Pochi giorni fa un articolo di Stefano Sylos Labini, pubblicato su Econopoly, ha ripercorso l’episodio
dei MEFO bills, lo strumento monetario parallelo introdotto dal ministro dell’economia
tedesco (nonché governatore della banca centrale) Hjalmar Schacht, e utilizzato
con grande successo negli anni della Germania nazista.
I MEFO bills sono
stati una diretta fonte di ispirazione del progetto Certificati di Credito
Fiscale: se per una qualche ragione uno stato ha dei vincoli all’effettuazione di
politiche espansive in un contesto di domanda depressa, vincoli che gli
impediscono di emettere moneta o titoli di debito in quantità adeguata, uno
strumento monetario complementare correttamente strutturato permette di
superarli.
E’ quanto avvenne
dal 1933 in poi, quando i vincoli a cui la Germania si trovava soggetta
provenivano dal trattato di Versailles. Ed è la situazione in cui si trovano oggi
molti paesi dell’Eurozona (tra cui naturalmente l’Italia) in conseguenza del
trattato di Maastricht, del Fiscal Compact e in generale dei meccanismi di
funzionamento dell’Eurosistema.
Con regolarità,
quando si menzionano i MEFO bills, si levano voci critiche (quando non
costernate…) che si chiedono come si possa prendere a ispirazione un’iniziativa
di politica economica utilizzata da un regime scellerato e sanguinario, tra l’altro
anche a supporto delle politiche di riarmo propedeutiche alla Seconda Guerra
Mondiale.
Un secondo tipo di
critica, in qualche misura connessa alla precedente, fa notare che introdurre
uno strumento monetario complementare presenta il problema dell’accettazione da
parte del pubblico. Che una dittatura risolve con facilità: uno stato
democratico forse no, si afferma. Detto altrimenti, non abbiamo le SS a
disposizione per “persuadere” chi preferisse non accettare i CCF…
Sul primo punto:
ispirarsi ai MEFO bills non significa essere apologeti del nazismo. Semplicemente,
si prende atto che uno strumento tecnico-economico ha funzionato molto bene in
un determinato contesto, e se ne propone uno analogo per risolvere problemi
sotto molti aspetti simili. Se sono miope metto gli occhiali e ci vedo bene. Questo
era vero nella Germania del 1933 come nell’Italia del 2016. Il che non implica
che chi porta gli occhiali oggi sia un ammiratore di Himmler (notoriamente
occhialuto, e anche parecchio miope a giudicare dalle foto d’epoca…).
Sul tema dei “MEFO
bills che hanno finanziato il riarmo”: en
passant, va ricordato che le politiche espansive della domanda attuate in
Germania a partire dal 1933 non sono state rivolte esclusivamente, e all’inizio
neanche prevalentemente, alla spesa bellica.
Ma se anche fosse,
questo non significa affatto che un’azione espansiva della domanda debba
necessariamente passare attraverso l’incremento del budget della difesa; e
nemmeno che farlo in quel modo sia più efficace – anzi. Lo sintetizza molto bene Paul Krugman:
“Nel mio ultimo
post ho mostrato che l’Europa – almeno per quanto misurabile in base alla produzione
industriale, e probabilmente in termini di PIL totale – sta facendo peggio, a
questo punto, di quanto è avvenuto durante la Grande Depressione.
La replica che
ricevo da molti è che lo cose allora erano differenti, perché l’Europa stava
riarmando.
Um, e qual è l’argomentazione
?
Non c’è nulla di
speciale che rende la spesa militare uno stimolo migliore di altre forme di
spesa – in realtà il contrario, perché spendere in cose utili può migliorare il
potenziale di crescita di lungo termine dell’economia, oltre a dare un impulso
immediato. Quindi quando attribuite alla spesa militare la ripresa europea
degli anni Trenta, state in effetti affermando che l’economia richiedeva una
politica fiscale espansiva – e la richiedeva al punto tale che anche una spesa
distruttiva aveva un effetto positivo.
Stavolta, la buona
notizia è che siamo in pace. La cattiva notizia è che i leader europei, in
mancanza di incentivi a rafforzare i loro eserciti, hanno dato ascolto ai
profeti dell’austerità, e tagliato la spesa quando si sarebbe dovuto
incrementarla. E il risultato è una depressione che è ben avviata a essere
peggiore che negli anni Trenta.”
Riguardo alla
seconda critica – che lo strumento monetario complementare, i MEFO bills ieri o
i CCF (spero) un domani molto prossimo – richieda un atto di costrizione per
essere accettato: è un’argomentazione ingenua, in realtà. Esistono, letteralmente,
migliaia di tipologie di attività finanziarie – azioni, obbligazioni, valute,
contratti derivati con sottostanti tassi d’interesse o commodities, opzioni, e
molte altre cose ancora – che vengono costantemente scambiate.
Un CCF, un diritto
a conseguire sconti fiscali, ha un valore ben determinabile sulla base dell’ammontare
dei minori pagamenti alla pubblica amministrazione, di cui il titolare potrà
beneficiare.
E’ un titolo il
cui valore trova copertura nell’accettazione, legalmente garantita, di una
controparte (la pubblica amministrazione, appunto) che intermedia quasi metà
del PIL del paese emittente. Questa accettazione implica livelli di tutela giuridica
e di certezza molto vicini a quelli di una banconota.
Che un titolo con
queste caratteristiche sia “non accettato”, “non compreso”, “rifiutato”, “carta
straccia”, in un mondo dove si transano e si scambiano strumenti finanziari di
ogni tipo, dai più semplici ai più esotici (esoterici… ?) è, semplicemente,
contrario all’esperienza quotidiana.
Probabilmente,
agli scettici incalliti, può essere utile riflettere sul successo delle meglio
organizzate iniziative di “circuito di scambio complementare”. Come il WIR
svizzero, nato (non casualmente) durante la Grande Depressione, che transa
annualmente beni e servizi per svariati miliardi (in un paese come la Svizzera,
non certo privo di un sistema monetario efficiente…).
Oppure come il
molto più recente, ma validissimo, Sardex, che in pochi anni è passato da zero
a 50 milioni annui di transazioni nella sola Sardegna.
Queste monete
complementari sono accettate senza nessun supporto di organismi statali. Non
sono utilizzabili a compensazione di pagamenti di tasse. Traggono il loro
valore semplicemente dall’impegno di accettazione da parte degli aderenti al
circuito. E funzionano.
Sappiamo però che esistono i derivati a sconquassare il mondo finanziario.
RispondiEliminaÈ possibile cancellare dalla faccia della terra i derivati finanziari? Con quali prevedibili conseguenze visto che i derivati e i prodotti assicurativi sono la stessa cosa?
Lorenzo Zanellato
Devi distinguere i derivati utilizzati a fini speculativi da quelli usati a fini di copertura. Non semplice riuscirci al 100%, ma la regolamentazione può certamente muoversi in quella direzione.
Elimina