Tra i
preconcetti duri a morire, più o meno alla pari con l'idea che l'Italia non possa crescere a causa del debito pubblico, c’è quello che la libertà di
emettere moneta per attuare politiche di espansione della domanda sarebbe una
sciagura perché “il nostro paese non sa gestire la moneta”, “ha politici sempre
pronti a spendere”, quindi si trasformerebbe “in un paese con tassi
d’inflazione sudamericani per non dire africani”, eccetera.
Non è chiaro da
dove nascano queste convinzioni. Non dai dati, come è facile constatare con un
minimo di analisi.
Prendendo in
considerazione un quarantennio (41 anni per la precisione, il periodo dal 1956
al 1996 anno di partenza e anno d’arrivo inclusi) di dati relativi all’indice
dei prezzi al consumo, si scopre che l’inflazione italiana, rispetto a quella
di un gruppo di altre economie avanzate, ha registrato le seguenti medie.
Indice medio dei
prezzi al consumo, periodo 1956-1996
Germania 3,8%
Svizzera 3,9%
USA 4,8%
Francia 6,1%
Svezia 6,3%
Regno Unito 6,7%
Italia 7,7%
Spagna 9,1%
Media Francia –
Svezia – Regno Unito – Spagna 7,1%
Il motivo per
cui l’analisi si ferma al 1996 è che dal 1997 si entra in “era-euro”: i tassi
di cambio in quell’anno si sono assestati in modo definitivo, con scarti
minimi, ai livelli in base ai quali le varie monete nazionali sono state poi
convertite (appunto) in euro. Sono quindi rappresentativi del periodo in cui
l’Italia aveva la sua moneta.
Nel 1997 si è
deciso chi era dentro l’euro e chi era fuori, e a quali cambi, anche se i
“cambi fissi irrevocabili” sono entrati formalmente in vigore solo il 1°
gennaio 1999 (e l’euro come moneta fisica ha iniziato a circolare il 1° gennaio
2002). Dal 1997 nella sostanza, e dal 1999 anche nella forma, è in pratica
finita (per sempre ? mah…) l’era dei riallineamenti valutari, quantomeno per i
paesi che hanno aderito all’unione monetaria europea.
I dati medi
appaiano molto alti in confronto alla situazione odierna, caratterizzata da
tassi d’inflazione semimoribondi e addirittura dal rischio di cadere in
deflazione.
In misura
significativa, i dati sono peraltro influenzati dagli anni degli shock petroliferi, in particolare dal
periodo 1973-1984, quando l’inflazione a due cifre affliggeva spesso e
volentieri le principali economie industriali (non solo l’Italia). Infatti:
Indice medio dei
prezzi al consumo, periodo 1973-1984
Germania 4,8%
Svizzera 4,5%
USA 7,9%
Francia 10,6%
Svezia 9,7%
Regno Unito 12,5%
Italia 15,7%
Spagna 15,8%
Media Francia –
Svezia – Regno Unito – Spagna 12,2%
Se escludiamo
quegli anni dal campione abbiamo:
Indice medio dei
prezzi al consumo, periodo 1956-1996 escludendo 1973-1984
Germania 2,6%
Svizzera 2,9%
USA 3,0%
Francia 4,0%
Svezia 4,6%
Regno Unito 4,2%
Italia 4,4%
Spagna 6,4%
Media Francia –
Svezia – Regno Unito – Spagna 4,8%
E’ riportato
anche (per i vari periodi) un dato medio relativo a un quartetto di paesi. Le
due principali economie europee dopo la Germania – ovvero la Francia e il Regno
Unito. Un paese scandinavo – la Svezia. E un paese latino, che peraltro non
viene in genere ritenuto essere tra i più “disordinati” sotto il profilo della
gestione monetaria – la Spagna.
Ora, rispetto a
questo quartetto di paesi, l’inflazione media italiana è stata superiore di
soli sei decimi di punto (7,7% contro 7,1%) nel quarantennio esaminato, e
addirittura più bassa (4,4% contro 4,8%) escludendo l’anomalo periodo delle
crisi petrolifere.
En
passant,
anomalo soprattutto perché le economie oggi sono (in termini relativi) meno
manifatturiere e più orientate ai servizi, e quindi è molto improbabile che
pressioni dal lato delle materie prime possano produrre una situazione simile a
quella degli anni Settanta.
Il punto chiave,
ad ogni modo, è che l’Italia mostra dati in linea con quelli di un quartetto di
importanti economie europee – di cui tre centro-nordico-continentali e una sola
latina.
L’Italia sta in
questo gruppo, dal punto di vista delle tendenze storiche dell’inflazione. Non
sta né in Sudamerica né in Africa. E’, assolutamente, un paese europeo
occidentale, con tendenze, riguardo alla dinamiche dei prezzi, del tutto
normali.
E tutto questo,
senza bisogno dell’euro…
Purtroppo, non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire. E il mantra dell'Italia della "svalutazione furbetta", ci accompagnerà tutta la vita.
RispondiEliminaBisogna dire a riguardo, che la mala gestione della cosa pubblica da sempre, ha giocato un ruolo, soprattutto dal punto di vista psicologico, molto rilevante: è stato l'alibi che ha consentito alla seconda Repubblica di passare dalla padella alla brace dell'euro. Claudio Zanasi.
Mala gestione che poi, quando si vanno a vedere le cose un po' più da vicino, sta molto più negli aneddoti che nella realtà dei fatti: cfr il post 13.3.2016 per qualche esempio.
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