giovedì 27 ottobre 2022

Tassi d’interesse e svalutazioni

 

Si continua a parlare dell'episodio britannico e della situazione giapponese, che suscitano opinioni contrapposte in merito alle implicazioni sulla validità, o meno, della Modern Monetary Theory.

Detto altrimenti, quanto avvenuto smentisce la MMT (come sostengono gli euroausterici) o la conferma (come ribadiscono i sostenitori della MMT) ?

Torno in particolare sul Giappone, che pratica lo Yield Curve Control, cioè la sistematica compressione a livelli molto bassi dei tassi d’interesse. Gli euroausterici affermano che certo, un paese che emette e controlla la sua moneta può sempre fissare come vuole i tassi sui titoli di Stato (basta farli comprare all’istituto di emissione a un prezzo prefissato). Ma questo ha un impatto negativo sul cambio, nel senso che tende a svalutarlo, specialmente quando, invece, gli altri paesi stanno aumentando i tassi (che è la situazione odierna).

Questa possibilità, in effetti, non è mai stata negata dalla MMT. Ma l’implicazione che ne traggono gli euroausterici è che la svalutazione sia negativa, per non dire disastrosa.

La posizione degli autori MMT è invece che la svalutazione del cambio non è in sé nulla di preoccupante. Il limite che si ha di fronte nell’attuare politiche espansive non è la svalutazione ma l’inflazione. Finché non si innesca inflazione a livelli elevati, persistenti, tendenti a uscire di controllo, le politiche espansive sono legittime ed adeguate.

Ora, se è vero che il cambio giapponese subisce un impatto negativo dallo YCC (molto meno drammatico, per la verità, di quanto si direbbe ascoltando i commenti degli euroausterici) è ancora più vero che l’inflazione giapponese, al 3%, è nettamente più bassa dell’8%, 10% che oggi si rileva negli USA e nell’Eurozona. Il rischio d’inflazione incontrollata ha tutta l’aria di stare altrove, non in Giappone.

E del resto chi segue questo blog sa da tempo che il nesso causale da svalutazione a inflazione è molto ma molto labile.

Per cui, di che cosa si dovrebbero preoccupare i giapponesi ?

Tra l’altro stanno guadagnando competitività rispetto al resto del mondo, grazie appunto alla combinazione di inflazione più bassa e cambio più debole. Il che mostra che nella situazione corrente il rischio che la svalutazione giapponese divenga “enorme” o “catastrofica” è privo di fondamento: in nessun paese che guadagna competitività reale può accadere nulla del genere. La situazione giapponese darà ragione agli euroausterici se e solo se la loro inflazione supererà, e di parecchio, quella occidentale. Esattamente il contrario di quanto sta avvenendo.

Ulteriore considerazione: tutte queste “preoccupazioni” sullo YCC nascono dal presupposto che il deficit pubblico debba essere finanziato emettendo titoli, e che il rendimento offerto sui titoli di Stato sia un “attrattore” verso cui i rendimenti di mercato devono necessariamente convergere.

In realtà non c’è nessuna ragione per cui questa emissione di titoli debba necessariamente verificarsi. Uno Stato che emette e gestisce la sua moneta può attuare il deficit pubblico, semplicemente, spendendo moneta di nuova emissione e ritirandone una parte (inferiore alla spesa) con le tasse.

Poi, se quello Stato vuole attuare una determinata politica sui tassi d’interesse e, indirettamente, sul cambio, può dare la possibilità alle istituzioni finanziarie, e volendo anche ai risparmiatori, di depositare le proprie disponibilità presso l’istituto di emissione, a un tasso variabile e gestito in funzione degli obiettivi sopra citati. E può offrire rifinanziamento al sistema bancario a tassi analoghi. Tutte cose peraltro che (nei confronti delle istituzioni finanziarie, quantomeno) le banche centrali fanno già, da sempre.

In sintesi, ammesso e non concesso che fare YCC causi necessariamente la svalutazione del cambio, dire che la svalutazione implichi l’insuccesso della strategia significa accettare due presupposti errati:

che questa svalutazione, posto che avvenga, sia di dimensioni “enormi”

che questa svalutazione, posto che avvenga, inneschi inflazione.

E questo senza contare che l’emissione di titoli, come visto, non è nemmeno indispensabile per finanziare il deficit. Si può emettere direttamente moneta, che è un finanziamento a tasso zero (e senza obbligo di rimborso del capitale). Nel qual caso di YCC, di Yield Curve Control, non si potrebbe neanche parlare, perché non esisterebbe alcuno “Yield” da controllare…

 

5 commenti:

  1. Mario Massimiliano Fornero: Grazie per la chiarezza, Dr. Cattaneo. Approfitto per chiederle: l'ipotesi sua (e di Zibordi) di emissione di Ccf avverrebbe come? Li emetterebbe la Banca d'Italia? E sotto quale veste? Forse 'fiat'? Mi userebbe una grande cortesia se mi spiegasse il meccanismo emissione, acquisto (o donazione?) interesse pagato per acquisire i Ccf, utilizzo eventuale da parte del Governo Meloni, etc. (avevo comprato il libro 'La soluzione per l'Euro', ma l'ho prestato e non è più tornato a casa). Ringrazio.

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    1. Eh succede spesso con i libri prestati 🙂 l'emittente naturale è il MEF (non la banca d'Italia), i meccanismi di emissione possono essere vari ma sempre a titolo gratuito: integrazione di retribuzioni, assegnazione alle aziende in funzione dei costi di lavoro sostenuti, assegnazione a privati o aziende che effettuano determinati tipi d'investimenti (vedi superbonus), rafforzamento di provvedimenti di spesa sociale tipo reddito di cittadinanza ecc. Vedi pagina 11 del primo dei due link di cui al post del 23.4.2019.

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  2. Gentile Marco, come spieghi la bassa inflazione giapponese nonostante la svalutazione record del cambio e il fatto che il Giappone stesso sia un grande importatore netto di materie prime, in particolare energetiche (petrolio e gas) ?

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    1. Non conosco in dettaglio le politiche economiche giapponesi ma sospetto che abbiano adottato qualcosa di simile a quanto propongo giusto nel post di oggi (1° novembre 2022).

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    2. sarebbe interessante approfondire, lo dico per entrambi :-)

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