Si parla tanto di merito e di meritocrazia, di come sia giusto e bello promuoverlo, riconoscerlo, valorizzarlo, secondo alcuni anzi parecchi l’Italia funzionerebbe meglio se ci fosse più meritocrazia. Eccetera.
Considerazioni che sembrano vere al punto da potersi considerare dei luoghi comuni, delle ovvietà.
Ma sono poi così ovvie ?
Una cosa che si trascura è che, specialmente nelle organizzazioni da una certa dimensione in su, il “merito”, o quello che si considera tale, spesso non è qualcosa di oggettivo, ma la conseguenza di una valutazione discrezionale, non necessariamente in buona fede, di chi sta intorno al “valutato”.
A volte nelle organizzazioni hanno difficoltà a far carriera proprio i competenti, perché non vengono capiti, perché sono giudicati da qualcuno che non è allo loro altezza, perché rischiano di mettere in ombra che sta sopra di loro o al loro fianco nelle gerarchie.
Ho spesso pensato che una delle ragioni per cui il pubblico ama gli spettacoli sportivi è che tutto è molto più alla luce del sole. Chi corre più veloce o salta più in lungo si mette in evidenza non per una valutazione di merito, ma per un fatto oggettivo.
Certo, si può scoprire che il vincitore della gara è dopato. Certo, ci può essere l’errore arbitrale dove non si prevale per una misurazione ma per il successo in una competizione con regole, a volte interpretate discrezionalmente (una partita di calcio, un incontro di boxe).
Certo, si può discutere sul ruolo e sull’incidenza di un giocatore in uno sport di squadra e dire “segna molto ma è scarso in difesa”. Però che Michael Jordan giocasse bene a basket o Maradona a calcio chi mai l’ha potuto mettere in questione ?
Non è così anche nelle aziende ? no. Jack Welch della General Electric è stato considerato per decenni il miglior CEO del mondo, poi si è scoperto che il posizionamento strategico dei suoi business non era poi sempre così solido, che spesso l’alta direzione, a partire da lui, badava più a stiracchiare i risultati contabili per centrare le aspettative di Wall Street che a produrre valore permanente. A distanza di tempo, il giudizio su di lui come manager è molto più sfaccettato.
Quindi, è giusto
“valorizzare il merito” ? in astratto sì, in concreto chiediamoci chi lo
valuta, su quali parametri, con quale oggettività.