Il progetto di
corrispondere un reddito minimo (“reddito vitale”, “reddito di cittadinanza”) a
una parte della popolazione, in condizioni economiche disagiate, ha una doppia
valenza: redistributiva, da un lato; di contributo al superamento della crisi
economica, dall’altro.
L’effetto
redistributivo è intuibile, e può essere conseguito semplicemente finanziando il
reddito minimo con incrementi di tassazione, tagli di spesa, o incrementi
tariffari, che vadano a gravare in misura esclusiva o preponderante su soggetti
diversi da quelli che ricevono il reddito minimo.
La crisi economica
italiana richiede, tuttavia, per essere affrontata in modo efficace e superata
in tempi ragionevoli, interventi che non siano di pura redistribuzione, ma
anche e soprattutto di espansione TOTALE del potere d’acquisto disponibile per
la collettività nazionale.
Si ottiene poco,
in altri termini, proseguendo nella logica degli interventi “a saldo zero”. Prova
ne è stata l’introduzione, nel maggio 2014, del bonus di 80 euro mensili a una
serie di lavoratori con retribuzioni inferiori a soglie predeterminate. Non si
sono verificati incrementi apprezzabili di domanda, consumi e PIL, ma non perché
gli 80 euro non siano stati spesi. Il governo, sulla base di sondaggi
effettuati con riferimento ai dodici mesi successivi all’avvio dell’intervento,
stima in effetti che gli 80 euro siano stati mediamente spesi per il 90%, quindi
con un’elevata propensione marginale al consumo.
Il problema è che,
per rispettare rigorosamente i vincoli di bilancio concordati in sede UE, gli
80 euro hanno trovato copertura in un ammontare complessivamente uguale di
incrementi di imposte (accise, maggior imposizione sulle rendite finanziarie,
acconti su redditi d’impresa ecc.) nonché di interventi su spesa pubblica e
tariffe.
Il risultato è che
un certo numero di persone si è trovato con più soldi da spendere, ma altre con
meno (per importi complessivi esattamente uguali). L’impatto netto su consumi e
domanda, com’era prevedibile, è risultato irrilevante, in quanto limitato all’eventuale
(ma non certa, e comunque molto difficile da stimare) maggior propensione alla
spesa dei “riceventi gli 80 euro” rispetto agli altri.
Alla luce di
quanto sopra, un reddito minimo corrisposto per il tramite di una “carta di
credito fiscale” è da prendere molto seriamente in considerazione per attuare
un’azione con valenza sia redistributiva che espansiva.
I percettori del
reddito minimo potrebbero ricevere una carta di credito su cui sono caricati
non euro ma “unità di sconto fiscale (USF)”, in rapporto 1:1 con gli euro.
Le USF possono
essere utilizzate per effettuare pagamenti dovuti alla pubblica
amministrazione, a qualsiasi titolo – tasse, imposte, contributi, tariffe,
ticket sanitari eccetera. In pratica, un pagamento (ad esempio) di IVA per
1.000 euro si riduce a 600 se il soggetto tenuto ad effettuarlo lo compensa con
400 USF (o anche a zero se lo compensa con 1.000 USF).
Il titolare della
carta di credito fiscale potrà spendere le USF presso esercizi commerciali che
le accetteranno, avendo a loro volta impegni di pagamento per imposte ecc., e/o
potendo farle circolare per pagare fornitori, dipendenti eccetera.
Nel momento in cui
le USF vengono utilizzate per conseguire gli sconti fiscali, la pubblica amministrazione
subisce, a parità di condizioni, un calo di gettito. Se, tuttavia, intercorre
un adeguato periodo di tempo rispetto all’assegnazione iniziale delle USF, l’incremento
di scambi e di consumi può produrre una crescita di PIL e, conseguentemente, di
gettito, sufficiente a compensare l’utilizzo delle USF.
Per assicurare che
questa compensazione si verifichi, possono essere prese in considerazione (e
anche combinate) diverse modalità di assegnazione delle USF.
Come prima
possibilità,
le USF possono essere utilizzabili come sconti fiscali a partire da una data
futura rispetto all’assegnazione originaria. Per esempio, 100 USF assegnate il
1° luglio 2016 potranno essere utilizzabili come sconti fiscali a partire dal
1° luglio 2018. Avranno valore però fin da subito (per lo stesso motivo per cui
un BTP a due anni ha valore prima della scadenza: è l’attualizzazione di un
valore certo a termine). Si può ipotizzare che 100 USF saranno accettate (negli scambi
tra privati) in alternativa a 95 euro. L’effetto espansivo su domanda e consumi
sarà quindi immediato, e si produrrà di conseguenza un beneficio su
occupazione, PIL e gettito fiscale in anticipo rispetto al momento in cui si
verificherà la riduzione di gettito.
Come seconda
possibilità,
le USF possono invece essere utilizzabili come sconti fiscali fin da subito, ma
viene riconosciuta una maggiorazione per esempio del 2% su base annua (un tasso
d’interesse, in pratica) se l’utilizzo per conseguire sconti fiscali viene
volontariamente posposto dal titolare. Qui il differimento è su base volontaria
e non obbligatoria, ma l’effetto è comunque analogo: espansione di consumi e
PIL in anticipo rispetto all’operatività degli sconti fiscali.
L’utilizzo di
titoli a valore fiscale per ottenere effetti espansivi della domanda e del PIL
è stato estesamente studiato e analizzato da un gruppo di ricerca formato tra
gli altri da Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Massimo Costa, Enrico Grazzini,
Stefano Sylos Labini, Giovanni Zibordi e dal compianto Luciano Gallino. Oltre
alla carta fiscale per corrispondere il reddito minimo, le applicazioni possono
includere Certificati di Credito Fiscale da assegnare a lavoratori e aziende
(anche per ottenere un immediato beneficio sulla competitività di queste
ultime), nonché titoli fiscali per cofinanziare progetti industriali (a cura,
per esempio, della Cassa Depositi e Prestiti).
UN CITTADINO neoliberista scrive:Il reddito di cittadinanza è una porcata.
RispondiEliminaSono soldi presi alle vittime, e dati ad altri, i beneficiari,nel caso italiano sono anche e soprattutto soldi presi in alcune regioni del Nord e poi elargiti altrove.
Senza contare che 2/3 delle regioni sono fallite.
4 milioni di statali,più forestali,invalidi,in certe regioni il numero è vergognoso,poi ci sono i lavoratori socialmente inutili i dipendenti di cooperative che scroccano nel sociale,metteteci poi tutto il sottobosco di postifici degli enti e associazioni,Fallitaglia è già la patria del reddito di cittadinanza !!!
I lombardi perdono oltre i 50 miliardi ogni anno per dare un reddito di cittadinanza a milioni di cittadini!!!!
Quindi tre parole chiave secondo questo cittadino:
A) Nord stanco di pagare
B) Le Regioni sono quasi tutte fallite
c) Chi produce mantiene le categorie sopraddette.
Come risponderebbe Dott. Cattaneo?
Lorenzo Zanellato
Il reddito di cittadinanza è una misura per introdurre potere d'acquisto nel sistema economico, e in questo momento va nella direzione giusta perché l'economia italiana soffre di una crisi di domanda - e incrementare la capacità di spesa delle fasce sociali disagiate vuol dire attivare domanda in tempi rapidi, nonché venire incontro a esigenze di equità.
EliminaIo però lo vedo come una misura, almeno in larga parte, transitoria. L'obiettivo dev'essere il pieno impiego: quindi un sistema economico in cui il reddito di cittadinanza non serve perché ci sono ampie possibilità di trovare lavoro a condizioni stabili e decorose. Naturalmente ci saranno sempre situazioni particolari da gestire, ma questo è assistenzialismo - che in alcuni casi può essere opportuno o anche doveroso, ma dev'essere l'eccezione, non la regola.
L'itaglia vive di assistenzialismo
EliminaInfatti 2/3 delle regioni sono fallite!...è la replica.
In altre parole:
1) Lei conferma che i 2/3 delle Regioni sono fallite?
2) Se conferma perché aggravare sulle spalle di chi produce il peso del pagamento del reddito di cittadinanza?(ossia,secondo la vulgata neoliberista,i fannulloni)
Lorenzo zanellato
1) No, non lo confermo perché non ha senso parlare di "regioni fallite", bisogna ragionare sulla pubblica amministrazione nazionale nel suo complesso.
Elimina2) Se immettendo domanda nel sistema economico faccio ripartire produzione e reddito, ho un beneficio, non un "peso". Questo è il punto principale. Poi si discute se l'immissione di domanda debba avvenire tramite reddito di cittadinanza, minori tasse, investimenti pubblici o altro. Per me, soprattutto investimenti e minori tasse; sostegni alle fasce sociali disagiate sì, ma con l'obiettivo che la ripartenza dell'economia li faccia diventare sempre meno necessari, in pochi anni.
Per essere ancora più chiari: oggi qualsiasi forma di azione espansiva della domanda deve essere finanziata da emissione monetaria, o da strumenti equiparabili come i CCF. Non da maggiori tasse.
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