giovedì 18 febbraio 2016

Hjalmar Schacht e i CCF: equivoci da chiarire



Pochi giorni fa un articolo di Stefano Sylos Labini, pubblicato su Econopoly, ha ripercorso l’episodio dei MEFO bills, lo strumento monetario parallelo introdotto dal ministro dell’economia tedesco (nonché governatore della banca centrale) Hjalmar Schacht, e utilizzato con grande successo negli anni della Germania nazista.

I MEFO bills sono stati una diretta fonte di ispirazione del progetto Certificati di Credito Fiscale: se per una qualche ragione uno stato ha dei vincoli all’effettuazione di politiche espansive in un contesto di domanda depressa, vincoli che gli impediscono di emettere moneta o titoli di debito in quantità adeguata, uno strumento monetario complementare correttamente strutturato permette di superarli.

E’ quanto avvenne dal 1933 in poi, quando i vincoli a cui la Germania si trovava soggetta provenivano dal trattato di Versailles. Ed è la situazione in cui si trovano oggi molti paesi dell’Eurozona (tra cui naturalmente l’Italia) in conseguenza del trattato di Maastricht, del Fiscal Compact e in generale dei meccanismi di funzionamento dell’Eurosistema.

Con regolarità, quando si menzionano i MEFO bills, si levano voci critiche (quando non costernate…) che si chiedono come si possa prendere a ispirazione un’iniziativa di politica economica utilizzata da un regime scellerato e sanguinario, tra l’altro anche a supporto delle politiche di riarmo propedeutiche alla Seconda Guerra Mondiale.

Un secondo tipo di critica, in qualche misura connessa alla precedente, fa notare che introdurre uno strumento monetario complementare presenta il problema dell’accettazione da parte del pubblico. Che una dittatura risolve con facilità: uno stato democratico forse no, si afferma. Detto altrimenti, non abbiamo le SS a disposizione per “persuadere” chi preferisse non accettare i CCF…

Sul primo punto: ispirarsi ai MEFO bills non significa essere apologeti del nazismo. Semplicemente, si prende atto che uno strumento tecnico-economico ha funzionato molto bene in un determinato contesto, e se ne propone uno analogo per risolvere problemi sotto molti aspetti simili. Se sono miope metto gli occhiali e ci vedo bene. Questo era vero nella Germania del 1933 come nell’Italia del 2016. Il che non implica che chi porta gli occhiali oggi sia un ammiratore di Himmler (notoriamente occhialuto, e anche parecchio miope a giudicare dalle foto d’epoca…).

Sul tema dei “MEFO bills che hanno finanziato il riarmo”: en passant, va ricordato che le politiche espansive della domanda attuate in Germania a partire dal 1933 non sono state rivolte esclusivamente, e all’inizio neanche prevalentemente, alla spesa bellica.

Ma se anche fosse, questo non significa affatto che un’azione espansiva della domanda debba necessariamente passare attraverso l’incremento del budget della difesa; e nemmeno che farlo in quel modo sia più efficace – anzi. Lo sintetizza molto bene Paul Krugman:

“Nel mio ultimo post ho mostrato che l’Europa – almeno per quanto misurabile in base alla produzione industriale, e probabilmente in termini di PIL totale – sta facendo peggio, a questo punto, di quanto è avvenuto durante la Grande Depressione.

La replica che ricevo da molti è che lo cose allora erano differenti, perché l’Europa stava riarmando.

Um, e qual è l’argomentazione ?

Non c’è nulla di speciale che rende la spesa militare uno stimolo migliore di altre forme di spesa – in realtà il contrario, perché spendere in cose utili può migliorare il potenziale di crescita di lungo termine dell’economia, oltre a dare un impulso immediato. Quindi quando attribuite alla spesa militare la ripresa europea degli anni Trenta, state in effetti affermando che l’economia richiedeva una politica fiscale espansiva – e la richiedeva al punto tale che anche una spesa distruttiva aveva un effetto positivo.

Stavolta, la buona notizia è che siamo in pace. La cattiva notizia è che i leader europei, in mancanza di incentivi a rafforzare i loro eserciti, hanno dato ascolto ai profeti dell’austerità, e tagliato la spesa quando si sarebbe dovuto incrementarla. E il risultato è una depressione che è ben avviata a essere peggiore che negli anni Trenta.”

Riguardo alla seconda critica – che lo strumento monetario complementare, i MEFO bills ieri o i CCF (spero) un domani molto prossimo – richieda un atto di costrizione per essere accettato: è un’argomentazione ingenua, in realtà. Esistono, letteralmente, migliaia di tipologie di attività finanziarie – azioni, obbligazioni, valute, contratti derivati con sottostanti tassi d’interesse o commodities, opzioni, e molte altre cose ancora – che vengono costantemente scambiate.

Un CCF, un diritto a conseguire sconti fiscali, ha un valore ben determinabile sulla base dell’ammontare dei minori pagamenti alla pubblica amministrazione, di cui il titolare potrà beneficiare.

E’ un titolo il cui valore trova copertura nell’accettazione, legalmente garantita, di una controparte (la pubblica amministrazione, appunto) che intermedia quasi metà del PIL del paese emittente. Questa accettazione implica livelli di tutela giuridica e di certezza molto vicini a quelli di una banconota.

Che un titolo con queste caratteristiche sia “non accettato”, “non compreso”, “rifiutato”, “carta straccia”, in un mondo dove si transano e si scambiano strumenti finanziari di ogni tipo, dai più semplici ai più esotici (esoterici… ?) è, semplicemente, contrario all’esperienza quotidiana.

Probabilmente, agli scettici incalliti, può essere utile riflettere sul successo delle meglio organizzate iniziative di “circuito di scambio complementare”. Come il WIR svizzero, nato (non casualmente) durante la Grande Depressione, che transa annualmente beni e servizi per svariati miliardi (in un paese come la Svizzera, non certo privo di un sistema monetario efficiente…).

Oppure come il molto più recente, ma validissimo, Sardex, che in pochi anni è passato da zero a 50 milioni annui di transazioni nella sola Sardegna.

Queste monete complementari sono accettate senza nessun supporto di organismi statali. Non sono utilizzabili a compensazione di pagamenti di tasse. Traggono il loro valore semplicemente dall’impegno di accettazione da parte degli aderenti al circuito. E funzionano.

2 commenti:

  1. Sappiamo però che esistono i derivati a sconquassare il mondo finanziario.
    È possibile cancellare dalla faccia della terra i derivati finanziari? Con quali prevedibili conseguenze visto che i derivati e i prodotti assicurativi sono la stessa cosa?
    Lorenzo Zanellato

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    1. Devi distinguere i derivati utilizzati a fini speculativi da quelli usati a fini di copertura. Non semplice riuscirci al 100%, ma la regolamentazione può certamente muoversi in quella direzione.

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