza è che mentre dollaro ed
euro sono valute diverse, il CCF è uno strumento finanziario “agganciato” all’euro,
che vale qualcosa in meno, fondamentalmente, a causa del differimento di
utilizzo (due anni dopo l’assegnazione originaria).
Tornando all’attuale
problema del governo greco, il suo dilemma è di essersi impegnato, nei
confronti dell’elettorato, a mettere fine all’austerità (quindi ad effettuare
azioni di politica economica espansiva) senza però abbandonare l’euro. Ma per
uno stato che non emette la sua moneta questo non è possibile, a meno che l’emittente
della moneta (o il mercato dei capitali privati) non sia disposto a finanziarlo
o a sovvenzionarlo.
La via di uscita
da questo impasse è che la Grecia mantenga l’euro, nel senso che l’euro
continua ad avere corso legale in Grecia, senza nessuna ridenominazione o
conversione di titoli, conti bancari, stipendi, pensioni, contratti eccetera.
Le azioni espansive vengono invece effettuate emettendo CCF.
La Grecia può a
questo punto impegnarsi a determinati livelli di surplus, cioè di saldo annuo
tra spese IN EURO e incassi fiscali IN EURO, sufficienti a soddisfare i
creditori. L’emissione di CCF produrrà il rilancio dell’economia senza
pregiudicare quest’ultimo impegno.
Poiché i CCF
hanno un utilizzo differito (due anni, nella proposta) l’intervallo temporale
tra emissione dei CCF e loro impiego per pagare tasse consente allo stato
emittente di produrre i maggiori incassi fiscali che consentiranno, anche successivamente al momento in cui i CCF saranno utilizzati, di mantenere l’impegno a
generare surplus (in euro).
La Grecia
potrebbe anche, nell’ambito degli accordi, prevedere che, se per qualsiasi
motivo (ad esempio una temporanea fase di debolezza dell’economia
internazionale) in un determinato anno futuro il surplus in euro non
raggiungesse gli obiettivi, alcune forme di spesa potrebbero essere effettuate
in CCF (di valore equivalente) e non in euro. Sarebbe un ulteriore fattore di
salvaguardia e tutela dei creditori, poco o nulla penalizzante per l’economia
greca – in quanto non si impongono tasse o tagli, ma solo conversioni della
forma in cui vengono sostenute alcune spese.
Questa è una via
che concilia i due impegni elettorali del governo greco: abbandonare l’austerità
ma non uscire dall’euro, nel senso di non “rompere” nessun contratto in essere
e di non ridenominare nessuna attività finanziaria e nessun rapporto giuridico.
Se UE e BCE non
accettassero un’ipotesi di questo tipo, la responsabilità di “staccare la
spina”, cioè di mettere la Grecia fuori dall’euro, rompendo l’architettura del
sistema, sarebbe totalmente loro.