martedì 26 luglio 2016

Sardex


Sardex è l’esempio di maggior successo, in Italia, di un “circuito di compensazione multilaterale” che funziona, all’atto pratico, come una moneta parallela. Nata in Sardegna, ha “figliato” una serie di società collegate che operano nelle rispettive zone di esclusiva territoriale (Piemex in Piemonte, Linx in Lombardia, Tibex nel Lazio e altre ancora).



Sono in corso di definizione progetti, e in alcuni casi anche sperimentazioni, per sviluppare l’adozione di queste “monete” parallele regionali anche da parte di enti pubblici territoriali, quali il Comune di Roma o la Regione Lombardia.



Il Sardex è differente dai CCF in quanto non è utilizzabile per ridurre pagamenti di tasse o comunque impegni finanziari nei confronti della pubblica amministrazione (anche se non è da escludere che forme di “utilizzabilità fiscale” possano svilupparsi in futuro).



Su sollecitazione di Stefano Sylos Labini, qui di seguito trovate alcune indicazioni molto sintetiche in merito ai meccanismi di funzionamento del Sardex, quantomeno nei limiti in cui li ho capiti io. Se qualche esponente del sistema Sardex mi legge, potrà correggere e/o integrare.



D1. Come vengono assegnati i Sardex ? vale a dire, quando un’azienda aderisce al circuito ottiene crediti Sardex ?

R1. Sì, l’azienda che aderisce al circuito ottiene un affidamento, quindi un ammontare di crediti, che consente di pagare beni e servizi in Sardex (beni e servizi messi in vendita da altre aziende aderenti al circuito). Condizione perché l’affidamento resti in essere è essere adempienti all’impegno di accettare Sardex in contropartita delle PROPRIE cessioni di beni e servizi, nonché la capacità, tendenzialmente, di bilanciare nel tempo acquisti e cessioni.



D2. Il credito Sardex non è convertibile in euro, quindi che cosa gli dà valore ? Che cosa ci si può comprare ?

R2. Come detto sopra, si possono acquistare beni e servizi offerti dagli altri aderenti al circuito, che si impegnano ad accettare indifferentemente euro o Sardex, in rapporto 1:1.



D3. Dato che possono essere usati Sardex per acquistare beni o servizi senza utilizzare euro, questi ultimi si “liberano” e possono essere destinati ad altri impieghi, giusto ?

R3. Sì, anzi in effetti possono essere effettuati acquisti di beni o servizi senza possedere, o comunque senza utilizzare, neanche un euro, purché si abbia la possibilità di offrire PROPRI beni / servizi agli altri aderenti al circuito – che sono impegnati ad accettarli. Ad esempio: un ristoratore deve rinnovare gli arredi del suo locale. Entra nel circuito e viene affidato per 1.000 Sardex. Con quelli, paga il fornitore degli arredi. Il fornitore può utilizzare i Sardex per pranzare o cenare nel locale a cui ha fornito gli arredi: o, molto più probabilmente, spenderà i Sardex con altri aderenti al circuito. Alla fine, qualcuno utilizzerà i 1.000 Sardex presso il locale che ha avviato la catena di transazioni. Tutta questa catena si sviluppa senza muovere euro, alla sola condizione di avere un gruppo di soggetti che hanno capacità di produrre beni o servizi di reciproca utilità.

lunedì 25 luglio 2016

Banche e credito, tamponare non basta


Enrico Grazzini torna sull’argomento qui, commentando una proposta di Romano Prodi. Il suggerimento di Prodi, per evitare che le banche siano forzate a cedere sul mercato crediti immobiliari deteriorati, è di convertire il mutuo nella proprietà dell’immobile stesso. Contemporaneamente, all’utilizzatore (ed ex proprietario) dell’immobile (specialmente se è una famiglia) viene offerta la possibilità di restarci, stipulando un contratto d’affitto con un canone d'importo molto modesto.



La proposta in sé è sensata e, come nota Grazzini, può essere resa più ampia e articolata utilizzando lo strumento della Moneta Fiscale. Emettendola – direttamente da parte dello Stato o tramite un’agenzia pubblica, per esempio la Cassa Depositi e Prestiti – il settore pubblico acquisisce risorse utilizzabili non solo per intervenire sui crediti bancari deteriorati, ma anche per ricapitalizzare le banche stesse. E l’intervento potrebbe non limitarsi al settore immobiliare, ma riguardare anche i finanziamenti alle aziende.



Va sempre tenuto presente, tuttavia, un fattore della massima importanza. Tutti questi interventi sono estremamente utili e con ogni probabilità in qualche forma, indispensabili: ma si traducono in semplici cerotti, con effetti di tamponamento temporaneo, di efficacia stimabile in pochi trimestri, se non si accompagnano a una forte azione espansiva di domanda, PIL, occupazione e competitività.



La Moneta Fiscale, e in particolare i Certificati di Credito Fiscale, sono lo strumento che permette di attuare questa azione senza rompere l’architettura dell’Eurozona, e rispettando il principio di non aumentare l’indebitamento pubblico (in quanto i CCF e la Moneta Fiscale sono diritti patrimoniali a sgravi fiscali futuri, non indebitamento).



Se lo Stato, direttamente o tramite la CDP o altri soggetti, interviene sugli attivi deteriorati o anche nel capitale delle banche, si ritrova con dei valori patrimoniali che possono successivamente essere rivenduti senza perdite o addirittura con un utile: ma SOLO a condizione che l’economia riparta e si avvii un ciclo espansivo tale da riparare i danni prodotti dalla depressione in cui il nostro sistema produttivo si trova ormai da otto anni.



Strategie simili sono state utilizzate negli USA dopo la “Crisi Lehman”, ma anche dalla Svezia nei primi anni Novanta, e hanno funzionato: occorre tuttavia avere ben presente che l’azione di tamponamento dei problemi del credito sarebbe stato sostanzialmente inutile se non accompagnata dal recupero dell’economia.



Il “tamponamento” in qualche forma deve essere effettuato e con ogni probabilità lo sarà, ma è un cerotto, non una soluzione. La soluzione è uscire dalla depressione e dalla trappola della liquidità nei tempi più rapidi possibili: senza una forte azione espansiva sulla domanda questo, semplicemente, non avverrà.

venerdì 22 luglio 2016

Benefici della Moneta Fiscale

La Moneta Fiscale appare essere la soluzione di gran lunga più facilmente praticabile per uscire dalla trappola della liquidità e dall’attuale crisi deflattiva, rilanciando domanda, consumi, investimenti pubblici e privati, senza aumentare il debito e salvaguardando i saldi commerciali esteri.

Rispetto ad altre forme di manovra espansiva, le caratteristiche della Moneta Fiscale, che costituiscono altrettanti vantaggi specifici dello strumento, possono essere riassunte come segue.

UNO, la Moneta Fiscale è un titolo di stato denominato in euro, negoziabile e convertibile in euro (cedendolo sul mercato finanziario). Non è una moneta parallela perché rispetta pienamente il monopolio BCE relativo all’emissione della moneta legale dell’Eurozona (l’euro).

DUE, è “moneta” (intesa come potere d’acquisto) emessa e distribuita dallo Stato, non dal sistema bancario.

TRE, è quindi “moneta-credito” immessa direttamente nell’economia reale (famiglie, aziende, investimenti pubblici) e non una “moneta-debito” che le banche possono emettere ma solo a fronte di un’espansione delle loro passività (quindi del loro indebitamento e dei rischi complessivi che gravano sul sistema finanziario).

QUATTRO, è un titolo fiscale, di cui il governo e il parlamento possono decidere l’emissione senza richiedere preventive autorizzazioni internazionali. La sovranità fiscale degli Stati è infatti piena e indiscussa.

CINQUE, la Moneta Fiscale innesca il moltiplicatore del reddito, particolarmente elevato in contesti di economia depressa, e si ripaga quindi da sola. Equivale a una riduzione differita delle imposte che non genera deficit fiscali.

SEI, non “rompe” l’Eurozona, ed è in totale accordo con trattati e regolamenti contabili dell’Eurozona (Eurostat).

SETTE, se adottata da una pluralità di paesi, è in grado di riformare interamente l’Eurozona, ridando flessibilità a un sistema intrinsecamente rigido e altamente inefficiente, essendo adottato da 19 paesi con caratteristiche ed esigenze altamente differenziate.

OTTO, nell’eventualità di un’improvvisa rottura dell’euro, la Moneta Fiscale facilita grandemente la transizione alla moneta nazionale.


martedì 19 luglio 2016

Risolvere la crisi con i Certificati di Credito Fiscale


Il PIL reale italiano è attualmente inferiore del 9% circa ai livelli del 2007.



Le manovre 2011-2 hanno affondato domanda, PIL e occupazione, con gravi impatti su un’economia che aveva solo in parte recuperato gli effetti della “Crisi Lehman”.



In assenza di forti azioni espansive sulla domanda, ben che vada si continuerà con gli attuali ritmi di “ripresa” dello zero virgola, senza effettivi recuperi di occupazione.



Gli investimenti rimarranno bassissimi, il tessuto produttivo continuerà a deteriorarsi, non ci saranno apprezzabili recuperi di produttività e competitività, continuerà a crescere il disagio sociale. E questo scenario sconfortante può proseguire per decenni.



I Certificati di Credito Fiscale (CCF) sono titoli che danno diritto al possessore di ridurre pagamenti altrimenti dovuti alla pubblica amministrazione per tasse, imposte, contributi sociali o pensionistici ecc.



Lo Stato italiano può emettere CCF per effettuare azioni di espansione e supporto della propria economia:



integrazione di redditi da lavoro

riduzione del cuneo fiscale a vantaggio delle aziende

interventi di spesa sociale

finanziamento o co-finanziamento di investimenti pubblici



I CCF possono essere emessi e assegnati gratuitamente a lavoratori, famiglie, aziende, e dare diritto a sconti fiscali a partire da una data futura prestabilita. Esempio: a gennaio 2017 si cominciano a erogare CCF, utilizzabili a partire da gennaio 2019 (due anni dopo).



I CCF peraltro, rappresentando un diritto certo a un beneficio fiscale futuro, hanno valore già al momento dell’assegnazione. Il valore sarà presumibilmente pari all’importo dello sconto fiscale a termine, al netto di un modesto tasso di attualizzazione. Il possessore potrà vendere CCF sul mercato contro euro. E’ inoltre plausibile che i CCF vengano accettati come corrispettivo per compravendite di beni e servizi.



Chi riceve CCF, in altri termini, ottiene subito un significativo arricchimento patrimoniale e incrementa la sua capacità di spesa.



I CCF non sono debiti statali. Il regolamento Eurostat 2010 e successive integrazioni li configurano chiaramente come un credito tributario “non pagabile” (cioè non soggetto a essere rimborsato cash). All’emissione non si ha alcun peggioramento dei vincoli di bilancio previsti da trattati e normative UE.



Al momento in cui i CCF cominciano a essere utilizzabili, danno luogo a una perdita di gettito fiscale che sarà, tuttavia, ampiamente compensata dagli effetti della ripresa economica.



Le emissioni di CCF possono essere gradualmente incrementate nel tempo. La ripresa dell’economia si avvia subito e gli effetti della crisi su PIL e occupazione possono essere pienamente recuperati in 3-5 anni. Il tutto garantendo la graduale riduzione del rapporto debito pubblico / PIL e il rispetto dei vincoli UE.

lunedì 18 luglio 2016

Moneta fiscale per risolvere la crisi bancaria

Un articolo di Enrico Grazzini, su LaVoce.info, elabora una proposta di emissione di obbligazioni con valenza fiscale da parte della Cassa Depositi e Prestiti. La finalità è dotare quest'ultima delle risorse finanziarie necessarie a contribuire alla ricapitalizzazione del sistema bancario.

La CDP potrebbe utilizzare queste risorse per intervenire direttamente sul capitale delle banche e/o per acquistare Non-Performing Loans; o, forse più probabilmente, per aumentare la dotazione di risorse disponibili al fondo Atlante o ad altri veicoli d'intervento che potrebbero essere avviati nel prossimo futuro.

Si tratta di un'applicazione del progetto Moneta Fiscale ed avrebbe anche la valenza di introdurre questo strumento, che nel formato Certificati di Credito Fiscale è in grado di attuare l'azione espansiva di domanda e PIL indispensabile per risolvere la crisi economica - e, tra le altre cose, per evitare che dopo aver tamponato oggi il problema bancario, quest'ultimo si riproponga tra pochi mesi o trimestri.


venerdì 15 luglio 2016

Una riflessione su David Cameron

L’ormai ex primo ministro del Regno Unito ha lasciato Downing Street, passando le consegne a Theresa May. Nelle ultime settimane, dopo il fatale referendum del 24 giugno per intenderci, è stato fatto oggetto di parecchie accuse di insipienza politica, per non dire di stupidità tout court.

Le accuse provengono principalmente da chi sperava nel successo del Remain. Chi l’ha fatto fare a Cameron di lanciare un referendum ? chi lo obbligava ? non voleva lasciare la UE, perché si è preso questo rischio – che implicava anche la possibile fine della sua carriera politica ?

La spiegazione in effetti mi pare molto semplice, forse troppo per riuscire credibile ai tanti dietrologi in servizio permanente effettivo. Ma a me suona totalmente plausibile.

Alle elezioni politiche del 2015, Cameron si è presentato come leader di un partito conservatore inglese a forte rischio di frantumazione. L’antieuropeista UKIP di Nigel Farage aveva ottenuto il 25% dei suffragi alle elezioni per il parlamento europeo dell’anno precedente – non tutti, ma in gran parte voti sottratti ai conservatori.

Cameron ha scelto una piattaforma di programma finalizzata a ricompattare il suo partito. Si è dichiarato favorevole a rimanere nella UE, ma si è impegnato nello stesso tempo a rinegoziare condizioni meno restrittive per la permanenza del Regno Unito; e a sottoporre la decisione finale all’elettorato del suo paese.

Non si avrà mai la controprova del fatto che questo impegno sia stato decisivo per vincere le elezioni politiche. La finalità comunque era chiara: riportare nell’alveo conservatore molti voti euroscettici.

Alle politiche del 2015, lo UKIP è sceso all’8% - complice anche, sicuramente, il fatto che il sistema maggioritario uninominale lo penalizza rispetto al proporzionale, con il quale si era votato alle europee. Comunque i conservatori hanno recuperato parecchi di quei voti, hanno vinto le elezioni, e Cameron ha iniziato il suo secondo mandato come capo del governo.

A questo punto ha mantenuto fede al suo impegno, ha tenuto il referendum e l’ha perso.

E’ stato un errore l’impegno assunto nella campagna elettorale 2015 ? nessuno potrà mai affermarlo, o negarlo, con certezza. Non è possibile stabilire se, in assenza dell’impegno al referendum, i conservatori avrebbero vinto quella consultazione.

Ma qualunque cosa si pensi di Cameron, trovo che sia da valutare positivamente – anche perché non esattamente scontata per un politico – la sua coerenza.


mercoledì 13 luglio 2016

Moneta fiscale e CCF per risolvere l’Eurocrisi



Senza un’azione espansiva sulla domanda, la crisi non si risolverà ancora per molti anni

Il PIL reale italiano è attualmente inferiore del 9% circa ai livelli del 2007.

L’Eurosistema ha imposto, nel 2011-2012, pesanti manovre procicliche che hanno affondato domanda, PIL e occupazione, con gravi ripercussioni su un tessuto economico che aveva solo parzialmente recuperato gli effetti della “Crisi Lehman”.

La ripresa dell’economia è impossibile in assenza di una forte azione espansiva sulla domanda.

In sua assenza, nella migliore delle ipotesi si continuerà con ritmi di “ripresa” dello zero virgola o dell’uno virgola, senza alcun effettivo recupero di occupazione.

Gli investimenti rimarranno bassissimi, il tessuto produttivo continuerà a deteriorarsi, non si otterrà alcun significativo recupero di produttività e di competitività.

Questo scenario sconfortante, in assenza di interventi, può proseguire inalterato per decenni.



Titoli di natura fiscale per promuovere la ripresa

I titoli di natura fiscale, o “moneta fiscale”, sono strumenti finanziari che danno diritto al possessore di ridurre pagamenti altrimenti dovuti alla pubblica amministrazione, per tasse, imposte, contributi sociali o pensionistici, ecc.

Lo Stato italiano può emettere “moneta fiscale” per effettuare azioni di espansione e supporto della propria economia:

integrazione di redditi da lavoro
miglioramento del cuneo fiscale a vantaggio delle aziende
interventi di spesa sociale
finanziamento o co-finanziamento di investimenti pubblici
supporto al settore bancario, eccetera.



Titoli di natura fiscale: possibili caratteristiche

La “moneta fiscale” può essere emessa in varie forme e strutture tecniche. Ad esempio:

Certificati di Credito Fiscale (CCF): titoli che vengono emessi e assegnati gratuitamente a lavoratori, famiglie, aziende, ecc., e che danno diritto a beneficiare di sconti fiscali a partire da una data futura prestabilita. Per esempio, a gennaio 2017 si cominciano a emettere CCF che saranno utilizzabili a partire da gennaio 2019 (due anni dopo).

I CCF peraltro, rappresentando un diritto certo a un beneficio fiscale futuro, hanno valore fin dal momento dell’assegnazione. Il valore sarà presumibilmente pari al valore dello sconto fiscale a termine, al netto di un modesto tasso di attualizzazione. Il possessore potrà vendere CCF sul mercato contro euro. E’ inoltre plausibile che i CCF verranno accettati come corrispettivo per operazioni di compravendita di beni e servizi.

Obbligazioni CDP a valenza fiscale: un’agenzia pubblica, per esempio la Cassa Depositi e Prestiti, emette titoli obbligazionari che, a partire da una data futura prestabilita, possono essere usati dal possessore per ottenere sconti fiscali. Se quest’ultima opzione viene esercitata, lo Stato diventa creditore dell’emittente (CDP) in luogo del possessore originario del titolo.

Le obbligazioni CDP possono essere collocate sul mercato per raccogliere euro, o anche utilizzate direttamente per finanziare investimenti pubblici, supportare il rafforzamento del sistema bancario (es. via Fondo Atlante: vedi nel seguito) ecc.



Titoli di natura fiscale: non sono debito ai sensi delle normative UE

La “moneta fiscale” non è debito. Lo Stato non si impegna a rimborsare in euro la “moneta fiscale” emessa, ma solo ad accettarla a riduzione di impegni finanziari futuri nei suoi confronti.

Il regolamento Eurostat 2010 e le successive integrazioni configurano senza ambiguità la “moneta fiscale” come un credito tributario “non pagabile” (in quanto non soggetto a essere rimborsato in cash).

Questo strumento, ancorché se ne debbano valutare gli effetti nei documenti di programmazione in termini di eventuali “minori entrate”, non può in alcun modo essere qualificato come “spesa” né come “debito” nella contabilità pubblica e nei documenti consuntivi di finanza pubblica. All’atto dell’emissione, di per sé, non si crea alcun peggioramento degli equilibri di bilancio imposti dai Trattati e dalla normativa europea.

Peraltro, il regolamento Eurostat prevede che l’effetto di “minori entrate” ai fini della programmazione finanziaria è esso stesso “eventuale”: conta l’effetto netto dato dall’utilizzo previsto dello strumento da parte dei titolari - al netto appunto del maggior introito tributario dovuto all’effetto espansivo sull’economia indotto dall’introduzione dello strumento medesimo.

L’effetto netto addirittura potrebbe essere di “maggiori entrate” qualora il secondo elemento della differenza dovesse superare il primo.



Titoli di natura fiscale: clausole di salvaguardia per garantire che non si avrà mai incremento di debito

Le emissioni di CCF potranno essere suddivise in modo da far leva su vari fattori di espansione della domanda interna e di miglioramento di competitività del sistema produttivo italiano.

Su una dimensione totale a regime, per esempio, di 120 miliardi annui (vedi seguito) si può ipotizzare una ripartizione del tipo seguente:

IR = Integrazione di redditi da lavoro, 40 miliardi annui.
CF = Assegnazioni alle aziende a riduzione del cuneo fiscale, 40 miliardi annui.
SS = Interventi di spesa sociale, 20 miliardi annui.
IO = Investimenti e opere di pubblica utilità, 20 miliardi annui.

La parte destinata alle aziende, a titolo di riduzione del cuneo fiscale (CF), si traduce in una riduzione dei costi di lavoro dipendente pari al 9% circa, tenuto conto che tali costi equivalgono oggi all’incirca a 450 miliardi annui.

Questa riduzione corrisponde a un beneficio della stessa percentuale per il CLUP medio delle aziende italiane, e quindi a un incremento di competitività. Si ottiene il risultato di incentivare le esportazioni e anche di far recuperare quote di mercato interno ai produttori domestici.

Le assegnazioni di CCF, in ogni singolo anno, daranno luogo, ceteris paribus, a riduzioni di gettito fiscale a due anni di distanza. Ipotesi cautelative sull’espansione di PIL reale e nominale conseguenti alla maggiore circolazione di potere d’acquisto e al recupero di competitività delle aziende, consentiti dal progetto CCF (vedi seguito) portano a stimare che la crescita di gettito prodotta dalla ripresa sarà superiore al calo dovuto all’utilizzo dei CCF.

E’ comunque possibile introdurre un sistema di clausole di salvaguardia che preveda azioni compensative da attuare solo se, e nella misura in cui, l’effetto espansivo dei CCF su PIL e gettito sarà inferiore alle attese.

A titolo di esempio, le clausole di salvaguardia potrebbero agire su:

IVA = aliquote IVA, fino a un massimo di 56 miliardi annui.
IMU = imposte sugli immobili, fino a un massimo di 32 miliardi annui.
RS = revisioni di spesa, fino a un massimo di 32 miliardi annui.

E la ripartizione temporale degli interventi potrebbe essere la seguente

TI = totale interventi espansivi mediante assegnazioni di CCF
TU = totale utilizzi CCF effettuati dagli assegnatari
CDS = massima attivazione possibile delle clausole di salvaguardia


                    2017  2018  2019  2020  2021  2022 e successivi

IR                10      20      30      40      40      40
CF               10      20      30      40      40      40
SS               5        10      15      20      20      20
IO                5        10      15      20      20      20

TI                30      60      90      120    120    120
TU                                  30      60      90      120

IVA                                14      28      42      56
IMU                                8        16      24      32
RS                                   8        16      24      32

CDS                                30      60      90      120

L’eguaglianza TU = CDS in ogni singolo anno garantisce la totale compatibilità del progetto CCF con i vincoli di bilancio previsti da normative, trattati e regolamentazioni UE.



Ancora sulle clausole di salvaguardia

A livello normativo, il provvedimento di legge che definirà, anno dopo anno, le assegnazioni di CCF, potrà come visto contemplare anche una serie di interventi (in termini di minori spese o di maggiori entrate fiscali), operativi nel medesimo anno in cui i CCF diventano utilizzabili per conseguire sconti fiscali.

Questi interventi verranno attuati solo nel caso (e nella misura) in cui l’effetto espansivo sul PIL non produca, nei due anni intercorrenti tra le assegnazioni e gli utilizzi dei CCF, maggior gettito fiscale in misura pari agli utilizzi medesimi (e fatte comunque salve le possibili azioni descritte sub UNO, DUE e TRE nel seguito).

I CCF assegnati assumono la veste di un titolo liberamente negoziabile e trasferibile, e costituiscono un accrescimento immediato di potere d’acquisto e disponibilità patrimoniali per chi li riceve (e anche, come visto, un miglioramento di competitività per le aziende a cui sono assegnati a riduzione del cuneo fiscale).

Si noti che questo impianto normativo smina qualsiasi obiezione in merito alla possibilità che l’assegnazione di CCF produca maggiore indebitamento. A partire dal 2017 viene attuata, contemporaneamente, un’azione di riduzione della fiscalità (l’assegnazione dei CCF) e un’azione di uguale importo e di segno opposto sui conti pubblici (le clausole di salvaguardia). Entrambe le azioni hanno la stessa decorrenza temporale (il 2019) riguardo al loro effetto diretto sulle finanze dello Stato. E’ quindi totalmente garantita la copertura del progetto CCF.

Inoltre, nell’eventualità in cui l’espansione di PIL risulti, contrariamente alle previsioni, insufficiente a compensare (due anni dopo le assegnazioni) l’utilizzo dei CCF, saranno possibili una serie di azioni alternative (utilizzabili anche in combinazione) per evitare che le clausole di salvaguardia producano effetti recessivi:

UNO, estensione su base volontaria delle scadenze di utilizzo dei CCF, offrendo al possessore un incremento del valore facciale dello sconto d’imposta se utilizzato dopo la scadenza originaria (in pratica, un tasso d’interesse).
DUE, collocamento di CCF di lunga scadenza per rimborsare debito in euro.
TRE, in casi estremi (molto improbabili): mantenere in essere i tagli di spesa o gli incrementi di imposte originariamente pianificati, compensandoli però con erogazioni addizionali di CCF.



Emissioni di CCF e loro impatti economici

In termini reali, il PIL italiano 2015 è stato inferiore di circa 150 miliardi di euro rispetto ai livelli raggiunti subito prima dell’inizio della crisi (2007).

Il progetto CCF può essere attuato in dimensioni adeguate a far recuperare questo “vuoto” di PIL.

Si può partire per esempio nel 2017 con 30 miliardi di assegnazioni annue, e incrementarle gradualmente fino a 120 nel giro di quattro anni.

Con un moltiplicatore fiscale (*) di 1,25, un’azione espansiva della domanda di 120 miliardi genera, appunto, maggior PIL per 150 (= 120 x 1,25). Rispetto all’attuale livello di 1.700 miliardi circa, questo equivale a un recupero del 9% circa, quindi 2% abbondante all’anno.

(*) Il moltiplicatore fiscale misura l’incremento del PIL reale prodotto da un'azione di politica economica espansiva (maggiore spesa pubblica, minori tasse o azioni di qualunque natura che incrementino il potere d’acquisto in circolazione). Nei dati riportati in questa nota, si suppone che l’incremento annuo delle assegnazioni di CCF produca un’espansione del PIL reale pari a 1,25 l’importo dell’incremento stesso, ipotesi basata sulle stime prevalenti riferite a economie che recuperano da un contesto di domanda depressa. Si veda tra gli altri “Growth Forecast Errors and Fiscal Multipliers, Olivier Blanchard / Daniel Leigh, IMF Working Paper, 2013: https://www.imf.org/external/pubs/ft/wp/2013/wp1301.pdf. L’intervallo ivi stimato è 0,90 – 1,70. Si è qui utilizzato il valore medio (1,30) ridotto a 1,25 per tenere conto di un effetto di attualizzazione del valore dei CCF assegnati, dovuto al differimento di due anni della loro utilizzabilità.

Poiché i CCF sono utilizzabili come sgravi fiscali due anni dopo la loro emissione, come già visto gli utilizzi resteranno inferiori alle assegnazioni in tutti gli anni precedenti il 2022:

Anno                     2017  2018  2019  2020  2021  2022 e oltre
Assegnazioni         30      60      90      120    120    120
Utilizzi                  0        0        30      60      90      120

Nell’anno in cui la situazione va a regime (2022) oltre al beneficio di 150 miliardi (sul PIL reale) sopra citato, è ragionevole mettere in conto che si sia prodotta maggiore inflazione, grazie al generale contesto di ripresa economica e di riassorbimento dell’output gap.

Ipotizzando un 1% in più di maggiore inflazione, in sei anni si ottiene un ulteriore incremento di PIL nominale pari a oltre 100 miliardi (1.700 x 6% = 102).

Complessivamente, il PIL nominale a regime è quindi circa 250 miliardi più elevato per effetto del progetto CCF. Poiché l’incidenza delle entrate pubbliche complessive è oggi poco inferiore al 50%, 250 miliardi di PIL nominale in più producono, appunto, all’incirca 120 miliardi di maggior gettito, compensando l’utilizzo dei CCF che annualmente arrivano a scadenza (dal 2022 in poi).

Negli anni precedenti al 2022, grazie allo sfasamento temporale tra assegnazioni e utilizzi si creano addirittura eccedenze (maggior gettito lordo superiore agli utilizzi di CCF), utilizzabili per accelerare il processo di riduzione del rapporto debito pubblico / PIL. In sintesi:

ANNO

2017
2018
2019
2020
2021
2022
Maggior PIL reale
38
75
113
150
150
150
Maggiore inflazione cumulata
1,0%
2,0%
3,0%
4,0%
5,0%
6,0%
Effetto delta inflazione su PIL
17
34
51
68
85
102
Maggior PIL nominale
55
109
164
218
235
252
Pressione fiscale lorda
47,5%
47,5%
47,5%
47,5%
47,5%
47,5%
Maggior gettito lordo
26
52
78
104
112
120
Utilizzo CCF



-30
-60
-90
-120
Maggior gettito netto
26
52
48
44
22
0



Possibili azioni di rafforzamento del settore bancario

La “moneta fiscale” può costituire uno strumento d’intervento per superare gli attuali problemi di sottocapitalizzazione di alcuni istituti di credito italiani, anche alla luce dell’elevato livello di crediti deteriorati che si sono formati, in buona parte, per le condizioni depresse che l’economia italiana attraversa ormai dal 2008.

Una modalità possibile è quella precedentemente descritta delle “obbligazioni CDP”: la Cassa Depositi e Prestiti emette titoli obbligazionari che, a partire da una data futura prestabilita, possono essere usati dal possessore per ottenere sconti fiscali. In caso di esercizio di quest’ultima opzione, lo Stato diventa creditore dell’emittente (CDP) sostituendosi al possessore originario del titolo.

Le obbligazioni CDP possono essere collocate sul mercato per raccogliere euro e supportare il rafforzamento del sistema bancario, per esempio utilizzando la raccolta per incrementare le disponibilità del Fondo Atlante.

Alternativamente, se un’operazione di collocamento risultasse problematica da effettuare nei tempi ristretti imposto dalla situazione, lo Stato potrebbe emettere “moneta fiscale” e conferirla a CDP in cambio di un credito nei suoi confronti.

CDP a sua volta conferirebbe la “moneta fiscale” al Fondo Atlante, che potrebbe utilizzarla per interventi di varia natura (ricapitalizzazioni, acquisti di non-performing loans, ecc.).