venerdì 25 febbraio 2022

Non tutti detestano Putin, e il motivo c’è

 

E vabbè, nel post precedente prevedevo che Putin non sarebbe arrivato a invadere l’Ucraina – quanto meno a breve. Previsione non particolarmente azzeccata, salvo intendere “che a breve” volesse dire “oggi no ma domani sì”.

Ciò detto, merita un commento – qualunque cosa si pensi di Putin e in qualunque modo lo si giudichi – il fatto che nonostante l’establishment e i media siano unanimi nel presentarlo come il cattivo della situazione, una parte tutt’altro che irrilevante dell’opinione pubblica (italiana, ma non solo) faccia fatica ad accettare questa rappresentazione.

In parte dipende dal fatto che la vicenda ucraina è estremamente intricata, con la conseguenza che attribuire tutti i torti o tutte le ragioni a una parte sola porta sicuramente a conclusioni scorrette.

Ma non è l’unica spiegazione, e forse neanche la principale. Un motivo forse più importante l’ha sintetizzato così Mauro Ammirati:

“Voi vi ricordate, vero, di quella volta che, per far abbassare lo spread, Putin ci costrinse a tagliare la spesa pubblica e ad innalzare l’età pensionabile ? Eh, io me la sono legata al dito”.

Il che a me ha immediatamente ricordato una famosissima frase di Cassius Clay, ai tempi non ancora Mohammed Alì, quando gli domandarono perché preferiva andare in prigione e perdere il titolo di campione del mondo invece di partire per il Vietnam (dove peraltro non l’avrebbero mandato al fronte, ma utilizzato in esibizioni per tenere alto il morale delle truppe):

No Vietcong ever called me nigger”.

Concetto poi ripreso in infinite altre occasioni, per esempio nel 1966 da un esponente del movimento per i diritti civili dei neri, Stokely Carmichael: 

Why should black folks fight a war against yellow folks so that white folks can keep a land they stole from red folks ?”

E dallo stesso Clay / Alì:

My conscience won’t let me go shoot my brother, or some darker people, or some poor, hungry people in the mud, for big, powerful America, and shoot them. For what ? They never called me nigger. They never lynched me. They never put no dogs on me. They never robbed me of my nationality, or raped or killed my mother and father… How can I shoot them poor people ? Just take me to jail”.

Perché questo ha qualcosa a che vedere con Putin e con l’Ucraina ? Perché Putin avrà tutti i difetti del mondo, ma se l’Italia si è ritrovata con l’economia devastata non è per colpa di Putin, ma di uno scellerato sistema di governance economico-monetaria: quello incentrato sull’euro e sulle sue assurde regole di funzionamento.

E, tra coloro che stanno in prima linea a sollevare (o almeno a provarci) l’opinione pubblica contro Putin, ci sono in bella evidenza, tra Bruxelles e Francoforte, i promotori di quel sistema.

Per cui, se Putin a me personalmente non ha fatto nulla, e chi si scaglia (verbalmente) contro di lui invece sì, pensare che il cattivo della situazione sia lui, o solo lui, non mi riesce né ovvio né facile.

Detto ciò, sospendo ogni giudizio su Putin in quanto mi dichiaro non sufficientemente a conoscenza dei fatti. Ma il giudizio sull’establishment europeista / eurista invece me lo sono formato con molta chiarezza. E motivi per cambiarlo non ne vedo neanche mezzo.

E d’istinto (ma proprio solo istinto non è) se l’establishment sostiene, unanime, una tesi, mi viene da pensare che la tesi opposta potrebbe avere un fondo, e magari non solo un fondo, di verità.

 

mercoledì 23 febbraio 2022

Donbass

 

Non ho la minima intenzione di contrabbandarmi per un esperto di geopolitica, ma alcune considerazioni sulla crisi del Donbass mi appaiono di sufficiente buon senso perché valga la pena di sintetizzarle qui di seguito.

In primo luogo, nelle regioni orientali dell’Ucraina è in corso un conflitto – a livello non di guerra in campo aperto ma di guerriglia – non da oggi ma dal 2014.

Fin da allora, in contemporanea con l’occupazione della Crimea da parte della Russia, le repubbliche popolari di Lugansk e di Doneck si sono dichiarate indipendenti dal governo centrale di Kiev.

Quello che è avvenuto adesso è il riconoscimento formale dello status d’indipendenza da parte della Russia. Formale, perché nella sostanza sono otto anni che la Russia collabora con le forze autonomiste locali e fornisce loro supporto, in varie forme.

Va sottolineato che i due territori in questione non includono tutto il Donbass né tanto meno tutta l’Ucraina orientale. Complessivamente si parla di 3,7 milioni di abitanti su una superficie di 17.000 chilometri quadrati. La popolazione della Toscana e l’estensione del Lazio, grosso modo.

Ora, mi pare evidente che nessuno scatenerà un conflitto militare per opporsi all’azione di Putin. Succederà invece che, su pressione USA, verranno dichiarate ulteriori sanzioni economiche contro la Russia.

A queste sanzioni, la UE aderirà con toni chiassosi ma rendendone l’operatività, nella sostanza, quasi nulla. Questo, per tre ragioni.

La prima: la UE mette i propri interessi commerciali, o per meglio dire mercantili, davanti a tutto il resto.

La seconda: anche azioni più corpose comunque non risolverebbero il problema, nel senso che non otterrebbero il dietrofront della Russia.

E la terza: la UE ha bisogno del gas russo.

Per cui la mia previsione è che, semplicemente, si creerà una situazione di fatto che nel giro di alcune settimane, un paio di mesi al massimo, sarà accettata senza che se ne parli più. Chi parla più, del resto, dell’occupazione della Crimea ?

Quanto sopra potrebbe essere smentito se Putin andrà oltre, con l’annessione di fatto di altre parti dell’Ucraina Orientale o addirittura con l’inclusione di tutta l’Ucraina nella sua sfera di controllo, modello Bielorussia.

Ma questo non accadrà.

A breve.

domenica 20 febbraio 2022

Concorrenza ! competitività ! ma le banche ?

 

Tra le tante cose che non capisco, riguardo all’Unione Europea, c’è la seguente.

I trattati istitutivi e la comunicazione ufficiale di Bruxelles affermano, reiterano, ripetono, che la UE deve svilupparsi sulla base dei principi di “un’economia di mercato fortemente competitiva”.

E questo implica tante cose. La regolamentazione antitrust, il contrasto agli abusi di posizione dominante, le liberalizzazioni di cui un (controverso) esempio di questi giorni è l’applicazione della direttiva Bolkenstein agli stabilimenti balneari, e molto altro ancora.

Quando si tratta però di banche, di istituzioni finanziarie, di aziende di credito, il leitmotiv è che ce ne sono troppe, che si devono fondere, concentrare, crescere di dimensione.

Bene. A me hanno insegnato, e l’esperienza quotidiana non l’ha mai smentito, che la concorrenza implica una pluralità di soggetti che operano sul mercato. Nel maggior numero ragionevolmente possibile.

Un settore economico è competitivo se c’è concorrenza, e la concorrenza la produce la pluralità di operatori. Non la creazione di oligopoli.

Per tacere dei problemi generati dal too big too fail, toccati con mano a seguito della crisi finanziaria globale del 2008. Istituzioni finanziari troppo grandi quando vanno in difficoltà creano dissesti sistemici. Quindi bisogna salvarle a tutti i costi prima che si caccino in guai troppo pesanti e trascinino nel baratro l’economia reale.

Ma se queste istituzioni sono grandi, sono anche molto influenti. E allora il problema, prima ancora che si arrivi alla crisi e alla necessità del salvataggio, è che il grande istituto finanziario influenza la gestione dell’economia e lo sviluppo della normativa.

In teoria, poche grandi banche dovrebbero essere più facili da controllare, da parte delle autorità di vigilanza. In pratica, quelle poche grandi banche sono così influenti da rivelarsi in grado, spesso e volentieri, di controllare il controllore. Con il rischio fondato, come si è scoperto appunto nel 2008, di generare con comportamenti spregiudicati, speculativi, proprio le condizioni stesse del dissesto.

Subito dopo la crisi del 2008, sentivo spesso dire che se una banca è too big too fail, è anche too big to exist. Ma la normativa ha seguito questo principio, in sede UE / BCE ? niente affatto. Al contrario: è andata nella direzione opposta. Ha promosso e continua a promuovere la concentrazione.

Fondere, crescere, accorpare. Sempre meno banche, sempre più grandi, sempre più in grado di influenzare gli organi di vigilanza.

È la formula per ottenere la “competitività” ? è la via per salvaguardare la “concorrenza” ? a me pare proprio il contrario.

 

venerdì 18 febbraio 2022

La falsificazione prova il valore della moneta – anche della Moneta Fiscale

 

Ancora in merito alle frodi sui crediti fiscali prodotti da incentivi al settore immobiliare. Non mi ricordo più quale famoso economista (magari qualche lettore mi può aiutare recuperando la citazione) disse che la miglior prova del valore di una moneta è il fatto che venga falsificata.

Può sembrare un paradosso, ma ci vuol poco a capire che è vero, e perché lo è. Dubito che qualcuno dedichi grandi sforzi a contraffare il bolivar venezuelano. E tra il 1921 e il 1923, giurerei che i falsari siano stati ben poco attivi, nella Germania di Weimar.

Le monete che ci si sforza di falsificare sono quelle che valgono. E quindi le frodi accertate in merito ai crediti fiscali, che si trasformano in Moneta Fiscale nel momento in cui vengono (i crediti stessi) compravenduti, sono la prova migliore che la Moneta Fiscale ha valore.

Il che magari vi sembrerà ovvio. Ma vi garantisco che quando formulavo le prime proposte in merito a CCF e Moneta Fiscale non lo era affatto: almeno dal punto di vista di parecchi commentatori, che ironizzavano sul fatto che io volessi risollevare l’economia “con i buoni pasto”.

La Moneta Fiscale invece VALE, ed è uno strumento potentissimo di gestione dell’economia. Il che non vuol dire che la sua falsificazione non sia un fenomeno da contrastare: ma si è visto che in presenza di controlli appropriati, ridurre al minimo le “contraffazioni”, altrimenti detto la generazione di crediti fiscali senza che ne esistano i presupposti di legge, è assolutamente possibile, e neanche particolarmente difficile.

Il che è un ottima notizia, perché la Moneta Fiscale è la via per risolvere le disfunzioni dell'euro e per superare, una volta per tutte, i terribili guai in cui l’economia italiana si è infilata, dalla firma del Trattato di Maastricht in poi. La Moneta Fiscale va posta, sempre di più, al centro del dibattito politico.

 

martedì 15 febbraio 2022

La Moneta Fiscale è qui per restare

 

Tutta la confusione che si è creata in merito ai crediti fiscali prodotti da interventi immobiliari sta avendo, e avrà, anche ripercussioni positive. 

La conferenza stampa di settimana scorsa è stata fuorviante. Potrei dire menzognera, ma parto da un presupposto di buona fede e quindi non accuso Draghi e Franco di essere bugiardi. Se non bugiardi, però, sono stati estremamente confusi.

Come conseguenza, tuttavia, hanno avuto ampia circolazione i dati presentanti dalla Agenzia delle Entrate in sede di audizione presso la commissione bilancio del Senato. Dati da cui emerge che solo il 3% delle frodi accertate riguardano il Superbonus 110, contro l’80% complessivo del bonus facciate (46%) e dell’eco-bonus (34%).

E Draghi è quindi andato fuori strada (e ha mandato fuori strada i media “allineati”) puntando l’indice, nelle sue dichiarazioni, sul Superbonus. Mentre emerge chiaramente che proprio il Superbonus, essendo dotato di procedure di accertamento e verifica dettagliate ed efficaci, NON ha generato (sospette) frodi, se non in misura del tutto marginale.

Da tutto il polverone emerge quindi con chiarezza che l’attribuzione di bonus non crea nessun significativo problema di frodi quando i controlli alla fonte sono ben impostati; e che se i controlli ci sono, la circolazione successiva dei crediti (quindi la loro trasformazione in Moneta Fiscale) non produce difficoltà - mentre rende potentissimo lo strumento.

Perché è importante, tutto questo ? perché il problema vero, principale, dell’economia italiana è che la ridefinizione del Patto di Stabilità e Crescita non sta andando da nessuna parte. Germania e altri paesi nordeurozonici non prendono minimamente in considerazione la proposta franco-italiana. Se qualcuno aveva illusioni al riguardo, la nomina del superfalco Lars Feld come capoeconomista alle dipendenze del ministro delle finanze Christian Lindner le ha demolite una volta per tutte.

Che cosa rimane, come via percorribile ? ma la Moneta Fiscale, appunto. Con grande semplicità, si dice ai tedeschi: il debito da rimborsare in euro lo riduciamo (in percentuale del PIL) secondo un percorso concordato, senza più deroghe ed eccezioni; ma la Moneta Fiscale la utilizziamo per sviluppare le necessarie politiche di sostegno alla crescita, di promozione degli investimenti, di supporto alle classi disagiate, di mitigazione dei costi per gas ed energia, e quant’altro.

La Moneta Fiscale non concorre né al deficit né al debito pubblico – non può essere debito, perché non è da rimborsare. E non essendo da rimborsare, non è soggetta a rischio di default causato dall’andamento dei mercati finanziari: di conseguenza, la sua emissione da parte di uno Stato non può, non deve essere oggetto di alcuna preoccupazione, vincolo o condizionamento da parte della UE, della BCE o di altri stati membri della UE o dell’Eurozona.

Altro non c’è, per far funzionare il sistema euro. Draghi ne deve prendere atto ed agire di conseguenza. Salvo che non voglia fare l’ingloriosa fine di Monti, cosa alla quale mi riesce difficile credere.

 

sabato 12 febbraio 2022

Superbonus: Draghi e Franco in confusione

 

Il tandem Mario Draghi / Daniele Franco è apparso parecchio stizzoso e parecchio confuso durante la conferenza stampa di ieri.

Mi riferisco alla reazione alla domanda finale (vedi qui video dal minuto 42 in poi) di una giornalista del Sole 24Ore (non di un giornale antigovernativo peraltro: del resto giornali antigovernativi in Italia ce ne sono ben pochi, e quei pochi chissà perché alle conferenze stampa del presidente del consiglio si vedono di rado, o forse mai…).

La domanda verteva sui possibili effettivi negativi del blocco alla circolazione dei crediti fiscali derivanti da ristrutturazioni immobiliari. Contestatissimo provvedimento introdotto con decreto legge circa una settimana fa.

Draghi prima ha cercato di minimizzare l’impatto dei crediti fiscali immobiliari sulla ripresa economica per poi ammettere che è rilevante, quindi ha parlato di carenze di controlli all’origine dovuta al fatto che la legge originaria sul Superbonus 110, di ispirazione M5S, è stata scritta male.

Ma Draghi su questo punto è smentito dai dati della stessa Agenzia delle Entrate, secondo i quali gli accertamenti per frodi, dell’importo totale di 4,4 miliardi di euro, sono imputabili solo per il 3% al Superbonus 110.


E gli operatori di settore in effetti confermano che le truffe da Superbonus 110 rappresentano una frazione minima del totale, appunto perché le asseverazioni richieste sono particolarmente articolate e dettagliate.

Tra parentesi, è bene ricordare che un accertamento NON è una sentenza. Si tratta dell’avvio di un contenzioso, intrapreso dal fisco contro un contribuente (o mancato tale), che spesso si risolve in favore di quest’ultimo. Quindi “4,4 miliardi di accertamenti” NON significa affatto, automaticamente, “4,4 miliardi di frodi”.

Ma c’è di più. Quand’anche il provvedimento Superbonus 110 fosse stato “scritto male”, Draghi e Franco, che sono al governo da un anno, avrebbero avuto tutto il tempo di correggerlo, con particolare riferimento all’eventuale carenza di controlli alla fonte. E in effetti sono intervenuti a fine 2021. Se l’intervento non è stato efficace, non possono più prendersela con gli autori della versione precedente.

Non finisce qui. Franco ha affermato, per giustificare le limitazioni alla circolazione, che le cessioni successive fanno perdere traccia dell’origine del credito. Il che suona strano perché la piattaforma di scambio è gestita dall’Agenzia delle Entrate stessa. Comunque la soluzione non è limitare le cessioni ma casomai rendere più rigorosi gli obblighi di segnalazione.

In pratica, per ogni passaggio è necessario avere certezza di chi ha comprato, di chi ha venduto, e di qual è l’origine del credito. Magari (questo alla fine lo ha ammesso lo stesso Franco) assegnando un codice identificativo al credito.

Le soluzioni operative per gestire al meglio lo strumento preservando la circolazione, in altri termini, ci sono.

Per capire quali danni produca l’azione del governo, cito un caso che mi riguarda. Sto avviando alcuni lavori (con un bonus 50%, non 110%, è un’altra fattispecie) su un piccolo condominio di cui ho una quota. L’impresa a cui sono stati affidati i lavori accettava lo sconto in fattura (che significa essere parzialmente pagati con la cessione del credito) e adesso si è invece tirata indietro perché faceva affidamento sulla rivendita a una banca, possibilità al momento bloccata.

Per fortuna i lavori non erano ancora stati avviati. Ma se l’impresa avesse già cominciato a lavorare e a sostenere costi, adesso sarebbe nei guai. E tante altre SONO nei guai, a causa di un provvedimento di blocco che agisce in modo sostanzialmente retroattivo, e pur essendosi comportate in modo totalmente corretto.

Draghi e Franco, in altri termini, nella conferenza stampa di ieri hanno cercato di far passare il seguente messaggio: “ci sono 4,4 miliardi di frodi accertate, dovute al Superbonus 110 che fa circolare i crediti fiscali”. Messaggio FALSO E FUORVIANTE in quanto (lasciando da parte il fatto che come detto “accertato” non significa “dimostrato”):

PRIMO, solo una minima parte dei 4,4 miliardi è imputabile al Superbonus 110; e

SECONDO, il problema, se esiste, non è dovuto alla libera circolazione dei crediti, ma casomai ai controlli all’origine e al tracciamento degli scambi.

Brutta figura per il governo. Mi spiace dirlo: molto, molto brutta.

mercoledì 9 febbraio 2022

La Moneta Fiscale SERVE - anche per le bollette

Dall'intervista su La Stampa di Massimo Giannini a Giorgia Meloni, mercoledì 9 febbraio 2022, pagine 4-5:

"D. Altro tema caldo per il governo, la necessità di calmierare il costo dell'energia: serve uno scostamento di bilancio ?

R. Dobbiamo fare tutto quello che possiamo, perché ci sono diverse aziende che rischiano di chiudere per questa emergenza. La nostra proposta è un credito di imposta per le imprese, pari all'aumento del costo dell'energia."

Se seguite questo blog... ebbene si tratta di un'idea di cui avete già sentito parlare diversi mesi fa.

Ed è la dimostrazione della potenza e della versatilità della Moneta Fiscale.

Altro che insabbiarla, come il governo sta cercando di fare nel caso del Superbonus (ma non ci riuscirà).

martedì 8 febbraio 2022

Il dubbio che Draghi cerchi la rottura

 

Un’ipotesi che circola da un po’ di tempo è che Draghi abbia capito che l’economia italiana è destinata a un’evoluzione tutt’altro che “simpatica” durante il 2022. Avrebbe voluto quindi “fuggire verso l’alto” facendosi eleggere Presidente della Repubblica. Ma non ha funzionato.

Di conseguenza, si sente sempre più scomodo nell’attuale posizione di presidente del consiglio, e di colpo, dopo la mancata “promozione” al Quirinale, sta assumendo atteggiamenti sempre più rigidi, per portare la sua coalizione di governo alla rottura.

Non è uno scenario che ritenevo plausibile, fino a pochi giorni fa. Tuttavia mi stanno facendo riflettere episodi come la brutale e insensata stretta alla circolazione dei crediti fiscali per il Superbonus 110%, nonché il rifiuto oltranzista (almeno a tutt’oggi, a quanto si legge) a mettere in atto un sostanzioso scostamento di bilancio pubblico, per tamponare gli effetti dell’esplosione dei prezzi di gas, benzina ed energia in genere.

Nello stesso tempo, non si vedono progressi riguardo alla proposta di revisione del Patto di Stabilità e Crescita UE. E inoltre: Draghi ignora che i benefici macroeconomici del PNRR sono infimi, e le condizionalità potenzialmente deleterie ? mi stupirebbe.

Ho sempre ritenuto Draghi sufficientemente scaltro da evitare la fine ingloriosa di Monti, che dopo un anno di governo è uscito dalla scena politica lasciandosi (purtroppo per noi) alle spalle un’economia devastata (da lui).

La soluzione ci sarebbe. Adottare la Moneta Fiscale, chiarendo ai partner UE che NON incide sul deficit e sul debito pubblico, e ridare al paese le leve di gestione della sua politica economica indispensabili per rimetterlo, finalmente, in carreggiata.

La difficoltà è sempre la stessa. La Moneta Fiscale funziona, e proprio perché funziona rende evidente che per risolvere la crisi non servono (anzi) né il PNRR né un’ulteriore maggiore intromissione della UE nella politica economica degli Stati.

La Moneta Fiscale funziona, e questo è il suo torto agli occhi dell’establishment europeista. Rende evidente che centralizzare non è la soluzione, bensì il problema.

Ma se Draghi non può o non vuole andare nella direzione giusta, la sua permanenza a Palazzo Chigi diventa un danno. Potenzialmente molto grave.

 

domenica 6 febbraio 2022

Superbonus: dov’è la competenza dei “competenti” ?

 

Come visto nell'ultimo post, e come del resto state leggendo sulle pagine economiche dei quotidiani, è in corso una “vivace” dialettica tra il MEF (da un lato) e il resto del mondo economico e politico italiano (dall’altro).

L’argomento è il Superbonus 110%, e più precisamente la pretesa del governo di bloccare – con un provvedimento varato senza alcun preavviso, e con effettività pressoché immediata – le ulteriori cessioni (quelle, cioè, successive alla prima) dei crediti fiscali concessi a seguito di operazioni di riqualificazione e di ristrutturazione immobiliare.

La pretesa è di contrastare “le frodi”. Ma le frodi si verificano per una carenza di controllo al momento in cui il credito fiscale insorge.

Le cessioni successive, si legge, creano ulteriori problemi perché si rischia di perdere traccia del soggetto che ha illecitamente tratto vantaggio dal provvedimento. Si teme, in altri termini, che la catena di passaggi renda alla fine impossibile risalire a chi ha effettuato l’illecito.

Ma se questo è il problema, la soluzione è semplicissima: imporre un obbligo di segnalazione ai vari cedenti e cessionari, analogo a quello già previsto per gli intermediari finanziari, bancari, assicurativi ecc. (per quelli, in altri termini, soggetti a vigilanza).

L’atteggiamento del MEF, che sta continuando a fare resistenza riguardo alla necessarissima modifica del recente decreto, è stolido e stupidamente vessatorio, e la motivazione fornita appare pretestuosa a livelli quasi (o forse neanche quasi) provocatori.

Il MEF su questo tema ha tutti, ma veramente tutti, contro. Operatori. Intermediari. Associazioni di categoria. Privati individui che hanno avviato opere di ristrutturazione. Forze politiche di maggioranza. Forze politiche di opposizione.

Ci si era convinti che il “governo dei competenti” fosse FORSE, come purtroppo è avvenuto tante volte in passato, orientato a NON fare gli interessi del paese, ma quantomeno INDUBBIAMENTE dotato di elevate qualità tecniche.

Sta invece sorgendo il dubbio, pure in parecchi fan della prima ora, che manchino non solo le buone intenzioni, ma anche, appunto, le competenze, le capacità, le qualità.

 

mercoledì 2 febbraio 2022

Superbonus 110%: l’ostruzionismo del MEF

 

Stanno facendo molto discutere le limitazioni alla circolazione dei crediti fiscali che il governo ha introdotto con il recentissimo Decreto Legge “Sostegni Ter”. Volevo scrivere un post per chiarire la situazione ma David Berera mi ha risparmiato lo sforzo con questa eccellente sintesi, che riporto parola per parola.

“Uno degli elementi caratterizzanti della disciplina del superbonus, che più di ogni altro ne aveva sancito il successo, è stata proprio la possibilità, innovativa rispetto alla disciplina previgente, di consentire ai cessionari di effettuare ulteriori cessioni del credito acquistato, andando quindi al di là delle limitazioni rappresentate dalla capacità di assorbire autonomamente i crediti acquisiti utilizzandoli in compensazione con le imposte dovute.

In modo tranciante, senza la previsione di un periodo transitorio adeguato e quindi con un sostanziale effetto retroattivo, si entra a gamba tesa su un mercato del valore stimato in 15 miliardi con relative cartolarizzazioni, mettendo in questo modo a rischio non soltanto la misura del superbonus in quanto tale, con le inevitabili ricadute a livello di crescita economica, ma la sopravvivenza di molte imprese edili, che si troveranno a fronteggiare una grave crisi di liquidità in relazione ad impegni già assunti.

E questo in una situazione già compromessa dal decreto antifrode dello scorso 12 novembre, che ha determinato un rallentamento, per non dire una vera e propria paralisi, nell’attività di liquidazione dei crediti fiscali che sta mettendo a dura prova l’intero sistema.

Se il problema principale è rappresentato dal fatto che sul mercato secondario sono attivi molti soggetti non bancari, in quanto tali non tenuti a fare le segnalazioni ai fini antiriciclaggio, e quindi non soggetti al divieto di acquisto in caso di operazione sospetta introdotto dal decreto antifrode, sarebbe stato più sensato non precludere indistintamente l’effettuazione di cessioni multiple, ma limitarla ai soggetti diversi dagli intermediari bancari.

Questa ipotesi non sarebbe comunque risolutiva, in considerazione del fatto che sul mercato un ruolo primario lo svolgono anche soggetti diversi dagli istituti di credito, che dovrebbero però essere comunque al di sopra di ogni sospetto, con in prima fila la multiutilities e, cosa che rende la situazione ancora più beffarda, diverse grandi aziende a partecipazione pubblica.

A questo punto non sarebbe più sensato, anziché prevedere una misura che avrà inevitabilmente un impatto devastante sull’economia, imporre a chi intende operare su questo mercato l’obbligo di effettuare le segnalazioni previste dalla normativa antiriciclaggio ?

Da più parti si invoca l’intervento del parlamento per una correzione della misura introdotta con il decreto sostegni-ter, intervento che molto probabilmente ci sarà, ma questo continuo stop and go sta mettendo a dura prova i nervi di contribuenti e operatori del settore”.