Poche settimane
fa, Nino Galloni si è confrontato con Michele Boldrin. Trovate qui, su Youtube, il video del dibattito.
Successivamente
Boldrin è tornato sugli argomenti discussi in quella sede, con il seguente commento su twitter:
“Nello
scambio con un amico sul dibattito con Nino Galloni è emerso che ho fatto un
errore: ho dato per scontato che una corbelleria contabile di NG venisse notata
come tale senza necessità di mio commento. Rimedio al grave errore in questi
tweet.
Nel
cercare di differenziare la sua “moneta” dall’euro e da tutte le altre monete
Nino Galloni insiste che essa dovrebbe entrare come un attivo nello stato
patrimoniale dello Stato emissore. Non una passività ma un’attività. Come le
imposte, insiste, come le tasse.
Insiste
anche che la ragione fondamentale (unica infatti) per cui il pubblico
l’accetterebbe in cambio di beni e servizi (facendola circolare ad un valore
pari a quello di emissione) è che ESSA VERREBBE CERTAMENTE ACCETTATA DALLO
STATO IN PAGAMENTO DELLE IMPOSTE DOVUTE.
Ecco,
pensateci. Secondo Nino Galloni una posta che sta dallo stesso lato delle tasse
nello stato patrimoniale potrebbe essere usata per pagare le tasse,
cancellandole quindi ! Capite ? un + che cancella un + (o un – che cancella un
-, fa lo stesso).
Se
questo MADORNALE ERRORE di ragioneria elementare non dovesse essere chiaro
abbastanza, ci sarebbe anche la storia di Maria, Mario e Gigio… se serve
racconterò anche quella ma, mi auguro, questo thread basti. Vero Nino Galloni
?”
Boldrin qui si
esprime in un suo tipico atteggiamento. I dibattiti video con chi non la pensa
come lui non li organizza per approfondire temi e confrontarsi con serietà, ma
per cercare di mettere alla berlina l’interlocutore. Il risultato (ne ho avuto prova anch'io) è che (primo) non ci riesce, e (secondo) dimostra di non aver
capito l’oggetto del dibattito, raggiungendo, spesso, vette di involontaria
comicità.
Vediamo, nel caso
specifico, perché è andato fuori strada Boldrin, e non Galloni.
Accenno solo, di
sfuggita, che parlare di situazione patrimoniale di un’entità pubblica che
emette moneta (o un suo equivalente o succedaneo) ha probabilmente poco senso. Il perché lo trovate sintetizzato qui.
Ma se vogliamo
ragionare in termini contabili, è fuori discussione che se lo Stato emette un
titolo a utilizzo fiscale, crea un’attività che ha un valore. Dove mai
dovrebbe registrarla, se non all’attivo ?
Lo stesso Boldrin, del resto, in altre sedi afferma che lo Stato, emettendo moneta, genera capacità di spesa
tramite la quale si può appropriare di beni e servizi prodotti dal settore
privato. Uno strumento che mi consente di “appropriarmi di valore” cos’è, se
non un attivo ?
Ed è anche vero
che, se la quantità di beni e servizi prodotti è fissa, l’emissione di questo
strumento è una forma di imposizione. Lo Stato genera lo strumento, lo spende,
acquista beni e servizi, e i privati ne hanno quindi di meno (in ipotesi,
ripeto, di produzione fissa). I prezzi salgono (l’”odiosa tassa da inflazione”)
e il settore pubblico si arricchisce a danno del privato.
In quale
situazione, invece, l’emissione di moneta, o di titoli a utilizzo fiscale, non
impoverisce il settore privato ma, al contrario, arricchisce la collettività ?
Quando la produzione di beni e servizi NON
è fissa, perché esiste una forte quantità di risorse produttive (lavoro in
primo luogo) inutilizzate. Ed è in QUESTO CASO (non in altri) che l’emissione
di moneta, o di titoli a utilizzo fiscale, a sostegno della domanda è
assolutamente raccomandabile.
Lo Stato emette
questi titoli, che rappresentano un’attività, ma non allo scopo di tenerseli,
bensì di immetterli nell’economia riducendo le tasse, aumentando i
trasferimenti o commissionando la produzione di beni e servizi. I titoli sono
effettivamente un attivo, ma rimangono nella disponibilità dello Stato solo per
un istante: immediatamente dopo l’emissione, infatti, vengono distribuiti al
settore privato.
La maggior domanda
accresce produzione e occupazione – e non i prezzi, perché la produzione sale
di pari passo con la domanda.
Quindi: più
occupazione, più produzione, più redditi, senza impatti inflattivi
indesiderati.
Successivamente,
lo Stato preleva imposte e tasse, che possono essere saldate mediante i titoli
a utilizzo fiscale. I titoli, una volta ricevuti, sono anche in questo caso
un’attività di cui lo Stato dispone: ma ancora una volta solo per un istante –
immediatamente vengono annullati, o ridistribuiti al settore privato mediante
ulteriori azioni di spesa pubblica.
Non c’è nessun “madornale
errore di ragioneria elementare”. Ed emettere titoli a utilizzo fiscale, quali i CCF, è lo strumento per risollevare l’economia da uno stato di depressione
economica. E’ la strada che l’Italia deve percorrere, il prima possibile.