Uno dei post precedenti aveva per oggetto il (presunto) nesso tra rendimenti offerti sui titoli di Stato (da un lato) e valore della moneta dello Stato emittente sul mercato dei cambi (dall’altro).
E faceva notare che il Giappone (il solito rompiscatole…) smentisce la tesi che tassi bassissimi producano un cronico deprezzamento del cambio.
Vorrei qui approfondire un tema collegato. La politica monetaria è, in buona misura, basata sulle variazioni del tasso d’interesse offerto dalla banca centrale alle banche commerciali. A questo tasso tende anche ad allinearsi il rendimento dei titoli di Stato a breve termine.
Se, infatti, una banca può depositare presso l’istituto di emissione (la banca centrale, appunto) ottenendo il 3%, perché mai dovrebbe comprare un titolo di Stato a breve che non offra lo stesso rendimento ?
Ho scritto “una banca” perché solo alle istituzioni finanziarie è consentito depositare presso l’istituto di emissione (“detenere riserve presso la banca centrale”). Ai singoli individui no. Ma il meccanismo funziona, perché una parte molto rilevante delle transazioni è comunque effettuato dalle banche.
Detto ciò, una domanda che ci si può porre è: per condurre efficacemente la propria politica monetaria, all’istituto di emissione è necessario che circolino titoli di debito pubblico ?
La risposta è no.
Immaginiamo un istituto di emissione che NON sia separato dal governo. Che sia un ufficio del ministero dell’economia, ad esempio.
Questo ufficio avrebbe l’incarico di effettuare le politiche di spesa pubblica e di tassazione (come già accade adesso). E così facendo immetterebbe moneta nell’economia per l’esatto importo del deficit pubblico.
Ma non avrebbe bisogno di emettere titoli per “finanziare il deficit”. Ad esempio: spende per 100, tassa per 96, e lascia 4 in circolazione nell’economia.
Dopodiché, potrebbe consentire agli operatori economici – non solo banche, ma anche aziende e famiglie – di aprire depositi remunerati presso il medesimo ministero dell’economia.
I 4 di deficit una volta immessi nell’economia finiscono in tasca a qualcuno. Che li può spendere, e avviare una catena di transazioni. Ma sempre in mano a qualcuno restano. Sono sempre RISPARMIO PRIVATO (anche se il privato ricevente li spende ! perché la spesa di qualcuno è l’incasso, quindi il risparmio, di qualcun altro).
Se il ministero dell’economia dà la possibilità a qualsiasi soggetto economico di ottenere un determinato rendimento sui depositi presso di sé, ecco che ha fissato un rendimento-base del risparmio e del credito. Se il ministero offre il 3%, nessuno accetterebbe il 2% come rendimento di un deposito bancario, nessuno presterebbe soldi al 2%.
Dal che dovrebbe risultare evidente che:
Uno Stato che emette la sua moneta non ha alcun bisogno di collocare titoli per “finanziare il deficit”.
Uno Stato che consente di depositare presso il suo istituto di emissione non ha nemmeno bisogno di collocare titoli, modificando il rendimento ad essi riconosciuto, per effettuare una politica monetaria, di credito o di sostegno del cambio.
Basta che l’istituto di emissione utilizzi la leva del tasso offerto sulla sua raccolta depositi.
A questo punto diventa anche difficile capire perché i depositi presso l’istituto di emissione dovrebbero essere chiamati “debito pubblico” e considerati un ”onere” per lo Stato. Tecnicamente anche i depositi bancari sono debito, certo, ma la raccolta depositi viene tipicamente vista come un punto di forza, una forma di finanziamento stabile e permanente, non certo come un problema della banca.
A maggior
ragione questo varrebbe per depositi dove il “debitore” è l’istituto di
emissione: un debitore solvibile per definizione, perché emette la moneta in
cui è “indebitato”.
Ennio Caruccio: Ma questo sistema diretto con la BC ... qualche paese lo fa'🙃 già?
RispondiEliminaNo perché emettere titoli si presta meglio alla speculazione, nonché ad alimentare la favola del "macigno che incombe sulle future generazioni..."
Eliminasperiamo di essere i primi ad introdurlo.
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