domenica 28 febbraio 2016

Scaletta per videointervista

[Realizzata in preparazione della videointervista con Alessandro Plateroti. Poi come spesso succede – credo – non l’abbiamo proprio seguita passo passo… l’intervista è venuta comunque bene a mio avviso – grazie alla verve dell’intervistatore – quindi guardatela se non l’avete già fatto… ma leggete anche la scaletta !].



Marco Cattaneo: Merchant banker, organizza e investe in operazioni di private equity e credito strutturato. Presidente CPI Private Equity.

Inoltre, promotore (con un gruppo di ricercatori) del progetto “Certificati di Credito Fiscale”.

Attività di merchant banking prevalemente in collaborazione con grossi asset manager internazionali (quelli a volte definiti locuste…).

In passato molte operazione con PMI imprenditoriali (una dozzina).

Ora segmento molto meno attivo per il generale clima di stagnazione e incertezza. Operatività soprattutto su NPLs, procedure concorsuali ecc. Segno dei tempi.

Qual è il problema ? dalla crisi così non si esce.

Non c’è ripresa se non si consente una grossa azione espansiva della domanda.

E’ sempre così successivamente a una crisi finanziaria prodotta dallo scoppio di una bolla (Lehman 2008).

Ne è uscito chi ha fatto grossi deficit di bilancio pubblico (7, 8, anche 10% USA, UK, anche Spagna e Irlanda).

Eccezione Germania grazie a enormi surplus commerciali. Ma non li possono avere tutti insieme !!

Tentativo di ridurre il debito in situazione di domanda depressa ha collassato economia, soprattutto in Grecia e in Italia. E il debito è salito lo stesso.

Quindi occorre rilanciare la domanda, ma i decimali che chiede Renzi (le “flessibilità”) sono irrilevanti. Servono punti di PIL, 20-30 miliardi all’anno per partire.

Come se ne esce senza spaccare l’euro ?

Assegnazione gratuita di Certificati di Credito Fiscale (CCF).

Titoli che danno diritto a sconti fiscali futuri (es. a due anni dall’emissione).

Hanno valore fin dal momento dell’assegnazione (valore certo a termine), possono essere negoziati e scambiati.

Utilizzo per incrementare salari reali, ridurre i costi delle imprese, anche spesa sociale e investimenti pubblici.

Al momento della maturazione ceteris paribus riducono il gettito, ma nel frattempo l’economia è ripartita, maggior PIL produce entrate fiscali che compensano l’effetto.

Se mai ci fosse uno sfrido temporale: “clausole di salvaguardia non procicliche”. Non tagli e tasse quando sei in difficoltà, che ti ammazzano (vedi 2012-2013). Invece per esempio una tassa in più prelevata in euro, ma in cambio di CCF. Intervento pressoché indolore.

Risultato: si ottengono gli obiettivi del Fiscal Compact ! saldo entrate – uscite pubbliche italiane (euro spesi meno euro incassati) in equilibrio. Debito diminuisce in rapporto al PIL.

C’è in circolazione una certa quantità di CCF, ma quello non è debito, non deve essere rimborsato, la BCE non lo deve garantire.

La moneta in circolazione, l’unità di conto, rimane l’euro. Non ci sono rotture né ridenominazioni.

Totalmente compatibile con trattati e regolamenti. Non è debito, né moneta legale ad accettazione obbligatoria in tutta l’Eurozona. Quella rimane l’euro.

Si fa leva (1) sulla capacità produttiva oggi inutilizzata dell’economia italiana e (2) eventualmente sul risparmio accumulato, ma non nel senso che si abbatte il risparmio privato per rimborsare il debito pubblico (via patrimoniali o simili: sarebbe distruttivo). Al massimo convertendo un po’ di euro in CCF, per pari valore.

Disincentivo a emetterne troppi perché se li inflazioni cade il loro valore (ma non quello dell’euro).


Ripartono PIL e occupazione e il debito scende. SENZA CHIEDERE NULLA A NESSUNO.

sabato 27 febbraio 2016

Videointervista

Con Alessandro Plateroti, vicedirettore del Sole 24 Ore.

NON si parla solo di CCF... ma dalla seconda metà del video in poi, sì.

Nell'intervista si citano gli articoli usciti su Econopoly, che descrivono il progetto CCF. Sono questo e questo. Più altri su temi attinenti, e altri ancora in arrivo.

Qui il link al video.



giovedì 25 febbraio 2016

La doppia blindatura del progetto CCF



Le regole dell’attuale Eurosistema impediscono all’Italia di attuare adeguate politiche fiscali espansive, in quanto il sistema degli accordi (patto di stabilità e Fiscal Compact) punta al raggiungimento del pareggio di bilancio pubblico, cosa che dovrebbe permettere di ridurre gradualmente il rapporto tra debito pubblico e PIL.

En passant, la preoccupazione per il livello di debito pubblico italiano si giustifica, quasi totalmente, in quanto è debito denominato in una moneta (l’euro) che l’Italia non emette. Se l’Italia avesse potestà di emissione della moneta di denominazione del debito, sarebbe sempre in grado di evitare eventi di default.

Ma il debito è in euro, e questo spiega le preoccupazioni per il suo livello. Puntare a ridurlo (in rapporto al PIL) portando il bilancio pubblico in pareggio, tuttavia, avrebbe un senso se, e soltanto se, le azioni fiscali restrittive non avessero l’effetto di comprimere i livelli di attività economica, e anche l’inflazione.

La storia di questi anni ha chiaramente mostrato che, al contrario, la via dell’austerità fiscale imboccata nel 2011 (in una situazione di domanda depressa a causa degli effetti - solo parzialmente recuperati - della “crisi Lehman” del 2008) ha impedito al PIL sia reale che nominale di crescere. Il rapporto debito pubblico / PIL ha quindi continuato ad aumentare, mentre gli effetti su produzione e occupazione (500.000 posti di lavoro persi tra 2012 e 2013) sono stati pesantemente negativi.

L’emissione di Certificati di Credito Fiscale, titoli che non sono debito (in quanto l’emittente non li deve rimborsare: sono utilizzabili per ridurre il pagamento di tasse future), consente di rilanciare domanda, produzione e occupazione.

La garanzia che il debito pubblico calerà in rapporto al PIL è data:

In primo luogo, dal fatto che l’economia italiana ha un grosso potenziale produttivo inespresso (9% di PIL reale in meno rispetto al 2007 – nove anni fa !) che può essere pienamente recuperato in pochi anni, a condizione di reintrodurre domanda nel sistema economico.

Proiezioni formulate in base a ipotesi conservative mostrano che una rapida ripresa è ottenibile (tramite il progetto CCF) portando nello stesso tempo in equilibrio il saldo tra incassi e pagamenti statali in euro, e riducendo velocemente il rapporto debito pubblico / PIL.

In secondo luogo, l’Italia può adottare una serie di altre azioni che da un lato accelerano la discesa del debito pubblico (da rimborsare in euro); dall’altro, coprono gli effetti di eventuali evoluzioni macroeconomiche meno favorevoli del previsto (ad esempio a causa della congiuntura internazionale).

Su base volontaria (*), è possibile collocare al pubblico CCF di lungo termine (titoli fiscali, con interessi e rimborso del capitale in “moneta fiscale”) e/o offrire al titolare di un CCF che giunge a scadenza la facoltà di accrescerne il valore a condizione di posporne l’utilizzo. In pratica, viene riconosciuto un tasso d’interesse “pagato” in moneta fiscale (seguo, qui, le linee di una proposta di Warren Mosler).

Su base forzosa, nel caso (da ritenersi fortemente improbabile) che tutto quando sopra non fosse sufficiente, è possibile convertire alcune spese pubbliche, corrispondendole in CCF e non in euro; e/o introdurre forme di imposizione fiscale che prevedono versamenti in euro compensati da erogazioni di CCF.

Quest’ultima eventualità equivale a introdurre “clausole di salvaguardia non-procicliche” prive dell’invasività e delle conseguenze depressive che caratterizzano quelle attualmente discusse nelle interazioni tra UE e governo italiano.

E’, evidentemente, ben diverso ridurre la retribuzione di un dipendente pubblico da 1.500 a 1.400 euro mensili, rispetto a lasciarla a 1.500, corrispondendone però 1.400 in euro e 100 in “moneta fiscale”.

Considerazioni analoghe si applicano al confronto tra un aumento di imposte “secco” di 100 euro al mese, e un maggior prelievo per i medesimi 100 euro compensati però da 100 CCF.

Il progetto CCF ha l’obiettivo di rilanciare domanda, produzione e occupazione, portando nello stesso tempo in equilibrio incassi e pagamenti statali da effettuarsi in euro, e riducendo rapidamente il rapporto debito pubblico / PIL.

Il successo del progetto è fortemente plausibile in quanto si fa leva per prima cosa sulla forte capacità produttiva inutilizzata dell’economia italiana.

In subordine, sulla garanzia costituita dall’elevato risparmio privato italiano. Questo risparmio privato è speculare all'alto livello di debito pubblico, ma ridurre il primo per abbattere il secondo è una via controproducente (e anzi catastrofica) in quanto contrae il potere d’acquisto in circolazione nell’economia, e di conseguenza la domanda e la produzione. Ne segue il peggioramento di occupazione e PIL: e NON si riduce il debito (perché la compressione del PIL abbatte il gettito fiscale).

La maniera corretta di utilizzare il risparmio privato a garanzia del debito pubblico consiste nell’offrire forme di conversione volontaria del debito in titoli fiscali, come visto al punto (*) sopra.

Se, e solo se, tutto questo fosse ancora insufficiente, si utilizzano le clausole di salvaguardia non-procicliche.

La doppia blindatura del progetto CCF è quindi ottenuta:

UNO, riportando a corretti livelli di utilizzo il potenziale produttivo italiano: il che implica anche il riassorbimento della disoccupazione prodotta dalla crisi.

DUE, facendo leva sul risparmio privato italiano, ma tramite meccanismi di conversione, non di prelievo / impoverimento dei cittadini.

L’Italia è così in grado di produrre una forte ripresa di PIL e occupazione senza chiedere nessuna forma di sovvenzione, né alcun incremento delle garanzie implicitamente oggi fornite dalla BCE sul debito pubblico in essere.

martedì 23 febbraio 2016

Autofinanziamento del programma CCF

Qui di seguito, una sintesi numerica degli impatti di un programma CCF con assegnazione annua di 30 miliardi di Certificati di Credito Fiscale il primo anno, incrementati gradualmente fino a 100 nell'arco di cinque anni.

L'autofinanziamento è integrale, nel senso che il debito pubblico lordo finale è pressoché identico nello scenario "con" rispetto a quello "senza" CCF. Mentre è, ovviamente, molto inferiore il rapporto debito pubblico lordo / PIL.

Le ipotesi vanno considerate fortemente conservative soprattutto in quanto

(1) un moltiplicatore keynesiano di 1,20 è con ogni probabilità sottostimato rispetto a quando ci si può attendere in situazioni di recupero da un contesto di domanda fortemente depressa, e

(2) non si è messo in conto alcun beneficio prodotto dalla ripresa del credito e degli investimenti. Beneficio che invece è altamente plausibile a partire dal terzo-quarto anno del programma, in conseguenza del rinnovato clima di fiducia e dall'incentivo sempre più forte a rinnovare / incrementare capacità produttiva (via via che viene riassorbito l'attuale, fortissimo "output gap").





sabato 20 febbraio 2016

BCE, il doppio mandato che non c’è…

Un ottimo articolo di Biagio Bossone e Stefano Sylos Labini su Voxeu.org, qui. Entro qualche giorno dovrebbe essere disponibile anche in versione italiana.

Il “peccato originale” della BCE, di cui al titolo, è il mandato singolo (stabilità dei prezzi), non abbinato alla promozione dell’occupazione. La Federal Reserve USA, al contrario, è vincolata a ricercare entrambi gli obiettivi.

E’ giusto precisare, comunque, che la situazione economica dell’Eurozona è caratterizzata, a partire dal 2008, di una perdurante, gravissima depressione di domanda, produzione ed occupazione. Depressione che, doppio mandato o no, non può essere risolta dalla classica forma di intervento delle banche centrali – l’abbassamento dei tassi d’interesse – e neanche (com'era ampiamente prevedibile, e come i fatti hanno dimostrato) dal Quantitative Easing “puro” (Banca Centrale che acquista titoli, senza però che l’emissione monetaria vada ad alimentare domanda di beni e servizi).

Serve espansione fiscale, e ad effettuarla dovrebbero essere in prima istanza le autorità di governo: che però ne sono impedite dai trattati di funzionamento dell’Eurosistema (patto di stabilità e Fiscal Compact).

Anche nell’ambito del mandato “singolo”, peraltro, la BCE non è (non sarebbe) impotente. Al contrario. La domanda depressa si abbina all’inflazione troppo bassa, ben lontana dall’obiettivo tendenziale del 2%: in effetti ne è la causa. Un’azione di stimolo diretto della domanda reale non è quindi incompatibile con il mandato singolo BCE: si può anzi argomentare che la BCE debba agire in quel senso.

E gli strumenti esistono: non convenzionali - se per convenzionale si intende la manovra dei tassi o al limite il QE “puro” - ma ci sono:


Il QE attuato inserendo, tra le attività acquistate dalla BCE, Certificati di Credito Fiscale nazionali.


O anche, semplicemente, CCF emessi dai singoli stati: la BCE può anche non acquistarli, basta che non osteggi la manovra…

giovedì 18 febbraio 2016

Hjalmar Schacht e i CCF: equivoci da chiarire



Pochi giorni fa un articolo di Stefano Sylos Labini, pubblicato su Econopoly, ha ripercorso l’episodio dei MEFO bills, lo strumento monetario parallelo introdotto dal ministro dell’economia tedesco (nonché governatore della banca centrale) Hjalmar Schacht, e utilizzato con grande successo negli anni della Germania nazista.

I MEFO bills sono stati una diretta fonte di ispirazione del progetto Certificati di Credito Fiscale: se per una qualche ragione uno stato ha dei vincoli all’effettuazione di politiche espansive in un contesto di domanda depressa, vincoli che gli impediscono di emettere moneta o titoli di debito in quantità adeguata, uno strumento monetario complementare correttamente strutturato permette di superarli.

E’ quanto avvenne dal 1933 in poi, quando i vincoli a cui la Germania si trovava soggetta provenivano dal trattato di Versailles. Ed è la situazione in cui si trovano oggi molti paesi dell’Eurozona (tra cui naturalmente l’Italia) in conseguenza del trattato di Maastricht, del Fiscal Compact e in generale dei meccanismi di funzionamento dell’Eurosistema.

Con regolarità, quando si menzionano i MEFO bills, si levano voci critiche (quando non costernate…) che si chiedono come si possa prendere a ispirazione un’iniziativa di politica economica utilizzata da un regime scellerato e sanguinario, tra l’altro anche a supporto delle politiche di riarmo propedeutiche alla Seconda Guerra Mondiale.

Un secondo tipo di critica, in qualche misura connessa alla precedente, fa notare che introdurre uno strumento monetario complementare presenta il problema dell’accettazione da parte del pubblico. Che una dittatura risolve con facilità: uno stato democratico forse no, si afferma. Detto altrimenti, non abbiamo le SS a disposizione per “persuadere” chi preferisse non accettare i CCF…

Sul primo punto: ispirarsi ai MEFO bills non significa essere apologeti del nazismo. Semplicemente, si prende atto che uno strumento tecnico-economico ha funzionato molto bene in un determinato contesto, e se ne propone uno analogo per risolvere problemi sotto molti aspetti simili. Se sono miope metto gli occhiali e ci vedo bene. Questo era vero nella Germania del 1933 come nell’Italia del 2016. Il che non implica che chi porta gli occhiali oggi sia un ammiratore di Himmler (notoriamente occhialuto, e anche parecchio miope a giudicare dalle foto d’epoca…).

Sul tema dei “MEFO bills che hanno finanziato il riarmo”: en passant, va ricordato che le politiche espansive della domanda attuate in Germania a partire dal 1933 non sono state rivolte esclusivamente, e all’inizio neanche prevalentemente, alla spesa bellica.

Ma se anche fosse, questo non significa affatto che un’azione espansiva della domanda debba necessariamente passare attraverso l’incremento del budget della difesa; e nemmeno che farlo in quel modo sia più efficace – anzi. Lo sintetizza molto bene Paul Krugman:

“Nel mio ultimo post ho mostrato che l’Europa – almeno per quanto misurabile in base alla produzione industriale, e probabilmente in termini di PIL totale – sta facendo peggio, a questo punto, di quanto è avvenuto durante la Grande Depressione.

La replica che ricevo da molti è che lo cose allora erano differenti, perché l’Europa stava riarmando.

Um, e qual è l’argomentazione ?

Non c’è nulla di speciale che rende la spesa militare uno stimolo migliore di altre forme di spesa – in realtà il contrario, perché spendere in cose utili può migliorare il potenziale di crescita di lungo termine dell’economia, oltre a dare un impulso immediato. Quindi quando attribuite alla spesa militare la ripresa europea degli anni Trenta, state in effetti affermando che l’economia richiedeva una politica fiscale espansiva – e la richiedeva al punto tale che anche una spesa distruttiva aveva un effetto positivo.

Stavolta, la buona notizia è che siamo in pace. La cattiva notizia è che i leader europei, in mancanza di incentivi a rafforzare i loro eserciti, hanno dato ascolto ai profeti dell’austerità, e tagliato la spesa quando si sarebbe dovuto incrementarla. E il risultato è una depressione che è ben avviata a essere peggiore che negli anni Trenta.”

Riguardo alla seconda critica – che lo strumento monetario complementare, i MEFO bills ieri o i CCF (spero) un domani molto prossimo – richieda un atto di costrizione per essere accettato: è un’argomentazione ingenua, in realtà. Esistono, letteralmente, migliaia di tipologie di attività finanziarie – azioni, obbligazioni, valute, contratti derivati con sottostanti tassi d’interesse o commodities, opzioni, e molte altre cose ancora – che vengono costantemente scambiate.

Un CCF, un diritto a conseguire sconti fiscali, ha un valore ben determinabile sulla base dell’ammontare dei minori pagamenti alla pubblica amministrazione, di cui il titolare potrà beneficiare.

E’ un titolo il cui valore trova copertura nell’accettazione, legalmente garantita, di una controparte (la pubblica amministrazione, appunto) che intermedia quasi metà del PIL del paese emittente. Questa accettazione implica livelli di tutela giuridica e di certezza molto vicini a quelli di una banconota.

Che un titolo con queste caratteristiche sia “non accettato”, “non compreso”, “rifiutato”, “carta straccia”, in un mondo dove si transano e si scambiano strumenti finanziari di ogni tipo, dai più semplici ai più esotici (esoterici… ?) è, semplicemente, contrario all’esperienza quotidiana.

Probabilmente, agli scettici incalliti, può essere utile riflettere sul successo delle meglio organizzate iniziative di “circuito di scambio complementare”. Come il WIR svizzero, nato (non casualmente) durante la Grande Depressione, che transa annualmente beni e servizi per svariati miliardi (in un paese come la Svizzera, non certo privo di un sistema monetario efficiente…).

Oppure come il molto più recente, ma validissimo, Sardex, che in pochi anni è passato da zero a 50 milioni annui di transazioni nella sola Sardegna.

Queste monete complementari sono accettate senza nessun supporto di organismi statali. Non sono utilizzabili a compensazione di pagamenti di tasse. Traggono il loro valore semplicemente dall’impegno di accettazione da parte degli aderenti al circuito. E funzionano.