sabato 26 ottobre 2019

Non contate su un nuovo 2008 per risolvere l’eurocrisi


Parecchi studiosi, ricercatori, commentatori eurocritici esprimono spesso l’opinione che l’euro sia destinato a deflagrare da solo, e in tempi non lunghi, a causa del sopravvenire una pesantissima crisi finanziaria internazionale. Un nuovo 2008, in altri termini.

Non so se definirla una speranza o semplicemente una previsione. Ma ritengo opportuno spiegare perché non sia un evento ad alta probabilità, sicuramente non in un arco di tempo ragionevolmente breve.

La crisi finanziaria del 2008 e la successiva depressione indotta dallo scoppio di una bolla finanziaria speculativa, estesa a livello mondiale, hanno come precedente il crollo del 1929. In mezzo, c’è una arco temporale di settantanove anni.

In termini di caduta dei valori azionari di borsa (calo di oltre il 50% in termini reali), esiste un precedente meno remoto, il 1973-1974. Ma l’origine del fenomeno era diversa – la crisi petrolifera innescata dalla guerra del Kippur – e comunque non ne seguì una depressione economica mondiale. Si avviò una forte ma relativamente breve recessione, e parecchi anni di inflazione a due cifre. Ma cause e dinamica della crisi furono nettamente diverse.

In ogni caso, tra il 1973 e il 2008 sono passati trentacinque anni.

Crolli di mercato tali da produrre conseguenze estese e pesanti sull’economia produttiva, non in un singolo paese bensì a livello internazionale, sono fenomeni ricorrenti, ma a distanza di generazioni, non di anni.

E la frequenza “generazionale” si spiega, appunto, proprio perché certi eccessi speculativi arrivano a livelli incontrollabili quando la generazione precedente di policymakers, investitori, operatori di mercato finanziario non è più in circolazione. Per raggiunti limiti di età, semplicemente.

E’ la generazione successiva che arriva a un certo punto a creare nuovi, grossi guai perché “stavolta è differente”, “abbiamo capito gli errori del passato”, “ci sono strumenti di controllo e analisi del rischio che prima mancavano”. Non è vero niente, si ricade negli stessi errori. Ma ci ricade chi non ha sperimentato sulla propria pelle le conseguenze dei precedenti.

Ci sarà prima o poi un nuovo 2008 ? senz’altro. Entro un anno o qualche anno ? niente è impossibile, ma è un evento altamente improbabile.

Un altro 2008 me lo aspetto con discreta probabilità intorno al 2040, più facilmente nel 2080 o giù di lì. In questo secondo caso, temo proprio di non essere da queste parti per vederlo accadere.

Ma se invece un nuovo 2008 si verificasse da qui a pochi mesi, o a pochi trimestri ? Beh, anche in questo caso che ne consegua la rottura dell’euro non è per niente garantito. Anzi.

L’euro non si rompe per fenomeni endogeni, se c’è la volontà – e c’è, come si è visto nel 2012 – di mettere un coperchio sopra la pentola che sta andando in ebollizione. A questo si riduce il whatever it takes di Draghi, che ha impedito la deflagrazione, senza però rimuovere le cause né tantomeno risolvere la crisi.

Non contiamo che le cose si sistemino da sé, sia pure in conseguenza di un passaggio traumatico. Le disfunzioni dell’eurosistema vanno superate con un intervento mirato, efficace, e non deflagrante. La via esiste, ed è il progetto CCF.


2 commenti:

  1. Sarebbe meglio smantellare l'euro di comune accordo o unilateralmente. Alla fine una decisione politica può essere sovvertita solo da un'altra decisione politica.
    Il punto al solito è un'altro, siamo un popolo che preferisce una sicura sottomissione ad una guerra per la propria libertà. Dino

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    1. Ma il "comune accordo" non c'è, e lo smantellamento unilaterale è di gran lunga troppo complicato (politicamente e operativamente): non in teoria ma in pratica. La strada è il progetto CCF.

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