domenica 27 novembre 2022

Meritocrazia ?

 

Si parla tanto di merito e di meritocrazia, di come sia giusto e bello promuoverlo, riconoscerlo, valorizzarlo, secondo alcuni anzi parecchi l’Italia funzionerebbe meglio se ci fosse più meritocrazia. Eccetera.

Considerazioni che sembrano vere al punto da potersi considerare dei luoghi comuni, delle ovvietà.

Ma sono poi così ovvie ?

Una cosa che si trascura è che, specialmente nelle organizzazioni da una certa dimensione in su, il “merito”, o quello che si considera tale, spesso non è qualcosa di oggettivo, ma la conseguenza di una valutazione discrezionale, non necessariamente in buona fede, di chi sta intorno al “valutato”.

A volte nelle organizzazioni hanno difficoltà a far carriera proprio i competenti, perché non vengono capiti, perché sono giudicati da qualcuno che non è allo loro altezza, perché rischiano di mettere in ombra che sta sopra di loro o al loro fianco nelle gerarchie.

Ho spesso pensato che una delle ragioni per cui il pubblico ama gli spettacoli sportivi è che tutto è molto più alla luce del sole. Chi corre più veloce o salta più in lungo si mette in evidenza non per una valutazione di merito, ma per un fatto oggettivo.

Certo, si può scoprire che il vincitore della gara è dopato. Certo, ci può essere l’errore arbitrale dove non si prevale per una misurazione ma per il successo in una competizione con regole, a volte interpretate discrezionalmente (una partita di calcio, un incontro di boxe).

Certo, si può discutere sul ruolo e sull’incidenza di un giocatore in uno sport di squadra e dire “segna molto ma è scarso in difesa”. Però che Michael Jordan giocasse bene a basket o Maradona a calcio chi mai l’ha potuto mettere in questione ?

Non è così anche nelle aziende ? no. Jack Welch della General Electric è stato considerato per decenni il miglior CEO del mondo, poi si è scoperto che il posizionamento strategico dei suoi business non era poi sempre così solido, che spesso l’alta direzione, a partire da lui, badava più a stiracchiare i risultati contabili per centrare le aspettative di Wall Street che a produrre valore permanente. A distanza di tempo, il giudizio su di lui come manager è molto più sfaccettato.

Quindi, è giusto “valorizzare il merito” ? in astratto sì, in concreto chiediamoci chi lo valuta, su quali parametri, con quale oggettività.

 

martedì 22 novembre 2022

Accise e IVA, così non ci siamo

 

Ho scritto numerose volte, su questo blog e altrove, che la via migliore per mitigare l’attuale inflazione è ridurre imposte indirette e oneri accessori sui beni di prima necessità. In particolare, su quelli a domanda rigida, che incidono più che proporzionalmente sui consumatori dotati di scarsi mezzi finanziari.

Leggo questa mattina che il governo per la legge di bilancio 2023 sembra orientato verso alcune decisioni che vanno nella direzione sbagliata.

Da un lato, ridurre da 30 a 18 centesimi (lordo IVA) lo sconto sulle accise applicate ai carburanti, introdotto da Draghi subito dopo l’inizio del conflitto ucraino. Il prezzo della benzina a parità di condizioni passerebbe quindi da 1,68 euro al litro (prezzo del distributore sotto casa mia…) a 1,80. Un +7% abbondante. Mica male come strategia antiinflazionistica.

Dall’altro, si lascia cadere la proposta di azzerare, o quantomeno ridurre, l’IVA su pane e latte.

Una correzione di tiro sbagliata su un provvedimento corretto, la rinuncia a un altro che oggi sarebbe utilissimo.

Se è così, tanto valeva tenersi Draghi.

domenica 20 novembre 2022

Superbonus e Moneta Fiscale

 

Leggo sempre con interesse i commenti economici di Giuseppe Liturri e in genere mi trovo largamente in sintonia con le sue analisi. Nel caso di questo articolo sul tema superbonus 110%, però, un po’ meno del solito.

A parere di Giuseppe, l’ostilità, più che evidente, della UE nei confronti del superbonus deriva principalmente da due fattori.

Il primo è il livello degli incentivi: il 110% è addirittura superiore al costo dei lavori da effettuarsi. Il che fa venir meno l’interesse al contenimento del valore monetario degli investimenti: se ho a disposizione una quantità di incentivi più alta dell’esborso, non sono spinto a negoziare con chi effettuerà i lavori per contenere l’esborso medesimo. Anzi, committente e aziende appaltatrice avrebbero addirittura interesse a gonfiare le cifre.

Il secondo è la cedibilità illimitata: incentivi fiscali non cedibili finiranno per non essere tutti utilizzati per intero, perché alcuni beneficiari in pratica non avranno la necessaria capienza fiscale, cioè non avranno sufficiente materiale imponibile. Se invece gli incentivi, cioè i crediti fiscali, sono liberamente cedibili con ogni probabilità si troverà sempre un compratore dotato della suddetta capienza, e l’utilizzo degli incentivi sarà totale, o pressoché tale.

Sul primo punto, Liturri stesso però nota che l’inconveniente viene meno riducendo l’aliquota e riportandola sotto il 100%, per esempio al 90%.

Sul secondo punto, il difetto del superbonus non è la cedibilità illimitata, ma l’aver introdotto l’incentivo senza prevedere un livello massimo di erogazione di crediti, per esempio su base annua.

Del resto, come questo blog ha chiarito fin dall’inizio, il superbonus è un’applicazione del concetto di Moneta Fiscale, qui proposto sulla base del modello CCF (Certificati di Compensazione Fiscale: titoli utilizzabili come sconti fiscali, liberamente cedibili e assolutamente destinati a circolare ILLIMITATAMENTE).

Ma fin dalle proposte originarie, ho sempre affermato che i CCF devono essere attribuiti per una varietà di applicazioni e per DETERMINATI IMPORTI MASSIMI SU BASE ANNUA.

Per il superbonus, così come per qualsiasi altra applicazione, si sarebbe dovuto dire – ma siamo ovviamente del tutto in tempo per correggere il tiro nel futuro – che le erogazioni avevano un limite annuo: per esempio, i primi 20 miliardi che fanno regolare richiesta ottengono il credito, gli altri slittano all’anno successivo.

Il limite annuo è necessario anche e soprattutto perché diversamente si rischia di far partire più interventi di quelli che la capacità produttiva del settore riesce poi effettivamente a effettuare: e questa sicuramente è una distorsione, con effetti inflazionistici.

Quello che il governo deve fare è contenere l’aliquota e fissare un tetto annuo. Ma NON limitare la cedibilità.

Tra l’altro la cedibilità illimitata consente anche di introdurre un’altra variante che in questo blog è stata spesso proposta e analizzata: attribuire ai crediti un tasso d’interesse (una maggiorazione di valore se l’utilizzo viene volontariamente differito). 

Il tasso d’interesse spingerebbe parecchi percettori a ritardare l’impiego dei crediti per scontare tasse, appunto perché il valore del credito cresce nel tempo e lo può quindi rendere un investimento interessante.

Parecchi crediti fiscali circolerebbero senza essere utilizzati per molti anni, e in qualche misura, forse, mai.

L’erogazione di crediti sarebbe quindi compensata non solo dalla retroazione fiscale (il maggior gettito consentito dalla crescita di PIL prodotta dall’incentivo, che va messo in conto, come non si stanca di ripetere l’onorevole Andrea de Bertoldi – e come ovviamente questo blog ha sempre affermato) ma anche dal differimento di utilizzo.

Le soluzioni tecniche, in altri termini, esistono e sono portata di mano. Se la UE è ostile alla Moneta Fiscale la ragione è tutta un’altra: è ostile perché la Moneta Fiscale FUNZIONA BENISSIMO ma ha il “difettuccio” (dal punto di vista di chi vorrebbe centralizzare tutte le decisioni di politica economica) di ridare autonomia agli Stati che la introducono.

 

giovedì 17 novembre 2022

I “soldi fermi sui conti correnti”… di nuovo

 

Il simpatico Marco Montemagno, che sicuramente molti di voi seguono, in questo breve video ci porta a conoscenza delle affermazioni di un professore universitario. Il quale si lamenta di come gli italiani lascino fermi, inattivi, la bellezza di 1.800 miliardi su conti correnti bancari a rendimento zero.

Il che, dice, è sempre stato un problema, ma adesso diventa molto più grave perché l’inflazione è alta e si verifica quindi una pesante erosione del potere d’acquisto.

All’inizio ero convinto che in questo equivoco cadessero “solo” giornalisti e politici. Ma avevo poi in effetti scoperto che ci cascano con tutte le scarpe anche parecchi economisti, non esclusi alcuni con un CV di vaglia (almeno sulla carta).

MA CHI HA DETTO CHE I SOLDI SUI CONTI CORRENTI SONO FERMI ?

I soldi sui conti correnti si muovono, costantemente. Ma questo movimento di per sé non influenza i saldi totali all’interno del sistema economico. Immaginate che non siano 1.800 miliardi di euro, ma 1.800 conchiglie, utilizzate come moneta.

Le 1.800 conchiglie vengono utilizzate e passano da una mano all’altra. Magari ciascuna anche cinque, dieci, venti volte all’anno. Ma PASSANO DI MANO. Non scompaiono.

Quindi constatare che le conchiglie sono sempre 1.800 e desumere che “stanno ferme” è, scusate la franchezza, una SCEMENZA. Gli undici giocatori di una squadra di calcio si muovono costantemente, ma sono sempre undici (salvo espulsioni…).

Ma le conchiglie, cioè i soldi, che vengono investiti, per farli rendere e proteggerli dall’inflazione ? quelli non diminuiscono i saldi bancari ?

Se compro un’azione o un’obbligazione già esistente, il mio saldo di conto corrente diminuisce, ma aumenta quello del venditore. Se compro titoli emessi da un’azienda, o titoli di Stato, il mio saldo diminuisce ma aumenta quello dell’emittente. Che poi li usa (se no perché avrebbe emesso titoli ?), quindi li fa circolare.

Vogliamo vedere diminuire i 1.800 miliardi ?

Salvo che mi sfugga qualcosa, il risultato si ottiene per quattro possibili vie.

Qualcuno ritira i soldi che ha in banca e mette le banconote sotto il materasso. Non esattamente il comportamento tipico in un’economia dinamica, e non esattamente una protezione dall’inflazione.

Qualcuno usa i soldi sul conto corrente per rimborsare un debito bancario. Cioè, il credito bancario totale nell’ambito del sistema cala. Abbiamo bisogno di questo in un’economia che sta cadendo in recessione ? non mi pare.

Qualcuno compra beni e servizi all’estero. Il conto corrente dell’italiano compratore cala perché aumenta il conto corrente dello straniero venditore. E peggiorano i saldi commerciali (già in tensione per il decollo dei costi di gas ed energia). C’è da augurarselo ? non mi pare.

Qualcuno compra attività finanziarie all’estero. Ma non ci si lamenta costantemente che troppo risparmio fuoriesce dall’Italia, e bisogna invece riportarlo in patria ?

Per cui, due conclusioni.

Parlare di economia ignorando la partita doppia non è un’idea brillante.

E

L’economia italiana ha tanti problemi, ma il livello dei conti bancari NON è uno di quelli.

 

domenica 13 novembre 2022

Ma quanto è confusa la BCE sull’inflazione

 

La scorsa settimana, secondo quanto riporta il Financial Times, il presidente della BCE Christine Lagarde ha affermato che “una blanda recessione da sola non sarebbe sufficiente ad addomesticare l’inflazione”. Recessione che peraltro non è lo “scenario base” contemplato dalla previsioni della BCE medesima. E neanche della commissione UE, che per il 2023 ha appena aggiornato le sue stime e vede un modesto ma positivo +0,3% per il PIL dell’Eurozona.

Sulla base dell’affermazione lagardiana, c’è da chiedersi quale modello macroeconomico stia nella mente (collettiva) della BCE. Se una “blanda recessione” da sola è insufficiente, che cosa sarà necessario, una recessione catastrofica ?

Semplicemente, la BCE ritiene che esista uno strumento solo utilizzabile, l’aumento dei tassi d’interesse. A prescindere dall’impatto sull’economia reale, il messaggio che trasmette è: continueremo ad alzarli finché l’inflazione, o quantomeno l’inflazione core (che esclude dal calcolo le componenti più volatili, energia e beni alimentari) avrà chiaramente superato il picco per iniziare il percorso di discesa.

La BCE ha l’aria di credere a una versione supersemplificata e semisuperstiziosa della teoria quantitativa della moneta. Recessione o no, blanda o catastrofica, la BCE continuerà ad alzare i tassi cosa che “prima o poi” farà scendere i tassi, perché l’inflazione è un “fenomeno monetario”. Stop.

Il messaggio che modestamente questo blog cerca di trasmettere (ma che si legge sempre più spesso anche altrove) è che alzare i tassi e produrre una recessione aiuta a combattere un’inflazione generata da un eccesso di circolazione di potere d’acquisto, ma è invece estremamente inefficiente se le cause sono collegate all’approvvigionamento di materie prime ed energia.

Nella situazione odierna, servono politiche fiscali espansive per ridurre oneri accessori e imposte indirette su una serie di beni, e in particolare su quelli di prima necessità. La BCE dovrebbe raccomandare questa strategia ai governi, chiarendo che non farà mancare, se necessario, gli strumenti di supporto dei maggiori deficit pubblici che si verranno a creare.

Ma questo non avviene. D’altra parte la BCE, data la delirante conformazione dell’Eurozona, ha il controllo dell’inflazione come missione primaria, missione che non si concepisce debba essere coordinata con le azioni dei governi, cioè con la politica fiscale.

Viene in mente un modo di dire in voga, a quanto ne so, negli USA: “all’uomo con un martello, ogni cosa sembra un chiodo”. La BCE ha in mano il martello dei tassi, e picchia sul chiodo dell’inflazione.

In questo caso l’inflazione non è un chiodo ma una vite. La BCE questo però non lo sa, non lo concepisce e comunque non è in possesso di un cacciavite.

Quindi picchia.

 

venerdì 11 novembre 2022

Giorgetti affossa la Moneta Fiscale ma anche no

 

Il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti è tornato due volte a breve distanza sul tema dei crediti fiscali negoziabili.

La prima mercoledì 9 novembre scorso, in sede di audizione di fronte alle commissioni speciali congiunte Camera e Senato sulla nota di aggiornamento al NADEF.

Qui la citazione ha tutta l’aria di chiudere la porta alla Moneta Fiscale nel senso in cui la propone questo blog, senza peraltro chiarire in alcun modo con quali motivazioni:

“Dobbiamo evitare di dire che questi crediti fiscali devono circolare liberamente… anzi non dobbiamo proprio dirlo… è meglio per tutti… è meglio per lo Stato italiano in particolare”.

Il che è traducibile in “non si deve perché non si deve”. Già, ma per quale ragione ?

In precedenza Giorgetti aveva accennato, in modo un po' criptico, a "qualche osservazione da parte di soggetti esterni rispetto alla natura e alla definizione del credito d'imposta cedibile... mi fermo qui".

Oggi, venerdì 11 novembre, durante la conferenza stampa a cui ha partecipato a fianco del presidente del consiglio Giorgia Meloni, si è maggiormente dilungato:

“La cessione / cedibilità del credito d’imposta è una possibilità, non un diritto e quindi tutti coloro che in qualche modo d’ora in avanti decideranno di fare questi interventi hanno senz’altro la certezza di poterli detrarre dai loro redditi negli anni come peraltro è sempre avvenuto ma non hanno né possono avere la certezza – lo devo dire perché su questa cosa va fatta chiarezza – rispetto al fatto che possano in qualche modo trovare una banca o un’istituzione che accetti la possibilità di cedere (nota mia: in effetti, di acquistare) il credito d’imposta. Altrimenti avremmo creato una moneta, che non è stata creata”.

Notare: il secondo intervento non nega in alcun modo che il credito d’imposta possa essere ceduto. Afferma semplicemente che non c’è certezza, per chi lo detiene, di trovare una controparte che l’acquisti, in cambio di soldi o anche di beni o servizi.

Ma questa è SEMPRE stata una caratteristica del progetto CCF / MF fin dalle sue origini. Nessuno è obbligato ad accettare la cosiddetta Moneta Fiscale. La MF è utilizzabile per compensare imposte o tasse altrimenti dovute. E qui la controparte è la Pubblica Amministrazione. Per qualsiasi altro soggetto, vale il libero mercato: tu mi proponi la MF e io sono libero di accettarla o meno. Se l’accettazione fosse obbligatoria, avremmo creato moneta LEGALE, e questo violerebbe i trattati, perché nell’eurozona l’unica moneta legale è l’euro.

Si noti che il credito fiscale negoziabile non è da questo punto di vista diverso dai circuiti di compensazione multilaterale tipo Sardex. Gli aderenti al circuito utilizzano il Sardex per scambiarsi beni e servizi, ma solo perché hanno volontariamente deciso di aderirvi. A nessun non aderente può essere imposto (ci mancherebbe) di accettare Sardex.

Perché mai lo Stato italiano non dovrebbe poter effettuare (certo, su scala ben più rilevante) una forma di intervento analoga al Sardex, che è perfettamente legale ? tra l’altro nel capitale della società di gestione del progetto Sardex è entrata una finanziaria del Ministero dello Sviluppo Economico, quindi lo Stato medesimo.

 

mercoledì 9 novembre 2022

I giapponesi ? hanno l’aria di avere ragione loro

 

Perché lo yen si è svalutato così tanto quest’anno (ci si chiede) ? effettivamente dall’inizio del 2022 lo yen è passato da 131 a 146 contro euro, quindi ha perso un 11% abbondante, e da 115 a 145 contro dollaro – e qui siamo a un calo del 26%.

La risposta è semplice: perché un anno fa i tassi d’interesse erano vicini a zero (se non addirittura negativi) in tutto il mondo economicamente sviluppato. Poi, l’Occidente ha cominciato ad alzarli, e sta continuando, per contrastare l’inflazione, mentre i giapponesi li mantengono inchiodati vicino alla nullità.

Si parla quindi di “spirale di svalutazione” per lo yen. Intanto però i tassi in crescita non hanno impedito all’inflazione occidentale di aumentare al 10% (un po’ meno negli USA, un po’ più in Europa). In Giappone un minimo di incremento c’è stato, ma si parla del 3%.

E allora ? chi sbaglia ? c’è una spirale di svalutazione, rispetto alle valute occidentali, in Giappone ? o non è forse più appropriato chiamarla una rivalutazione immotivata delle valute occidentali, figlia di un aumento di tassi che NON è efficace per contrastare l’inflazione ?

Non è efficace perché, soprattutto in Europa, il problema non è l’eccesso di domanda, di capacità di spesa nel sistema economico, ma gli approvvigionamenti e le forniture di materie prime, soprattutto di gas, dall’inizio della crisi ucraina in poi.

Intanto i giapponesi si godono un pauroso aumento di competitività delle loro aziende. Costi che crescono poco, molto meno che in Occidente. Cambio molto più favorevole.

Sbagliano loro ? a me non pare.


domenica 6 novembre 2022

Inflazione e politiche per contrastarla

 

Nel dibattito tra sostenitori e oppositori della MMT, un tema rilevante è l’efficacia della politica fiscale per ridurre l’inflazione quando diventa troppo elevata.

Contrariamente alla versione caricaturale che qualcuno si ostina a far circolare, la MMT non ha mai affermato che i deficit fiscali possano crescere all’infinito. Sostiene invece che il limite c’è, ma non è un determinato livello numerico. È la disponibilità di risorse produttive (impianti e manodopera) inoperose, o comunque sottoutilizzate.

Se, tramite il deficit pubblico, mettiamo in circolazione capacità di spesa eccessiva rispetto alla capacità produttiva del sistema economico, non generiamo più produzione e più occupazione, ma solo eccessiva inflazione.

Ne segue che la maniera efficace per ridurre la domanda nel sistema economico, secondo la MMT, è ridurre i deficit quando c’è inflazione: ma in funzione appunto di quella, NON del fatto che il deficit sia del 3%, del 6%, del 10% o di qualsiasi soglia numerica prestabilita.

En passant, quanto sopra mostra come siano immotivate per non dire pretestuose le affermazioni di chi sostiene che "per la MMT lo spazio fiscale è infinito" o che "la MMT spinge sempre ad aumentare i deficit".

Tornando all'utilizzo della politica fiscale per ridurre l'inflazione, un’obiezione tipica degli MMT-critici è che questo può essere vero in teoria. In pratica però pacchetti di restrizione fiscale (tagli di spesa e aumenti di tasse) motivati da eccesso d’inflazione sono politicamente indigesti e quindi non vengono attuati.

Noi che in Italia abbiamo vissuto l’esperienza del 2011-3 la sappiamo purtroppo più lunga. Imporre austerità è risultato fin troppo facile. E il momento tra l’altro era COMPLETAMENTE sbagliato, perché non c’era, allora, nessun problema d’inflazione. C’era invece un problema di rifinanziamento del debito: derivante però SOLO dalla costruzione sbagliata dell’eurozona, che impedisce alla BCE di garantire incondizionatamente i debiti pubblici. E infatti solo il whatever it takes di Draghi, non certo l’austerità, ha tamponato questo problema.

Al di là dell’austerità eurozonica, però, sulla posizione degli MMT-critici si impone una riflessione. I tassi d’interesse redistribuiscono potere d’acquisto tra debitore e creditore. Se salgono, paga di più l’azienda indebitata, il debitore per il credito al consumo, chi deve rimborsare un mutuo, lo Stato per gli interessi sul debito pubblico. Ma percepisce di più il titolare del credito: la banca, il possessore di titoli di Stato, la società finanziaria.

Se il potere d’acquisto totale in circolazione non muta, non è quindi scontato che si crei un effetto di riduzione della domanda, e quindi indirettamente dei prezzi.

In realtà chi sostiene la restrizione monetaria fa affidamento anche su altri effetti, tipo la perdita di valore delle attività finanziarie (es. azioni), che però è di dubbio impatto, e la tendenza del sistema bancario a contrarre il credito quando i tassi salgono.

Vale la pena comunque di sottolineare che l’impatto restrittivo della politica monetaria non è così certo come viene presentato. E che, d’altra parte, la politica fiscale può esercitare un impatto anticiclico tramite stabilizzatori automatici che agiscono senza bisogno di approvazioni parlamentari e governative: la cassa integrazione, i sussidi di disoccupazione, l’imposta progressiva sul reddito e (se venissero adottati come propone la MMT) i programmi di lavoro garantito.

Tutto quanto sopra si applica a un contesto di inflazione da eccesso di domanda, a parità di offerta – cioè a pari capacità di produrre reddito da parte del sistema economico.

Ovviamente oggi stiamo vivendo un problema di inflazione che ha cause differenti. I problemi di approvvigionamento connessi alla ripresa post Covid e alle difficoltà di ripristinare le catene di fornitura prima; l’esplosione dei prezzi dell’energia causati dalla crisi ucraina poi.

E ho spiegato già da tempo che in questo caso la restrizione monetaria rischia di fare gravissimi danni senza risolvere nulla. La via è invece una politica fiscale espansiva non rivolta al sostegno della domanda ma all’abbattimento di imposte indirette e oneri accessori sui beni di prima necessità, unitamente a ragionevoli interventi di razionamento, in particolare sui consumi di gas.

 

venerdì 4 novembre 2022

Stampare moneta per ridurre i prezzi: qual è l’obiezione ?

 

Breve corollario al post precedente. Le banche centrali a quanto pare agiscono in base al principio che stampare moneta sia di per sé inflattivo.

Il che è smentito da anni, se non decenni, di Quantitative Easing, che non ha prodotto inflazione né in Giappone, né negli USA, né nell’Eurozona.

Non dando credito alle smentite dei fatti, il concetto che le banche centrali seguono (quantomeno nel mondo occidentale) è: stampa quando vuoi aumentare l’inflazione, stringi quando la vuoi diminuire.

Nel post precedente, dicevo, ho descritto un ampio ventaglio di azioni applicate alle categorie che stanno producendo la grande maggioranza dell’inflazione attuale: bollette e generi alimentari.

Se tagliamo IVA, accise, oneri indiretti vari, e calmieriamo i prezzi (compensando i produttori) fino a determinate quantità di consumi, otteniamo un effetto di riduzione dell’inflazione. Anche se queste azioni le attuiamo a deficit, anche se stampiamo moneta.

L’obiettivo primario delle banche centrali è la stabilità monetaria. Il controllo dei prezzi. Il mantenimento di livelli di inflazione moderati e stabili.

Allora, perché mai dovrebbero obiettare a questo tipo d’interventi ?

Una spiegazione logica, a stretto rigore di analisi macroeconomica, non riesco a trovarla.

Eppure le banche centrali (quantomeno, ripeto, nel mondo occidentale: l’Asia è un’altra storia) non le suggeriscono, non le ipotizzano, parlano solo di restrizione del credito e di aumento dei tassi e si muovono di conseguenza.

Se avete spiegazioni per questo comportamento, sono felice di ascoltarle.

 

martedì 1 novembre 2022

L’inflazione odierna e come ridurla

 

Il dato preliminare dell’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività italiana, relativo al mese di ottobre, è estremamente preoccupante. +3,5% ottobre 2022 vs settembre 2022, +11,9% ottobre 2022 vs ottobre 2021.

Disaggregando l’indice nelle sue componenti settoriali, emergono alcuni ulteriori elementi che non giungono certo come una sorpresa. Due voci fanno da sole la grande maggioranza delle variazioni, e sono in primo luogo “abitazione, acqua, elettricità e combustibili” (per farla breve, le “bollette”) e in secondo luogo “prodotti alimentari e bevande analcoliche” (sempre in breve, gli “alimentari”). Vedi qui i dati ISTAT.

Riguardo alla variazione mensile, le “bollette”, che incidono da sole per l’11% del paniere, sono salite in un solo mese del 25,5% e hanno quindi prodotto un impatto (variazione della voce moltiplicata per l’incidenza sul paniere) del 2,8%. Gli “alimentari”, che sul paniere pesano il 18%, sono aumentati in un mese dell’1,9%, il che dà un impatto dello 0,35% circa.

Quindi sulla variazione mensile del 3,5%, “bollette” e “alimentari” fanno da sole il 3,15%. Il resto non evidenzia variazioni paurose, varie voci addirittura diminuiscono.

Se esaminiamo gli incrementi annui, le conclusioni sono simili. Le “bollette” sono salite del 58,8%, con un impatto quindi del 6,5%. Gli “alimentari” salgono del 13,5% e impattano per il 2,5%. In totale, il 9% dell’inflazione annua, su un totale di 11,9%, lo hanno causato “bollette” e “alimentari”.

Tutto ciò rende la situazione ancora più preoccupante in quanto “bollette” e “alimentari” sono beni a domanda rigida. Una vacanza puoi sempre rimandarla, un capo di abbigliamento aspettare l’anno prossimo per comprarlo. Riscaldamento, luce, gas, cibo – no, e anche risparmiare è decisamente più difficile.

Un’inflazione con queste caratteristiche è perversa riguardo agli effetti redistributivi. Beni di questa natura incidono in maniera particolarmente accentuata sulla spesa delle classi sociali disagiate. Altrimenti detto, parliamo di un’inflazione di cui il benestante quasi non si accorge, ma che rischia di diventare drammatica per chi ha modeste disponibilità economiche.

Per questo sostengo da parecchio tempo la necessità di intervenire soprattutto su quelle due categorie di beni, eventualmente anche utilizzando strumenti di moneta fiscale. Si tratta di ridurre fortemente o anche azzerare IVA, accise, oneri di sistema, e nel caso delle “bollette” anche di fissare soglie massime di prezzo al consumatore (come già peraltro avviene in Francia e Spagna).

Nel caso delle “bollette”, l’obiezione tipica è che il problema è la scarsità fisica dei beni. Se non arriva più gas dalla Russia, limitare i prezzi al consumo non lo fa ricomparire. Anzi, si sostiene (con un approccio neoclassico) che i prezzi elevati quantomeno inducono a limitare i consumi.

Ma quest’ultima considerazione si applica poco e male a beni di prima necessità, a domanda rigida, quali appunto le “bollette”.

Un modo per ottenere un effetto di razionamento, creando il minimo possibile di difficoltà al consumatore, può essere il seguente. Fissare un prezzo al consumo decisamente più basso, per esempio in linea o poco più alto del prezzo medio 2020, applicato a quantità consumate pari al 80% dell’anno precedente. E lasciare il prezzo di mercato sullo scaglione eccedente. Un intervento del genere, a quanto mi risulta, è operativo in Germania.

In questo modo si incentiva a limitare i consumi (in modo ragionevole, compatibile con una maggiore attenzione negli utilizzi) e si abbatte enormemente il prezzo medio, nonché l’impatto sull’inflazione totale, rispetto alla situazione attuale.

Il tema è ormai di enorme urgenza.