Domenica scorsa
(25 giugno) circolavano i primi commenti sul piano di intervento che ha portato
Banca Intesa ad acquistare i rami d’azienda “buoni” di Veneto Banca e di Banca
Popolare di Vicenza (con una cospicua sovvenzione pubblica e lasciando allo
Stato italiano i crediti deteriorati).
Commentando su
Twitter un articolo di Isabella Buffacchi del Sole24Ore, ho affermato (tra le
altre cose) che quanto è avvenuto è la conseguenza di una regolamentazione
assurda: il meccanismo UE di supervisione del sistema bancario e di risoluzione
delle crisi.
Isabella
Buffacchi stessa ha risposto al mio commento con la seguente affermazione:
“E’ assurdo che
i creditori siano colpiti prima dei contribuenti o è assurdo colpire i contribuenti
per proteggere (alcuni) creditori ?”
Ho replicato a
mia volta con una serie di tweet, che riporto qui di seguito, integrati da alcuni
chiarimenti che fanno – mi auguro – luce sui vari aspetti del problema.
PRIMO,
è assurdo imporre perdite a risparmiatori che hanno sottoscritto titoli ANTE
cambiamento normativo; perdite causate anche da carente vigilanza.
Si sommano qui
due problemi: da un lato, sono stati colpiti i sottoscrittori di obbligazioni
subordinate, che le avevano acquistate in un contesto normativo in cui i
creditori delle banche potevano perdere soldi solo in conseguenza di una
procedura concorsuale (un fallimento, in pratica). La regolamentazione UE
prevede invece meccanismi (il bail-in)
che infliggono perdite senza che intervenga alcuna procedura concorsuale,
introducendo quindi uno scenario di rischio che in precedenza non esisteva. E
questo mutamento è stato introdotto in forma retroattiva, quindi con effetto
anche sui titoli emessi in precedenza.
Dall’altro lato,
va sempre ricordato che l’investitore in titoli bancari, a differenza del
sottoscrittore di obbligazioni emesse da una società non finanziaria, fa
affidamento sull’esistenza di organismi di controllo e di vigilanza (Bankitalia
e BCE, nel caso specifico) una delle cui principali funzioni è appunto
prevenire situazioni di dissesto finanziario. L’investimento in titoli emessi
da una banca dovrebbe essere maggiormente tutelato rispetto all’acquisto, per
esempio, di corporate bonds di una
società industriale: se non è così, qual è il senso dell’attività di vigilanza ?
SECONDO,
è assurdo aver delegato la vigilanza alla BCE SENZA che sia stata introdotta
una garanzia sui depositi a livello Eurozona.
In pratica,
l’Italia oggi si trova in una situazione in cui un’entità esterna (la BCE)
decide quando un’istituzione bancaria si trova, o meno, in situazione di
dissesto, ma per contro non beneficia di alcun meccanismo di tutela, nemmeno
per i depositanti e per i correntisti ordinari. Si è quindi introdotto un
livello di rischio anche per la clientela ordinaria, che utilizza lo sportello
bancario non per investire (o speculare) ma esclusivamente come meccanismo per
effettuare depositi e pagamenti. Rischio che non esisteva più dagli anni
Trenta, quando in tutte le principali economie mondiali ci si era resi conto
che i dissesti bancari e le corse agli sportelli erano in grado di trasformare
una crisi finanziaria in un dissesto bancario sistemico.
In misura più o
meno accentuata oggi qualsiasi istituzione bancaria “chiacchierata” fronteggia
il rischio di fughe di depositi, perché la solidità della sua situazione
patrimoniale è soggetta a valutazioni fortemente discrezionali, per non dire
arbitrarie, di un’entità terza. Entità che peraltro non fornisce alcuna tutela
o garanzia, e non è responsabilizzata per le conseguenze di una sua carente
azione di vigilanza e prevenzione.
Esiste, si dirà,
il fondo interbancario nazionale che garantisce i depositi fino all’importo di
100.000 euro. Ma le risorse di questo fondo sono limitatissime e del tutto
inadeguate a fronteggiare una crisi di proporzioni estese. Senza contare che a
fine 2015 la commissione UE ha impedito che il fondo venisse utilizzato per
sostenere le quattro banche allora in difficoltà (Banca Popolare dell’Etruria,
Banca delle Marche, Cassa di Risparmio di Chieti e Cassa di Risparmio di
Ferrara) sollevando il problema che si sarebbe trattato di aiuti di Stato non
autorizzati. Il medesimo problema, nel caso delle banche venete è stato invece
completamente ignorato, nonostante le dimensioni dell’intervento fossero molto
maggiori.
Il fondo
interbancario nazionale in pratica è del tutto insufficiente come dimensione e
non c’è alcuna certezza che possa venire utilizzato all’occorrenza. E l’assicurazione
europea non esiste. A tutti gli effetti pratici, l’incertezza è totale. E’
quindi del tutto plausibile che i risparmiatori scappino quando cominciano a
circolare notizie (magari in quel momento infondate) su potenziali problemi della
banca. Con il risultato che il rischio di dissesto si può creare anche dove
altrimenti non sarebbe esistito.
TERZO,
è assurdo pensare che le perdite subite dai risparmiatori non ricadano poi
sull’economia e quindi sul contribuente.
La
regolamentazione bancaria UE è incentrata sul principio che occorre far pagare
agli investitori le perdite per evitare che se le debba accollare il
contribuente.
Ma in realtà le
perdite inflitte ai risparmiatori danneggiano l’andamento dell’economia e il
tessuto produttivo, e producono danni a PIL, occupazione e gettito fiscale. Infliggere
perdite ai risparmiatori NON significa toglierle dalle spalle del contribuente.
Significa che perdono sia il
risparmiatore (prima) che il contribuente (di conseguenza, e subito dopo).
Per contro c’è
un’alternativa che evita perdite a entrambi: ripianare le perdite che i
risparmiatori subirebbero, direttamente da parte dell’istituto d’emissione (nel
caso dell’Eurozona, la BCE). Chi perde in questo caso ? nessuno, né
direttamente né indirettamente – l’emissione monetaria non ha effetti
inflazionistici perché non incrementa l’ammontare totale di potere d’acquisto in
circolazione: si evita, piuttosto, che una parte di esso venga distrutto (con i
connessi, e deleteri, effetti deflattivi).
A titolo di
esempio, nel 2009 la Banca Centrale svizzera ha coperto un buco di 60 miliardi
che, in conseguenza della crisi finanziaria internazionale, si era creato in
uno dei principali istituti elvetici, l’UBS. Qualcuno ha sentito parlare di
effetti inflazionistici, o di turbolenze di qualsiasi tipo nell’economia
svizzera ?
Ma il moral hazard, si dirà ? se la banca
centrale interviene ed evita danni, non incentiviamo in questo modo
comportamenti arrischiati, se non irresponsabili, da parte degli investitori e
dei gestori delle banche ?
Per quanto
riguarda i gestori, la risposta è che l’intervento della banca centrale deve
andare di pari passo con il perseguimento dei responsabili del dissesto, sul
piano civile e penale. E deve avere conseguenze anche per gli organi interni della
banca centrale, che evidentemente hanno svolto una cattiva azione di vigilanza
e prevenzione.
Per quanto
riguarda gli investitori, deve esistere una detta linea di demarcazione tra risparmio
tutelato e investimenti rischiosi. Negli USA la differenza è chiara: i depositi
bancari fino a 250.000 dollari d’importo sono assicurati dalla Federal Deposit
Insurance Commission, a sua volta garantita dal governo federale e dalla
Federal Reserve. E’, in pratica, il meccanismo di assicurazione comune dei
depositi che nell’Eurozona ci si è rifiutati di introdurre.
Per quanto
riguarda i titoli e i depositi di importo superiore, deve essere chiaro (ma fin
dalla loro emissione, non cambiando il contesto normativo con effetti retroattivi)
che si tratta di investimenti a rischio. Ma a quel punto, se il dissesto
dell’istituzione finanziaria crea rischi sistemici, occorre attivare una
procedura d’insolvenza che mette l’istituzione sotto il controllo della banca
centrale (o del governo, supportato finanziariamente dalla BC medesima): si procede
ad assicurare l’ordinato svolgimento dell’attività, e nel tempo si ripagano gli
investitori nei limiti di quanto è possibile recuperare.
Se poi gli
investitori non garantiti sono di dimensioni tali che il dissesto può creare
rischi all’intero sistema economico (come avvenuto nel 2008) l’unica soluzione
è un intervento fiscale espansivo che compensi gli effetti depressivi e
deflattivi per l’economia, immettendo potere d’acquisto nel sistema economico.
Uno scenario di
questo tipo andrebbe prevenuto a monte, evitando che un’istituzione finanziaria
divenga “too big to fail”. Ma questo
è un problema di regolamentazione e di vigilanza. Se regolamentazione e
vigilanza si rivelano carenti, l’azione anticiclica del settore pubblico è ex post l’unica via che evita alla crisi
finanziaria di trasformarsi in una depressione economica.
QUARTO,
è assurdo ignorare, a dispetto di tonnellate di prove contrarie, gli effetti
depressivi delle politiche di austerità e la conseguente esplosione dei crediti
deteriorati.
Il catastrofico
andamento dell’economia italiana dal 2011 in poi è direttamente imputabile all'aver reso ossequio alle “prescrizioni” UE, ricercando il contenimento del deficit
pubblico quanto l’economia non aveva ancora, se non in parte minore, recuperato
i danni della crisi finanziaria internazionale scoppiata nel 2008.
L’Italia si
trova oggi con livelli di crediti deteriorati molto superiori alle medie
dell’Eurozona esclusivamente per questo motivo. Le cose non stavano così né nel
2008 né nel 2011.
Un intervento
che (come, almeno a giudicare dal suo tweet, Isabella Buffacchi avrebbe
ritenuto corretto) avesse inflitto “perdite ai risparmiatori per proteggere i
contribuenti” in realtà come visto ne avrebbe create, e di pesanti, a entrambi.
Questo, dopo che sia i risparmiatori, che i contribuenti, che i cittadini
italiani nel loro complesso, hanno subito pesantissime e immotivate conseguenze
dall’imposizione di scellerate politiche procicliche. Politiche all’origine di
fenomeni peraltro strettamente connessi: la caduta di produzione e occupazione,
il peggioramento delle condizioni di vita di larghi strati di popolazione, e il
deterioramento degli attivi del sistema bancario.
Adottare
politiche di espansione della domanda è la via per risolvere entrambi i
principali problemi, che sono lati della stessa medaglia: rilanciare l’economia
e far ritornare in salute il sistema bancario.
Chiedersi “se
debbano essere tutelati prima i risparmiatori, o prima i contribuenti” è per
contro una domanda estremamente mal posta. L’intervento corretto – l’azione
fiscale espansiva, che introduce potere d’acquisto e rilancia produzione e
occupazione - è benefico per entrambi. Non è un problema di decidere a chi far
subire i danni: si possono – e quindi si devono - evitare a tutti e due.