Che il Quantitative
Easing di Draghi non funzioni è ogni giorno più evidente, e l’opinione pubblica
ne sta sempre più comprendendo le ragioni. Se stampi moneta ma pretendi nello
stesso tempo di ridurre i deficit pubblici degli stati, non metti potere d’acquisto
a disposizione di famiglie e aziende: al contrario, lo sottrai. Non è possibile
incrementare i prezzi, né tantomeno recuperare domanda, occupazione e
produzione, per questa via. Previsioni ripetute più volte, da anni, che i fatti
hanno pienamente confermato.
Vale la pena
tuttavia di soffermarsi su un’altra critica spesso formulata al QE, in questo
caso molto meno a ragione: il rischio che il QE alimenti bolle speculative,
ovvero la crescita dei prezzi di determinate attività finanziarie a livelli
disallineati da valori “equilibrati”.
Questi rischi
sono molto meno concreti di come vengono rappresentati. Il motivo è che la
crescita impetuosa del prezzo di beni scambiati sui mercati dei capitali –
azioni, immobili, metalli preziosi, materie prime – richiede fiducia nell’andamento
dell’economia reale. Le bolle speculative si creano, in effetti, a seguito di
un lungo periodo di crescita economica forte e stabile. Non è l’eccesso di
creazione di base monetaria da parte delle banche centrali a produrle, e
neanche tassi d’interesse particolarmente bassi. E’ l’eccesso di euforia
generato da un contesto economico che è stato stabilmente positivo per lungo
tempo.
Il crollo di
Wall Street del 1929, la caduta del Nasdaq nel 2000, la crisi
creditizio-immobiliare del 2008 non sono state prodotte dal QE o dalle banche
centrali che avevano portato a zero i tassi d’interesse sui titoli di Stato. Nel
periodo precedente alla crisi, l’economia era tonica e l’ultima cosa che le
banche centrali si sognavano era di fare QE. La caduta a zero dei tassi d’interesse
è la conseguenza della scoppio delle bolle finanziarie, non la causa della loro
formazione.
In tutti i paesi
oggi economicamente depressi, in particolare nell’Eurozona, non ci sono bolle né
sul mercato azionario né su quello immobiliare. Non è in bolla neanche la borsa
USA: analizzando le tendenze storiche, i valori attuali sono da considerare
equilibrati (nel senso che investendo oggi, i rendimenti reali di lungo termine
saranno in linea con le medie storiche), né alti né bassi. Per tacere del
petrolio e delle altre materie prime, i cui prezzi non erano così contenuti da
parecchi anni.
Un segmento
importante del mercato dei capitali dove si vedono prezzi che possono essere considerati
anomali in effetti c’è, ed è quello dei titoli di Stato. Ancora pochi anni fa,
sarebbe stato difficilissimo prevedere rendimenti negativi, su scadenze fino a
due anni per l’Italia, fino a dieci (!) per la Germania. E tassi negativi significano
titoli senza cedola (cioè che non pagano interessi) con quotazioni superiori a
100. Quotazioni, quindi, superiori al prezzo di rimborso finale: presto soldi a
qualcuno sapendo che me ne rimborserà di meno (oltre a non pagarmi interessi…).
Questa è
sicuramente un’anomalia. Ma la sua origine non è l’euforia speculativa degli
operatori finanziari. E’ il fatto che la BCE sta comprimendo al massimo i tassi
d’interesse, acquistando titoli e dichiarando che continuerà nel QE fino a
quando l’inflazione non sarà risalita a livelli prossimi all’obiettivo del 2%.
E i tempi di questa risalita non sono prevedibili perché le politiche dell’Eurosistema
si ostinano a non contemplare l’espansione fiscale – spesa pubblica,
trasferimenti ai privati, riduzione di tasse – che è di gran lunga la via più
rapida e sicura per far risalire i prezzi, tramite il rafforzamento di produzione
e occupazione.
Un chiarimento opportuno (poi mi riprometto di tornare sul punto prossimamente): per bolla speculativa s'intende un prezzo di mercato (per un'attività finanziaria o comunque per un bene d'investimento) scorrelato da qualsiasi sensata valutazione economica, ma che determinati investitori sono comunque disposti a pagare presumendo che il prezzo è inevitabilmente destinato a salire, sull'onda di una perdurante euforia.
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