lunedì 15 febbraio 2016

Reddito minimo corrisposto via carta di credito fiscale



Il progetto di corrispondere un reddito minimo (“reddito vitale”, “reddito di cittadinanza”) a una parte della popolazione, in condizioni economiche disagiate, ha una doppia valenza: redistributiva, da un lato; di contributo al superamento della crisi economica, dall’altro.

L’effetto redistributivo è intuibile, e può essere conseguito semplicemente finanziando il reddito minimo con incrementi di tassazione, tagli di spesa, o incrementi tariffari, che vadano a gravare in misura esclusiva o preponderante su soggetti diversi da quelli che ricevono il reddito minimo.

La crisi economica italiana richiede, tuttavia, per essere affrontata in modo efficace e superata in tempi ragionevoli, interventi che non siano di pura redistribuzione, ma anche e soprattutto di espansione TOTALE del potere d’acquisto disponibile per la collettività nazionale.

Si ottiene poco, in altri termini, proseguendo nella logica degli interventi “a saldo zero”. Prova ne è stata l’introduzione, nel maggio 2014, del bonus di 80 euro mensili a una serie di lavoratori con retribuzioni inferiori a soglie predeterminate. Non si sono verificati incrementi apprezzabili di domanda, consumi e PIL, ma non perché gli 80 euro non siano stati spesi. Il governo, sulla base di sondaggi effettuati con riferimento ai dodici mesi successivi all’avvio dell’intervento, stima in effetti che gli 80 euro siano stati mediamente spesi per il 90%, quindi con un’elevata propensione marginale al consumo.

Il problema è che, per rispettare rigorosamente i vincoli di bilancio concordati in sede UE, gli 80 euro hanno trovato copertura in un ammontare complessivamente uguale di incrementi di imposte (accise, maggior imposizione sulle rendite finanziarie, acconti su redditi d’impresa ecc.) nonché di interventi su spesa pubblica e tariffe.

Il risultato è che un certo numero di persone si è trovato con più soldi da spendere, ma altre con meno (per importi complessivi esattamente uguali). L’impatto netto su consumi e domanda, com’era prevedibile, è risultato irrilevante, in quanto limitato all’eventuale (ma non certa, e comunque molto difficile da stimare) maggior propensione alla spesa dei “riceventi gli 80 euro” rispetto agli altri.

Alla luce di quanto sopra, un reddito minimo corrisposto per il tramite di una “carta di credito fiscale” è da prendere molto seriamente in considerazione per attuare un’azione con valenza sia redistributiva che espansiva.

I percettori del reddito minimo potrebbero ricevere una carta di credito su cui sono caricati non euro ma “unità di sconto fiscale (USF)”, in rapporto 1:1 con gli euro.

Le USF possono essere utilizzate per effettuare pagamenti dovuti alla pubblica amministrazione, a qualsiasi titolo – tasse, imposte, contributi, tariffe, ticket sanitari eccetera. In pratica, un pagamento (ad esempio) di IVA per 1.000 euro si riduce a 600 se il soggetto tenuto ad effettuarlo lo compensa con 400 USF (o anche a zero se lo compensa con 1.000 USF).

Il titolare della carta di credito fiscale potrà spendere le USF presso esercizi commerciali che le accetteranno, avendo a loro volta impegni di pagamento per imposte ecc., e/o potendo farle circolare per pagare fornitori, dipendenti eccetera.

Nel momento in cui le USF vengono utilizzate per conseguire gli sconti fiscali, la pubblica amministrazione subisce, a parità di condizioni, un calo di gettito. Se, tuttavia, intercorre un adeguato periodo di tempo rispetto all’assegnazione iniziale delle USF, l’incremento di scambi e di consumi può produrre una crescita di PIL e, conseguentemente, di gettito, sufficiente a compensare l’utilizzo delle USF.

Per assicurare che questa compensazione si verifichi, possono essere prese in considerazione (e anche combinate) diverse modalità di assegnazione delle USF.

Come prima possibilità, le USF possono essere utilizzabili come sconti fiscali a partire da una data futura rispetto all’assegnazione originaria. Per esempio, 100 USF assegnate il 1° luglio 2016 potranno essere utilizzabili come sconti fiscali a partire dal 1° luglio 2018. Avranno valore però fin da subito (per lo stesso motivo per cui un BTP a due anni ha valore prima della scadenza: è l’attualizzazione di un valore certo a termine). Si può ipotizzare che 100 USF saranno accettate (negli scambi tra privati) in alternativa a 95 euro. L’effetto espansivo su domanda e consumi sarà quindi immediato, e si produrrà di conseguenza un beneficio su occupazione, PIL e gettito fiscale in anticipo rispetto al momento in cui si verificherà la riduzione di gettito.

Come seconda possibilità, le USF possono invece essere utilizzabili come sconti fiscali fin da subito, ma viene riconosciuta una maggiorazione per esempio del 2% su base annua (un tasso d’interesse, in pratica) se l’utilizzo per conseguire sconti fiscali viene volontariamente posposto dal titolare. Qui il differimento è su base volontaria e non obbligatoria, ma l’effetto è comunque analogo: espansione di consumi e PIL in anticipo rispetto all’operatività degli sconti fiscali.

L’utilizzo di titoli a valore fiscale per ottenere effetti espansivi della domanda e del PIL è stato estesamente studiato e analizzato da un gruppo di ricerca formato tra gli altri da Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Massimo Costa, Enrico Grazzini, Stefano Sylos Labini, Giovanni Zibordi e dal compianto Luciano Gallino. Oltre alla carta fiscale per corrispondere il reddito minimo, le applicazioni possono includere Certificati di Credito Fiscale da assegnare a lavoratori e aziende (anche per ottenere un immediato beneficio sulla competitività di queste ultime), nonché titoli fiscali per cofinanziare progetti industriali (a cura, per esempio, della Cassa Depositi e Prestiti).


Il "Progetto CCF" è sinteticamente descritto in questi due articoli, recentemente apparsi su Econopoly (blog del Sole 24Ore), al cui interno si trovano vari altri riferimenti bibliografici.

5 commenti:

  1. UN CITTADINO neoliberista scrive:Il reddito di cittadinanza è una porcata.
    Sono soldi presi alle vittime, e dati ad altri, i beneficiari,nel caso italiano sono anche e soprattutto soldi presi in alcune regioni del Nord e poi elargiti altrove.
    Senza contare che 2/3 delle regioni sono fallite.
    4 milioni di statali,più forestali,invalidi,in certe regioni il numero è vergognoso,poi ci sono i lavoratori socialmente inutili i dipendenti di cooperative che scroccano nel sociale,metteteci poi tutto il sottobosco di postifici degli enti e associazioni,Fallitaglia è già la patria del reddito di cittadinanza !!!
    I lombardi perdono oltre i 50 miliardi ogni anno per dare un reddito di cittadinanza a milioni di cittadini!!!!
    Quindi tre parole chiave secondo questo cittadino:
    A) Nord stanco di pagare
    B) Le Regioni sono quasi tutte fallite
    c) Chi produce mantiene le categorie sopraddette.
    Come risponderebbe Dott. Cattaneo?
    Lorenzo Zanellato

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    1. Il reddito di cittadinanza è una misura per introdurre potere d'acquisto nel sistema economico, e in questo momento va nella direzione giusta perché l'economia italiana soffre di una crisi di domanda - e incrementare la capacità di spesa delle fasce sociali disagiate vuol dire attivare domanda in tempi rapidi, nonché venire incontro a esigenze di equità.

      Io però lo vedo come una misura, almeno in larga parte, transitoria. L'obiettivo dev'essere il pieno impiego: quindi un sistema economico in cui il reddito di cittadinanza non serve perché ci sono ampie possibilità di trovare lavoro a condizioni stabili e decorose. Naturalmente ci saranno sempre situazioni particolari da gestire, ma questo è assistenzialismo - che in alcuni casi può essere opportuno o anche doveroso, ma dev'essere l'eccezione, non la regola.

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    2. L'itaglia vive di assistenzialismo
      Infatti 2/3 delle regioni sono fallite!...è la replica.
      In altre parole:
      1) Lei conferma che i 2/3 delle Regioni sono fallite?
      2) Se conferma perché aggravare sulle spalle di chi produce il peso del pagamento del reddito di cittadinanza?(ossia,secondo la vulgata neoliberista,i fannulloni)
      Lorenzo zanellato

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    3. 1) No, non lo confermo perché non ha senso parlare di "regioni fallite", bisogna ragionare sulla pubblica amministrazione nazionale nel suo complesso.

      2) Se immettendo domanda nel sistema economico faccio ripartire produzione e reddito, ho un beneficio, non un "peso". Questo è il punto principale. Poi si discute se l'immissione di domanda debba avvenire tramite reddito di cittadinanza, minori tasse, investimenti pubblici o altro. Per me, soprattutto investimenti e minori tasse; sostegni alle fasce sociali disagiate sì, ma con l'obiettivo che la ripartenza dell'economia li faccia diventare sempre meno necessari, in pochi anni.

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    4. Per essere ancora più chiari: oggi qualsiasi forma di azione espansiva della domanda deve essere finanziata da emissione monetaria, o da strumenti equiparabili come i CCF. Non da maggiori tasse.

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