Come discusso in questo post, l’attuale Eurosistema impone agli stati membri l’adozione di
“clausole di salvaguardia”, sotto forma di interventi restrittivi nel caso in
cui determinati obiettivi di finanza pubblica – in particolare il rapporto tra deficit
pubblico e PIL – rischino di non essere conseguiti.
Questi interventi
hanno, come visto, effetti pesantemente prociclici nel momento in cui il
mancato raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica è causato dalla
debolezza della congiuntura. Se il deficit pubblico è più alto del previsto
perché il contesto economico generale è sfavorevole, è estremamente
controproducente reagire con incrementi di tassazione e/o tagli di spesa. Il
risultato è di indebolire ulteriormente la domanda, con pesanti conseguenze su
occupazione e PIL.
Per tale motivo, le
politiche di austerità imposte a vari paesi dell’Eurozona, in particolare da
metà 2011 in poi, hanno aggravato e incancrenito la crisi invece di risolverla:
questo, particolarmente nei paesi che le hanno adottate con maggiore intensità,
quali Grecia e Italia. Meno peggio è andata a chi ha attuato l’austerità (a
fatti, anche se magari non a parole) in modo meno intenso. E’ il caso ad
esempio di Spagna e Irlanda. Vedi qui, qui, qui e qui per una serie di dati e
di commenti sul tema.
Nell’ambito del progetto CCF, l’intero sistema delle clausole di salvaguardia può essere costruito in modo
enormemente meno penalizzante per le economie dei vari stati, condizione chiave
per arrivare a un sistema monetario e di governance economica
efficiente e sostenibile.
Nel momento in cui
l’Italia constatasse un andamento dell’economia meno favorevole del previsto,
con la previsione ad esempio di mancare dell’1% l’obiettivo di deficit pubblico
in rapporto al PIL, lo scompenso potrebbe essere sanato adottando uno o più (in
combinazione) dei seguenti interventi.
UNO, conversione
in CCF di alcune spese, di cui era previsto il sostenimento in euro.
DUE, introduzione
di tasse (o aumento di tasse esistenti) a fronte del pagamento delle quali il
contribuente riceve un ammontare equivalente di CCF. In effetti non si
tratterebbe di un vero prelievo fiscale, ma di una conversione forzata di euro
contro CCF.
TRE,
incentivazione (su base volontaria, in questo caso) ai titolari di CCF a
posporre il loro utilizzo a fronte dell’incremento del loro valore facciale (in
pratica è il riconoscimento di un interesse pagato in “moneta fiscale”).
QUATTRO, collocamento
sul mercato (ovviamente anche in questo caso su base volontaria) di CCF in
cambio di euro.
I provvedimenti
sub TRE e QUATTRO sono per definizione economicamente indolori, in quanto
vengono attuati solo nei confronti di chi ritiene di aver interesse e
convenienza ad aderirvi.
I provvedimenti
sub UNO e DUE sarebbero invece imposti con atto di legge. Facciamo l’ipotesi,
conservativa al massimo grado, in cui il governo italiano non riesca a ottenere
nulla dalle azioni TRE e QUATTRO, e sia quindi costretto ad agire solo in forza
di provvedimento legislativi (e non mediante operazioni di mercato).
Nel caso di un
rischio di maggior deficit dell’1% rispetto agli obiettivi di finanza pubblica,
come sopra ipotizzato, si tratterebbe di circa 16 miliardi di euro in totale.
Immaginiamo di ripartire
l’azione in parti uguali, per metà adottando il provvedimento UNO (conversione
in CCF di alcune spese, di cui era previsto il sostenimento in euro) e per metà
adottando il provvedimento DUE (introduzione di tasse o aumento di tasse
esistenti, a fronte del pagamento delle quali il contribuente riceve un
ammontare equivalente di CCF).
Si tratterebbe
quindi di circa 8 miliardi di conversioni di spesa, e di altri circa 8 di
raccolta di euro in cambio di erogazione di CCF. Le cifre corrispondono all’1%
circa della spesa pubblica totale (nel primo caso) e del gettito fiscale
complessivo (nel secondo).
Mi sembra evidente
la differenza tra una sostituzione
di spesa (erogo a dipendenti pubblici, pensionati, fornitori della pubblica
amministrazione qualche euro in meno, ma
in cambio do CCF all’incirca di pari valore) e un taglio secco.
Analogamente, è
ben diverso subire un incremento di prelievo fiscale, rispetto a un prelievo di euro sostituito da un
erogazione di CCF, anche in questo caso all’incirca di pari valore.
Le azioni adottate
in Italia, principalmente tra metà 2011 e metà 2012 e soprattutto ad opera del
governo Monti, sarebbero state enormemente meno recessive se attuate con queste
modalità. Con ogni probabilità, l’Italia avrebbe evitato una contrazione del 4%
circa complessivo del PIL tra 2012 e 2013 - approssimativamente circa 60
miliardi di euro annui. Il maggior
gettito fiscale prodotto dal più alto livello di PIL sarebbe stato molto
superiore a quanto necessario per compensare l’effetto futuro dei CCF una volta
giunti a scadenza.
Analogamente, le
clausole di salvaguardia sopra delineate garantiscono un altissimo livello di
gestibilità, nell’ipotesi di attuazione del progetto CCF, a fronte di eventuali
sviluppi meno favorevoli del previsto – dovuti a una risposta dell’economia
meno rapida, o alle condizioni generali del contesto economico nazionale o
internazionale.