L’interscambio
commerciale italiano con l’estero era partito alla grande all’inizio del 2020, come
si scopre esaminando i dati raccolti dalla Banca d’Italia.
Il surplus
commerciale estero aveva raggiunto, nel 2019, il record storico di 58,4
miliardi di euro. Il bimestre gennaio-febbraio 2020 ha registrato un ulteriore
notevole ulteriore miglioramento rispetto all’anno precedente. I mesi iniziali
dell’anno per motivi stagionali sono più deboli della media. Ma comunque il
surplus è salito da 2,4 a 6,5 miliardi.
E’ l’effetto
combinato di una crescita del 5% nelle esportazioni di beni e servizi (per
meglio dire dei beni, +6,1%, mentre i servizi sono scesi del -0,8%) a fronte di
importazioni pressoché piatte al +0,2% (beni +0,5%, servizi -1%).
Questo, prima
del lockdown. Sarò molto curioso di
scoprire che cosa sta succedendo tra marzo e aprile. Non mi stupirebbe che il surplus
cresca in misura ancora più accentuata.
Ovviamente la
produzione è calata perché molte aziende sono chiuse, ma il mio sospetto è che
l’export abbia (relativamente) tenuto, in quanto la restrizioni dei nostri
partner commerciali sono state quasi sempre (forse senza il quasi) parecchio meno
accentuate delle nostre. In pratica, chi ha prodotto (e chi ha smaltito il
magazzino) ha venduto proporzionalmente più all’estero che in Italia.
Mi aspetto
invece un crollo dei nostri consumi interni, e di conseguenza anche delle
importazioni.
La caduta del
prezzo del petrolio è un fattore in più che spinge nella stessa direzione. Due
giorni fa il WTI per consegna aprile è sceso all’incredibile livello di meno 40 dollari al barile. Si veniva pagati per comprare. Questo fenomeno
è connesso alla saturazione dei siti di stoccaggio negli USA. Si ricevono soldi,
in pratica, se si è in grado di ritirare (nel senso fisico) i barili e di aiutare
il decongestionamento.
In effetti il
petrolio europeo, il Brent, sta invece oscillando su valori meno assurdi,
intorno a 20 dollari o poco più. Ma prima della crisi sanitaria eravamo a
50-60.
Nel frattempo,
al 31.12.2019, la NIIP (Net International
Investment Position) dell’Italia si è quasi azzerata: -30 miliardi, ovvero
-1,6% rispetto al PIL. Aveva raggiunto -27% tra fine 2013 e inizio 2014.
La NIIP è la
differenza tra attività patrimoniali estere possedute da residenti italiani, e
attività patrimoniali italiane possedute da residenti esteri. In altri termini,
è il passivo patrimoniale italiano verso l’estero.
Questo
indicatore era quasi a zero a fine 2019 e con ogni probabilità in questi mesi
si sta portando in territorio positivo. La prossima volta che sentite qualcuno
dire che “l’Italia è piena di debiti”, mordetegli un polpaccio da parte mia.
I problemi finanziari
dell’Italia nascono da un errore, uno solo: aver convertito il debito pubblico in una moneta straniera, sopravvalutata rispetto ai fondamentali della nostra
economia.
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