In questo post,
tra i più letti del blog, avevo spiegato perché non c’è nesso tra svalutazione
e inflazione, nel senso che una svalutazione non produce necessariamente
maggiore inflazione futura, e sicuramente non nello stesso ordine di grandezza.
Se svaluto del 20%,
in altri termini, non mi devo attendere un’inflazione del 20%.
La ragione è che
non può verificarsi una forte crescita dei prezzi se non esiste un consistente
incremento della domanda di beni e servizi, che la porti al di sopra della
capacità produttiva del sistema economico.
La svalutazione
incrementa il costo dei beni e dei servizi importati, ma non la domanda interna
del paese che svaluta. L’incremento di costi si traduce quindi molto più in
calo di margini degli operatori domestici che trasformano e/o rivendono beni e servizi importati, che in inflazione.
E tutto questo senza
neanche tener conto di alcuni altri fatti rilevanti:
UNO, le
importazioni sono solo una parte dei costi produttivi – in Italia ad esempio il
rapporto import / PIL incide per il 26-27% circa.
DUE, l’incremento
di costo dei beni importati spinge a sostituire importazioni con produzioni
interne (da un lato) e, da parte degli importatori, a ridurre i loro prezzi di
vendita in moneta straniera per non perdere mercato (dall’altro) – quindi a non
far subire all’acquirente tutto l’importo della svalutazione.
La svalutazione
comporta quindi un incremento di inflazione interna (il cosiddetto pass-through) molto inferiore all’importo
percentuale della svalutazione medesima.
Il pass-through tende in effetti a zero
quando il paese che svaluta si trova in situazione di domanda depressa, con
disoccupazione elevata e forte livello di capacità produttiva inutilizzata: in
questa situazione è particolarmente difficile, infatti, ottenere incrementi nei
prezzi di vendita, e anche il tentativo di giustificarli con la svalutazione e
i maggiori costi per importazioni non porta lontano.
Detto ciò, dove
sta l’equivoco ? spesso mi viene domandato “se è così, perché nel tempo le
differenze di inflazione tendono a riflettersi in svalutazione per percentuali
simili ? la Germania ha avuto tassi d'inflazione medi più bassi degli altri
principali paesi occidentali, e il marco si è sistematicamente rivalutato
rispetto alle altre valute”.
Questo è vero, ma
le considerazioni sopra esposte si riferiscono a quello che succede dal momento della svalutazione in poi.
Il paese che svaluta non subisce impatti inflattivi corrispondenti all’entità
della svalutazione. Ma svaluta perché ha avuto più inflazione prima, e la svalutazione compensa quindi
una differenza che si è formata in
precedenza.
Quindi, se a
parità di crescita della produttività Topolinia ha un 2% di inflazione medio in
più di Paperopoli (3% contro 1%), mi posso aspettare che il Topotallero perda
mediamente un 2% all’anno nel cambio contro il Papefiorino. E se il Topotallero
entra in un accordo di cambi fissi con il Papefiorino e dopo cinque anni il
cambio fisso salta, ci si può attendere una svalutazione una tantum del 10% circa.
Ma questo compensa
quanto è avvenuto in passato. In
futuro l’inflazione a Topolinia non
crescerà dal 3% al 13%. L’impatto sarà molto minore e di breve termine. Magari
un punto o due per un anno, dipende da vari fattori e principalmente dal livello
di domanda interna e di saturazione delle risorse produttive di Topolinia. Ma
parliamo comunque di un aggiustamento transitorio e molto inferiore all’entità
della svalutazione.
E per il periodo
successivo alla svalutazione, passato l’effetto di breve termine, ci si può
aspettare che la differenza di inflazione tra Topolinia e Paperopoli sia all’incirca
il 2%: come prima.
Grazie per l'ovvietà. Ce n'è bisogno
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