L’uscita “secca”
dall’euro è un’opzione molto difficile da percorrere, e questo sta diventando
evidente anche agli schieramenti politici che, con ragioni molto fondate,
criticano l’attuale conduzione economica dell’Eurozona. Non è chiaro come
potrebbero essere gestite le tensioni e l’instabilità che si produrrebbero sui
mercati finanziari nell’imminenza di un “break-up”. A maggior ragione se la
decisione fosse sottoposta a un referendum preventivo, che ha tempi non brevi
di attuazione e incertezze in merito al risultato finale.
La “moneta
fiscale” supera questi problemi perché consente di creare potere d’acquisto e
liquidità complementare rispetto all’euro, senza mettere in atto rotture.
La “moneta
fiscale” potrebbe essere introdotta sotto forma di Certificati di Credito
Fiscale (CCF), titoli utilizzabili per ridurre pagamenti dovuti alla pubblica
amministrazione (tasse, imposte, contributi eccetera) a partire da una certa
data futura: per esempio, due anni dopo l’emissione.
Il M5S ha già
presentato un progetto di legge (elaborato a cura del deputato Girolamo Pisano)
per una prima applicazione dei CCF, in particolare rivolta ai settori delle
ristrutturazioni e dell’edilizia sostenibile. Ma i CCF possono costituire la
base di un progetto di rilancio economico molto più ampio.
I CCF possono,
infatti, essere assegnati gratuitamente a lavoratori e pensionati per integrare
i loro redditi, e alle aziende per ridurre i costi di lavoro lordi e
migliorarne immediatamente la competitività. Potrebbero inoltre finanziare
iniziative di spesa sociale quali il reddito di cittadinanza, nonché
investimenti e opere di pubblica utilità.
I CCF sono un
credito tributario non pagabile in euro, e ai sensi dei regolamenti Eurostat non
costituiscono indebitamento. A differenza di BOT e BTP, non vengono emessi per
raccogliere denaro che deve essere restituito alla scadenza. Non interferiscono
quindi, al momento dell’emissione, con i parametri imposti dai trattati e dalle
normative europee.
Per chi li
riceve, peraltro, i CCF hanno valore immediato, perché costituiscono un diritto
patrimoniale (diritto a beneficiare di sconti d’imposta) di importo finale certo.
Il ricevente li può quindi convertire in euro vendendoli sul mercato finanziario
come un normale titolo di Stato, o anche utilizzarli come corrispettivo per
acquisti di beni e servizi con controparti disposti ad accettarli.
L’assegnazione
di CCF stimola quindi una forte ripresa dell’occupazione e del PIL, che
produrrà anche maggiori entrate fiscali lorde, più che sufficienti a compensare
la perdita di gettito prodotta dai CCF stessi quando giungeranno a scadenza e
cominceranno a essere utilizzati. In tal modo, l’Italia può rimettere in modo l’economia
e, nello stesso tempo, avviare una rapida riduzione del rapporto debito
pubblico / PIL.
La “moneta fiscale” è una strada molto più semplice
e meno traumatica dell’uscita “secca” dall’euro. Potrebbe andare nel tempo a
sostituire totalmente l’euro, creando le condizioni per un’uscita “morbida”; ma
potrebbe anche costituire uno schema permanente, adottato anche da altri paesi
dell’Eurozona, per riavviare la crescita dell’occupazione e del PIL, risolvere
finalmente la crisi economica, e sgombrare il campo dai rischi
impliciti nell’attuale struttura disfunzionale dell’Eurosistema.
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