L’Italia è, da
molti anni, caratterizzata dalla presenza di un alto livello di debito pubblico
(in rapporto al PIL) e, nello stesso tempo, anche da un alto livello di
risparmio privato.
In realtà
l’elevato livello di entrambi questi aggregati non stupisce in quanto,
l’accrescimento dell’uno tende ad andare di pari passo con quello dell’altro.
Il debito
pubblico è, infatti, alimentato dai deficit annui del settore statale. Se lo
stato spende più di quanto incassa, si generano attività finanziarie che
finiscono nei portafogli di operatori privati.
Nella misura in
cui lo stato non è emittente di moneta, le attività finanziarie in questione
prendono la forma di titoli emessi dal settore pubblico, che tradizionalmente
sono costituiti da titoli statali di debito. Nel caso del nostro paese, dai ben
noti BOT, BTP, CCT eccetera.
Questi titoli
sono passività per il settore pubblico emittente ma nello stesso tempo, per
definizione, sono anche attività per gli operatori privati che le detengono.
Tali operatori possono essere nazionali o esteri. Per un paese come l’Italia,
la cui posizione finanziaria netta sull’estero è passiva ma per livelli
contenuti (23% circa al 30 giugno 2016, e tendente attualmente a scendere), i
detentori sono prevalentemente soggetti nazionali.
Si intuisce e si
spiega, quindi, che a fronte di un alto rapporto debito pubblico / PIL, il
nostro paese sia caratterizzato anche da alti livelli di risparmio privato
interno (sempre in rapporto al PIL).
Di tanto in
tanto, si sente affermare che la riduzione dei livelli dell’uno dovrebbe
passare tramite un contenimento dell’altro, da attuarsi anche mediante forme di
prelievo straordinario (imposte patrimoniali) o di riduzione del valore
effettivo del debito (ristrutturazioni, consolidamenti, write-offs). Ipotesi di
questo genere, tuttavia, non possono essere prese seriamente in considerazione.
L’effetto sarebbe un impoverimento effettivo del settore privato italiano, che
innescherebbe effetti fortemente negativi su consumi, investimenti, occupazione
e PIL.
Si avrebbe:
un ulteriore,
forte peggioramento delle condizioni economiche del paese
un abbattimento
del PIL, che vanificherebbe il presunto miglioramento del rapporto debito
pubblico / PIL
una caduta dell’occupazione
un grave
deterioramento del già precario equilibrio sociale.
Se si desidera
abbassare il rapporto debito pubblico / PIL, occorre, evidentemente, scegliere
un altro percorso.
L’attuale
assetto dell’Eurosistema prevede, in buona sostanza, che gli stati membri si
impegnino (Fiscal Compact) (i) a raggiungere il pareggio di bilancio
(equilibrio tra euro incassati ed euro spesi) e (ii) a ridurre gradualmente nel
tempo (fino al 60%) il rapporto debito pubblico lordo / PIL. Nello stesso
tempo, sussiste un impegno della BCE a garantire illimitatamente i debiti
pubblici (OMT) purché gli stati membri dell’Eurozona conseguano gli obiettivi
del Fiscal Compact, o si attivino comunque credibilmente e plausibilmente per correggere
eventuali “deviazioni di rotta”.
In pratica, la
BCE si è impegnata a garantire i debiti pubblici degli stati membri, purché non
si incrementino in valore facciale (pareggio di bilancio) e si riducano
gradualmente in percentuale del PIL, fino (ove eccedenti) al livello-obiettivo
del 60%.
Il Fiscal
Compact sta però risultando impossibile da applicare, sostanzialmente in quanto
azioni fiscali restrittive finalizzare a ridurre il rapporto deficit pubblico /
PIL, nelle attuali condizioni di domanda depressa, hanno un effetto più che
proporzionale sul PIL (moltiplicatore keynesiano superiore a 1). Di
conseguenza, buona parte degli sforzi di contenimento del deficit sono erosi
dal calo del gettito, e modestissimi miglioramenti vengono conseguiti solo a fronte
di pesanti effetti depressivi su PIL e occupazione.
UNO, è possibile
effettuare azioni espansive della domanda interna, e di recupero della
competitività delle aziende, emettendo titoli fiscali che hanno valore grazie
alla loro utilizzabilità per ridurre pagamenti futuri verso lo stato emittente.
I titoli fiscali non sono titoli soggetti a rimborso: non c’è quindi bisogno
che la BCE li garantisca né implicitamente né esplicitamente, in quanto lo
stato emittente non potrà mai essere forzato all’inadempimento dell’impegno
assunto (appunto perché si tratta di un impegno di accettazione, non di
rimborso).
DUE, si fa leva
sull’amplissimo livello di capacità produttiva inutilizzata del sistema
economico di vari paesi dell’Eurozona. Nel caso italiano, il PIL reale 2016 è
inferiore del 9% circa – corrispondenti grosso modo a 150 miliardi di euro –
rispetto a quanto raggiunto nel 2007 (nove anni fa !) Il recupero dei livelli
produttivi pre-crisi, consentito dalla Moneta Fiscale e dalla sua azione
espansiva, genera il gettito fiscale necessario a compensare l’utilizzo dei
titoli fiscali (utilizzo che ceteris
paribus – cioè in assenza di tale recupero produttivo - diminuirebbe il
gettito futuro).
DUE BIS, il
recupero produttivo e occupazionale consente di rispettare gli impegni di
finanza pubblica, ma nello stesso tempo rimette in salute l’economia reale del
paese. Quest'ultimo risultato è indispensabile perché l’assetto economico-monetario dell’Italia e
dell’Eurosistema sia sostenibile nel tempo.
TRE, la Moneta
Fiscale consente ulteriori azioni efficaci per normalizzare e stabilizzare il
profilo di riduzione del rapporto debito pubblico / PIL, anche superando
eventuali problemi prodotti da negatività congiunturali che si potranno
presentare in futuro. Ad esempio, rifinanziare parte del debito pubblico
mediante titoli fiscali a scadenze medio o lunghe, o offrire ai detentori di
Moneta Fiscale la possibilità di posporne l’utilizzo, riconoscendo una
maggiorazione di valore facciale (una forma di tasso d’interesse, di fatto).
QUATTRO, in casi
estremi, che appaiono peraltro fortemente improbabili data la ricchezza, la
varietà e la flessibilità degli strumenti sopra descritti, potrebbero rendersi
necessarie azioni non proposte (su base volontaria), ma imposte (sulla base di
provvedimenti di legge) ai cittadini dei paesi emittenti Moneta Fiscale. Per
esempio, maggiorazioni di imposte compensate da erogazioni di Moneta Fiscale, o
sostenimento di alcune componenti di spesa pubblica non in euro ma in Moneta
Fiscale. Nella remota eventualità che questo avvenga, peraltro, l’effetto
prociclico di queste azioni sarebbe molto inferiore rispetto alle tradizionali
azioni restrittive con cui si è cercato di ricondurre sotto controllo i saldi
di finanza pubblica: questo, perché non si parlerebbe di tagli o tasse “secchi”,
bensì compensati dall’erogazione di uno strumento finanziario alternativo (la
Moneta Fiscale).
CINQUE, un paese
come l’Italia, caratterizzato da alti livelli sia di debito pubblico che di
risparmio privato, garantisce in tal modo i suoi impegni di finanza pubblica, ove mai il recupero produttivo fosse
insufficiente, proprio facendo leva sul risparmio privato. Le azioni TRE e
QUATTRO, infatti, producono una sostituzione, nel portafoglio dei
risparmiatori, di titoli di debito pubblico con titoli fiscali. Nella misura
eventualmente necessaria, il debito pubblico viene garantito, in pratica, dal
suo rimpiazzo con titoli che non hanno natura debitoria, e che i risparmiatori
vengono a possedere in (eventuale, parziale, marginale) sostituzione dei
tradizionali titoli di Stato.
SEI, il sistema
sopra delineato crea, automaticamente, un disincentivo e una penalizzazione
automatica nel caso in cui in paese emettesse Moneta Fiscale in misura
eccessiva rispetto a quanto necessario per recuperare corretti livelli di
domanda, PIL e occupazione. Si verificherebbe in tal caso un effetto di
inflazionamento della Moneta Fiscale nazionale (non dell’euro !) e quindi un
suo deprezzamento (svalutazione) rispetto all’euro stesso. Sarebbero toccati i
detentori di Moneta Fiscale e di titoli fiscali di quel paese, non i cittadini
di altri stati membri dell’Eurozona. Questo previene, o nel caso punisce, fenomeni
di moral hazard, senza tuttavia
passate tramite eventi deflagranti e fonte di instabilità finanziaria, quali credit events di vario tipo (write-off,
ristrutturazioni, insolvenze).