domenica 17 gennaio 2016

Euro e turbolenza dei mercati azionari

Non è che si voglia dare all’euro la colpa di tutto, compreso se il Milan va male o se non nevica in montagna…

Ma le disfunzionalità dell’Eurosistema influenzano negativamente l’economia di tutto il mondo, e i mercati finanziari finiscono per risentirne.

Le ragioni sono meno evidenti a chi non risiede in uno dei paesi depressi dell’Eurozona. Questo articolo ad esempio elenca una serie di giustificazioni, (grosso modo quelle che si leggono dappertutto sui media internazionali) per la caduta degli indici di borsa USA da inizio anno ad oggi (-8% per l’SP500, alla faccia del "January Effect"...)

Vengono debitamente elencati il calo del prezzo del petrolio, le incertezze sull’economia e sulla borsa cinese, il rafforzamento del dollaro che penalizza i risultati delle multinazionali USA, i dubbi sul mercato del credito statunitense, gli interrogativi sulle prossime mosse della Federal Reserve.

L’euro non viene menzionato, ma è (che gli autori dell’articolo se ne rendano conto o meno – probabilmente no) il convitato di pietra.

In corrispondenza con il varo dell’euro-QE, il dollaro si è fortemente rafforzato rispetto all’euro. Come s'era detto allora, la svalutazione competitiva dell’euro era l’unico canale tramite il quale il QE poteva dare un qualche apprezzabile sostegno alla crescita dell’Eurozona.

Ma: la valuta cinese si è rafforzata di pari passo con il dollaro, essendogli agganciata. A partire dall’estate, si è cominciato a sospettare che la Cina facesse fatica a reggere questa rivalutazione.

Ma: se la Cina svalutasse repentinamente rispetto al dollaro, gli USA ne risentirebbero in modo per loro difficilmente accettabile, e con ogni probabilità stanno facendo pressioni sui cinesi per evitarlo.

Ma: la Cina intanto rallenta, importa meno petrolio e commodities, il calo dei prezzi si accentua e aumentano le difficoltà per i paesi che le producono.

Ma: gli utili delle aziende USA non sono tonici come si pensava, e anche il mercato del credito (high-yields in particolare) mostra alcune crepe.

Ma: la Federal Reserve tra molti tentennamenti a dicembre aveva attuato, finalmente, un incremento di un quarto di punto nei tassi di riferimento, che doveva attestare l’uscita dalla “trappola della liquidità” ed essere l’inizio di un graduale processo di normalizzazione rispetto ad anni di tassi ultra bassi. Ed ora si è in dubbio sui tempi di questa normalizzazione. Anzi, diventa più credibile chi già prima dubitava che lo stesso quarto di punto dicembrino fosse una mossa opportuna…


Che questi malesseri diffusi debbano portare a grossi sconvolgimenti, continuo a ritenerlo improbabile. Il rischio però non è nullo, come le borse hanno debitamente registrato. E il nesso con le disfunzionalità dell’Eurosistema mi appare indubbio.

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