Sulla base di quanto esposto al post precedente, emerge con chiarezza quale sia l’origine di
un fenomeno di stagflazione, cioè di una economia che in entra in una fase
stagnante o recessiva mentre, nello stesso tempo, l’inflazione sale.
Negli anni
Cinquanta o Sessanta, era opinione diffusa tra molti economisti che questo
fenomeno non potesse verificarsi. L’inflazione, si riteneva, era possibile solo
in conseguenza di una crescita troppo rapida della domanda, a cui si accompagnava
un mercato del lavoro surriscaldato. Esisteva quindi un trade-off stabile tra inflazione e disoccupazione (la "curva di Phillips").
Gli oil shocks degli anni Settanta hanno
invece dimostrato che la stagflazione è possibile quando la capacità del
sistema economico di generare valore aggiunto (= PIL), e quindi reddito
nazionale, cala, in conseguenza di un aumento di costo degli input acquistati dall’esterno (come il
petrolio per la maggior parte dei paesi occidentali, appunto).
L’altra
possibilità è che turbolenze politiche producano dissesti nella struttura
produttiva del paese, contraendo quindi l’offerta potenziale. L’iperinflazione
dei primi anni della repubblica di Weimar, in Germania, è nata in questo modo.
In entrambe queste
situazioni, il PIL potenziale diminuisce e, anche a domanda nominale invariata,
l’offerta scende al di sotto della domanda: il che avvia la dinamica di rialzo
dei prezzi.
L’unica maniera di
evitare la salita dell’inflazione sarebbe infatti ridurre la domanda aggregata in termini nominali, per esempio contraendo la spesa pubblica. Ma questo produrrebbe danni molto maggiori, gettando
l’economia in depressione. Un calo nominale della domanda implica, infatti, una
riduzione di redditi nominali (e reali) di famiglie e aziende, che si
ripercuoterebbero sulla capacità di far fronte ai propri impegni per (tra le
altre cose) mutui e finanziamenti.
Ne seguirebbero
pesanti impatti sul sistema bancario, che limiterebbe di conseguenza il
credito, alimentando un circolo vizioso e amplificando la caduta di produzione
e occupazione.
Va comunque
ricordato che nulla di tutto ciò si applica alla situazione italiana odierna.
Non c’è un
problema di costo delle materie prime. Va tra l’altro ricordato che l’incidenza
degli acquisti di petrolio ed energia sul PIL è, oggi, molto più bassa che
negli anni Settanta. Rispetto ad allora, nell’economia è molto maggiore il peso
relativo dei servizi e molto meno quello dell’industria; inoltre, l’efficienza
energetica del sistema industriale e dei trasporti è molto più elevata.
E non abbiamo
neanche subito qualcosa di comparabile all’occupazione della Ruhr…
Oggi l’economia
italiana soffre di un pesantissimo output
gap, mentre l’inflazione è l’ultimo dei problemi.
Oggi, la domanda
va rilanciata con forza. I vincoli di governance
dell’Eurosistema vanno superati. E lo strumento da utilizzare, senza rompere
l’euro e restando all’interno degli attuali trattati e regolamenti, esiste: è il progetto Moneta Fiscale / CCF.
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