L’economia occidentale sta combattendo, in questo momento, contro il rischio di scivolare in uno stato di stagflazione, definito come inflazione troppo elevata unita a recessione economica.
Per il momento non siamo in questa situazione, in quanto le previsioni per il 2022 sono ancora di PIL reale in crescita. Tuttavia gli incrementi previsti per i vari paesi hanno già subito forti limature, e potrebbero trasformarsi in DEcrementi se (principalmente e tra le altre cose) la crisi ucraina durerà a lungo.
Il dibattito sulle modalità per contrastare questo stato di cose, soprattutto a livello di banche centrali, si riduce in buona sostanza a una diatriba tra “falchi” e “colombe”.
I “falchi” ritengono che l’inflazione non possa essere combattuta efficacemente senza attuare una restrizione monetaria e creditizia: e quindi, in particolare, che sia indispensabile alzare i tassi d’interesse.
Le “colombe” ribattono che i prezzi hanno cominciato a salire prima per il faticoso riavvio delle catene di approvvigionamento di materie prime e componenti, dopo la rimozione delle restrizioni connesse al Covid; e poi per l’inizio delle ostilità in Ucraina. Queste strozzature e queste limitazioni di offerta non si contrastano con un’azione restrittiva della domanda finale come quella che sarebbe prodotta da qualche punto di interessi in più. Combattere efficacemente questo tipo di inflazione con restrizioni monetarie richiederebbe una contrazione di PIL e occupazione assolutamente disastrosa e inaccettabile.
L’elemento mancante in questo dibattito è la possibilità di utilizzare politiche fiscali ESPANSIVE in chiave DEFLAZIONISTICA. In pratica, immettere PIU’, non meno, moneta nell’economia, per ottenere un effetto di contenimento di costi e prezzi.
Come ? molto semplicemente, riducendo la tassazione e gli oneri accessori sui fattori produttivi. Meno IVA. Meno accise sui carburanti. Meno tasse e contributi sul costo del lavoro. Eccetera.
Che questo elemento non sia in primo piano nel dibattito all’interno delle banche centrali in una certa misura è comprensibile (non arrivo a dire giustificabile) perché le banche centrali sono le custodi dell’ortodossia monetaria. Più moneta in circolazione per loro può voler dire solo prezzi più alti, non più bassi. E viceversa.
Ma questa ortodossia monetaria ha già dimostrato di essere un modello di pensiero con delle enormi falle logiche. Il Quantitative Easing ha completamente fallito l’obbiettivo di creare inflazione. Ci sono volute lo scardinamento delle catene di fornitura post Covid, e una guerra. Altro che “stampare moneta”. L’equazione più / meno moneta = più / meno inflazione semplicemente non regge alla prova dei fatti.
E d’altra parte una politica fiscale espansiva, ma rivolta al CONTENIMENTO di prezzi e di costi, non richiede azioni da parte delle banche centrali, ma dei governi.
La palla è quindi in mano ai capi di Stato, ai capi di governo e ai ministri dell’economia e delle finanze. Anche all’interno dell’Eurozona, dove non è accettabile che ci si trinceri (per non agire) dietro i vincoli del sistema euro. Il patto di stabilità è sospeso, ancora per il 2022 (ed appare sempre più probabile che la sospensione venga prolungata).
E inoltre, c'è la Moneta Fiscale, pronta per essere utilizzata.
Ennio Caruccio: il PIL è fatto anche da aumento dei prezzi.
RispondiEliminaIl PIL nominale. Il PIL reale scorpora l'inflazione.
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