martedì 14 maggio 2019

Domanda, reddito potenziale e inflazione


In un recente post, avevo manifestato grande apprezzamento per il testo di Mitchell, Wray e Watts sulla MMT, accennando però anche al fatto che non mi trovavo in totale sintonia – o quantomeno, non ritenevo del tutto chiara – la loro trattazione dell’origine dei fenomeni inflattivi. Torno qui sull’argomento.

Gli autori parlano frequentemente, nel testo, di “inflazione da costi”, soprattutto con riferimento alle crisi petrolifere degli anni Settanta. Introducono anche una distinzione tra questo fenomeno e l’”inflazione da domanda” senza chiarirla del tutto, e accennando (ma senza approfondire) al fatto che i due fenomeni non possono essere completamente separati.

Penso che il tutto possa essere meglio chiarito come segue.

L’inflazione, intesa come una tendenza forte e persistente all’aumento del livello medio dei prezzi, è sempre provocata da un eccesso di potere d’acquisto in circolazione nell’economia, rispetto alla capacità del sistema economico di produrre reddito. In sintesi, dalla domanda che eccede l’offerta.

La cosiddetta inflazione da domanda nasce quando, a causa per esempio di un eccesso di spesa da parte del settore pubblico, la richiesta di beni e servizi cresce troppo velocemente rispetto alla capacità del sistema economico di produrli.

La cosiddetta inflazione da costi proviene anch’essa da uno squilibrio domanda-offerta: ma in questo caso è la crescita del costo di determinati input produttivi – esempio classico, appunto, il petrolio negli anni Settanta – che abbassa la capacità di produrre reddito. Con il risultato che anche a domanda invariata, la capacità di spesa del sistema economico si trova ad essere eccedente rispetto al reddito potenziale.

Su scala più accentuata, del resto, anche i citatissimi (a sproposito) fenomeni di iperinflazione (Weimar, Zimbabwe, Venezuela) sono nati a seguito di crolli della capacità produttiva e quindi del reddito potenziale, provocati, in questo caso, da turbolenze politiche.

La caduta del reddito potenziale deve necessariamente generare inflazione ? in teoria no, se i policymakers reagiscono togliendo potere d’acquisto dal sistema economico: riducendo la spesa pubblica in valore nominale, alzando le tasse, alzando i tassi d’interesse, ecc.

Ma un’azione di questo tipo avrebbe conseguenze disastrose, perché aziende e famiglie subirebbero un calo dei loro redditi nominali (oltre che reali) a fronte di impegni invariati per pagamenti di debiti, mutui, affitti e contratti di varia natura.

Ne seguirebbe una pesantissima catena di default e dissesti.

In pratica, una caduta del reddito potenziale finisce quindi per accompagnarsi a una salita dell’inflazione.

Negli anni Settanta tutti i paesi economicamente più sviluppati hanno visto l’inflazione salire, per periodi più o meno lunghi, a livelli intorno al 10% o anche al 20%. Non c’era altra strada per evitare che la seria recessione economica prodotta dagli oil shocks degenerasse in una gravissima depressione.

Quando si distingue tra inflazione da costi e inflazione da domanda si fa quindi riferimento all’origine dello squilibrio tra capacità di spesa e reddito potenziale – tra domanda e offerta. Ma l’inflazione si verifica sempre a seguito di un eccesso di domanda rispetto all’offerta. E non è certo sorprendente che sia così.


8 commenti:

  1. "La cosiddetta inflazione da domanda nasce quando, a causa per esempio di un eccesso di spesa da parte del settore pubblico, la richiesta di beni e servizi cresce troppo velocemente rispetto alla capacità del sistema economico di produrli"
    Domanda: la velocità di produzione che si ha con la tecnologia odierna in teoria dovrebbe rendere difficile il fatto che si generi inflazione?

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    1. La tecnologia aumenta la produttività, il che rende possibile incrementare il potere d'acquisto in circolazione senza (entro certi limiti) creare inflazione. Detto questo, va sempre ricordato che rileva non il livello, ma la CRESCITA della produttività: crescita che oggi NON è più rapida (anzi, al contrario) che nel passato. La produttività cresceva molto di più (in proporzione) passando dall'aratro a chiodo a quello meccanico, che cambiando modello di IPhone...

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  2. Che l'inflazione sia sempre dovuta ad una questione di domanda che supera l'offerta non mi sembra così banale, esempio estremo può essere lo stato che impone una paga minima oraria particolarmente elevata, tipo 100 euro.
    In un caso di questo tipo gli imprenditori avrebbero un aumento dei costi di produzione e molto probabilmente tenderebbero ad aumentare i prezzi del prodotto finale, poco importa se ci troviamo in una situazione di forte output gap come in Italia. Un aumento forte dei prezzi del petrolio immagino abbia delle conseguenze simili.

    La situazione in cui c'è un aumento della domanda è diversa, immagino per una questione di aspettative e di concorrenza. Se sono un imprenditore e vedo che c'è una maggiore richiesta dei miei prodotti ho sostanzialmente due scelte: o aumento i prezzi o produco di più. In generale non posso aumentare troppo i prezzi perché altrimenti vengo battuto dalla concorrenza, quindi mi conviene assumere altre persone e produrre di più.
    Se però siamo in presenza di output gap basso mi risulterà difficile trovare persone da assumere e sarò costretto ad aumentare la paga ai miei dipendenti, quindi sarò comunque costretto ad aumentare il prezzo del prodotto finale.

    La differenza sostanziale è che nel caso di aumento di domanda l'imprenditore ha una scelta; se invece si ritrova un aumento dei costi di produzione (es. prezzo petrolio o paga oraria minima più alta) è sostanzialmente costretto ad aumentare i prezzi.

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    1. Ma se non si verificano incrementi di domanda (perché la capacità di spesa della clientela non aumenta), l'imprenditore è invece costretto (non è una scelta in questo caso) a comprimere i margini: aumentare i prezzi risulta, infatti, impossibile. Questo è il motivo, come gli eventi hanno dimostrato anche di recente, per cui l'impatto delle svalutazioni sull'inflazione in condizioni di output gap è pressoché nullo. Vedi il post dell'11.7.2013.

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    2. Beh i margini li può comprimere fino ad un certo punto, se aumentano i costi di produzione e la domanda rimane invariata quello che dovrebbe accadere è che molti sono costretti a smettere di produrre perché non risulta più conveniente. Siccome vale sempre MV = PQ, se MV rimane invariato e Q diminuisce allora deve per forza aumentare P.
      Prendendo l'esempio della paga minima oraria a 100 euro (mettiamo solo per i privati perché altrimenti aumenta la spesa pubblica): quello che realisticamente accadrebbe è che molti lavoratori verrebbero licenziati, quelli che non vengono licenziati si ritrovano con una paga più alta ma anche un costo della vita molto più elevato. Mi sembra praticamente impossibile che non aumentino i prezzi in una situazione del genere, indipendentemente da quanto sia grande l'output gap.

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    3. In uno scenario depressivo del genere V diminuirebbe, quindi anche con M invariato i prezzi non salirebbero. E' vero che alcuni produttori uscirebbero dal mercato, ma questo significherebbe ulteriore diminuzione del reddito disponibile, e quindi assenza di pressione al rialzo sui prezzi.

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    4. V diminuirebbe ma non vedo perché P rimarrebbe invariato, sarebbero praticamente tutti obbligati ad aumentare i prezzi per non andare in perdita.

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    5. P rimarrebbe invariato perché se il potere d'acquisto complessivo in circolazione non muta (appunto perché alcuni lavoratori guadagnano di più ma altri perdono il posto e quindi il reddito) non c'è spazio per un incremento generalizzato dei prezzi.

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