Non ho cambiato
idea: continuo a ritenere che il percorso Moneta Fiscale / CCF sia uno scenario
molto più probabile e meno complesso, per la soluzione dell’Eurocrisi, rispetto
a quello di break-up.
Questa valutazione
potrebbe però in larga misura modificarsi se diventasse plausibile un’ipotesi di
break-up concordato. Ora come ora, il
livello di probabilità è basso.
Però non è zero, e
un fattore da non trascurare è che il partito liberale tedesco – la FDP – è in
crescita di consensi, e ha nel suo programma elettorale l’applicazione di
sanzioni automatiche in caso di mancato rispetto dei vincoli di bilancio UE da
parte di singoli paesi, l’introduzione di un meccanismo di ristrutturazione dei
debiti pubblici e, contemporaneamente, la possibilità per singoli stati membri
di uscire dall’Eurozona (senza che questo di per sé comporti la fuoriuscita
dalla UE).
Una proposta come
questa può essere considerata l’applicazione della “linea Schaeuble”. E per
quanto il ministro delle finanze tedesco non sia al vertice delle mie simpatie,
quantomeno ne va riconosciuta la coerenza.
Altrimenti detto: se
non rispetti i vincoli di bilancio non puoi contare sul fatto che il tuo debito
pubblico venga garantito dalla BCE, quindi occorre un meccanismo di
ristrutturazione del debito. E la forma di ristrutturazione di gran lunga meno
onerosa, in grado anzi di produrre la ripresa economica del paese ristrutturante,
è ridenominare il debito in moneta nazionale – quindi uscire dall’Eurozona e
svalutare.
L’onere della
ridenominazione in questo scenario pesa sostanzialmente sui creditori esteri.
Sui detentori nazionali di titoli di Stato no, se non nella misura in cui la
svalutazione aumenta l’inflazione domestica. E dati gli altissimi livelli di output gap, l’Italia, in particolare,
avrebbe ampi spazi sia per recuperare competitività che per rilanciare la
propria domanda interna, con effetti modesti o nulli sull'inflazione.
In uno scenario di
break-up, è plausibile che verrebbe richiesto ai paesi con saldi Target2
negativi di rimborsarli in euro (senza beneficiare quindi della conversione in
moneta nazionale).
Di questa
eventualità si è discusso qui, arrivando alla conclusione che non è, per
l’Italia, un problema insormontabile.
Un elemento di
riflessione in più, che aiuta a capire come il tema potrebbe essere gestito,
deriva dalla constatazione che i saldi negativi Target2 di Bankitalia nei
confronti della BCE sono parte della cosiddetta Net International Investment
Position (NIIP), che è la differenza tra le attività estere possedute da
residenti italiani, e le attività italiane detenute da soggetti esteri.
La NIIP, in altri
termini, è (se negativa) l’ammontare di risorse patrimoniali nette di cui
l’Italia è in “debito” (tra virgolette perché sono incluse anche partecipazioni azionarie e diritti patrimoniali di vario genere, non solo i
crediti propriamente detti) verso l’estero.
Ora, la NIIP
italiana è negativa, ma per un ammontare in effetti modesto: 250 miliardi a
fine 2016, pari al 15% circa del PIL. E la situazione è in costante
miglioramento, perché il saldo delle partite correnti italiane è positivo per
circa 50 miliardi annui (che corrisponde anche al livello del surplus commerciale).
Tanto è vero che a metà del 2014 il rapporto NIIP / PIL era negativo per il 27%
- ha quindi recuperato dodici punti percentuali in due anni e mezzo.
Rimborsare in euro
i 358 miliardi di saldo negativo Target2 (dato a fine 2016) significa, nell’ipotesi
(prudenziale) di una svalutazione del 30% della Nuova Lira nei confronti dell’euro,
peggiorare la NIIP di poco più di 100 miliardi e innalzarla dal 15% al 21% del
PIL: livello comunque tutt’altro che alto (la Spagna è negativa per il 100%
circa, ad esempio) e che riprenderebbe comunque rapidamente a scendere grazie
ai surplus commerciali che l’Italia sta continuando a produrre.
L’unica cosa di
cui preoccuparsi, in questo scenario, è negoziare un accordo con i partner dell’Eurozona
tale per cui il rimborso dei Target2 non avvenga istantaneamente (cosa del
resto impossibile) ma, ad esempio, nell’arco di un paio d’anni.
Si delinea quindi
uno scenario di Italexit concordata. Quanto è probabile che, sul piano
politico, ci si arrivi ?
Al momento non
molto. Però le probabilità aumenteranno se le elezioni tedesche del prossimo
settembre produrranno una maggioranza parlamentare per una coalizione CDU-CSU
(al momento vicina al 40% nei sondaggi) con FDP (indicata oggi a poco meno del
10%). Numericamente, quindi, la possibilità esiste.
Naturalmente occorre anche ricordare che quanto sopra delineato potrebbe essere la posizione dei
liberali e dell’ala “schaeubliana” della CDU-CSU, non necessariamente di quella
“merkeliana”.
Per cui il mio
suggerimento, molto semplicemente, è: teniamo d’occhio il quadro politico
tedesco, ma soprattutto ricordiamo che l’Italia non ha bisogno di tutto questo,
se al governo (italiano) si forma una maggioranza con le idee chiare e con la
determinazione necessaria ad attuare il progetto Moneta Fiscale / CCF. Che è
attuabile, e senza chiedere o aspettarsi nulla né da Berlino, né da Bruxelles, né
da Francoforte…
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