domenica 30 giugno 2024

Che cosa comporta l’euro per l’economia italiana

 

In buona sostanza, l’euro comporta (sul piano economico) due cose per l’Italia.

La prima è l’adesione a un sistema di regole che impediscono di utilizzare la leva fiscale per promuovere il pieno impiego. Detto altrimenti, un sistema di regole che implicano alti, immotivati livelli di disoccupazione e di sottoccupazione.

La seconda è una perdita di competitività, perché si utilizza una moneta più forte di quella che era, e sarebbe se esistesse ancora, la lira. Si utilizza quindi una moneta troppo forte per i fondamentali della nostra economia.

La debolezza della domanda interna prodotta dalle euroregole di bilancio spinge le aziende a cercare compensazioni sui mercati esteri. Chi può, spinge sull’export.

Ma questo è possibile solo se le retribuzioni rimangono compresse, perché il cambio fisso con il Nord Europa, in particolare con l’ex area marco, non lascia altre leve di azione efficaci. La competitività persa per il cambio viene recuperata "grazie" alla compressione salariale.

Per le aziende, almeno per alcune, la combinazione di tutto ciò è più sopportabile di quanto sembrerebbe a prima vista. Chi è orientato all’export campa, e anche discretamente e talvolta molto bene, visto che il costo del lavoro viene tenuto “sotto controllo” dall’austerità fiscale.

Per i lavoratori, quindi per i comuni cittadini, è un disastro.

 

venerdì 28 giugno 2024

Il non senso dell’integrazione politica europea

 

Un mantra europeista è che “le sfide globali, i problemi posti dall’attuale contesto politico, economico, sociale, possono essere affrontati solo da un’Europa unita. Nessun singolo paese europeo ha da solo le risorse, i mezzi, per affrontarli”.

Si tratta di un’affermazione di cui non vedo alcun supporto logico né fattuale. Condividere risorse non le incrementa. Le risorse disponibili sono sempre le stesse. Il punto è farle lavorare al meglio. Allora la domanda da porsi è: imporre scelte da parte di un’entità centrale è più pratico che decidere ognuno per conto proprio, coordinandosi su base volontaria dove e quando necessario ? 

L’esperienza dell’ultimo quarto di secolo non fornisce nessuna risposta affermativa, nemmeno parziale, a quest’ultima domanda.

Un altro mantra europeista, collegato al precedente, è che “oggi sulla scena mondiale, al contrario che in passato, agiscono paesi grandi come continenti”.

In realtà la dimensione media degli Stati che esistono al mondo è casomai diminuita, non aumentata. Per una Germania che si è riunificata abbiamo un’Unione Sovietica, una Jugoslavia, una Cecoslovacchia che si sono frammentate.

Ma la Cina, ma l’India ? la Cina e l’India esistevano, nelle medesime condizioni territoriali, anche cinquant’anni fa. Quello che è cambiato è che prima erano attori economici quasi irrilevanti; oggi sono operatori di prima grandezza.

Questo è vero, ma in che modo un’entità politica dovrebbe muoversi meglio, nei loro confronti e in generale sulla scena mondiale, in funzione della dimensione ?

La Corea del Sud è un paese paragonabile all’Italia per PIL e popolazione. E’ incastrato tra Cina, India e anche Giappone. Sta pensando a integrarsi politicamente con qualcuno ? soffre per il fatto di essere tre, dieci, trenta volte più piccolo dei vicini ? no a tutte a due le domande.

L’integrazione politica è un progetto che si sta perseguendo solo in Europa. Necessità ineluttabili non se ne vedono. La validità del progetto va giudicata solo in funzione dei risultati.

Che fin qui sono pessimi.

 

domenica 23 giugno 2024

Il Giappone contrasta l’inflazione facendo… nulla

 

Negli ultimi tre anni, il Giappone ha avuto l’inflazione, misurata sull’indice dei prezzi al consumo, più bassa tra tutti i paesi del G7. Il dato cumulato 2021-2023 è il seguente:

Giappone 8,4%

Francia 13,1%

Canada 14,3%

Italia 15,9%

Germania 16,3%

Stati Uniti 16,7%

Regno Unito 20,8% 

e il dato medio annuo:

Giappone 2,7%

Francia 4,2%

Canada 4,6%

Italia 5,0%

Germania 5,2%

Stati Uniti 5,3%

Regno Unito 6,5%

Chissà quali politiche monetarie restrittive avranno adottato i giapponesi per ottenere questo risultato, in un periodo in cui materie prime e componenti sono andati alle stelle ?

Risposta: hanno tenuto i tassi d’interesse INCHIODATI A ZERO.

Però la BCE afferma che i tassi devono scendere con grandissima cautela perché “non si può abbassare la guardia nella lotta contro l’inflazione”.

Se avete qualche dubbio sulla competenza o sulla buona fede dei banchieri centrali occidentali, non sono d’accordo con voi.

Non c’è da avere “qualche dubbio”.

C’è da avere granitiche certezze.

Del contrario.

mercoledì 19 giugno 2024

“Esperti” geopolitici che non sanno di macroeconomia ?

 

I due più noti esperti italiani di geopolitica sono Lucio Caracciolo, il direttore di Limes, e Dario Fabbri, suo “delfino” storico che si è recentemente messo in proprio.

Sono i più noti, ma sono bravi ? sono affidabili ?

A tutti e due ho sentito formulare, nei video che circolano su Youtube e social media vari, i seguenti concetti.

Uno, la Germania garantisce il debito pubblico italiano.

Due, l’Italia ha bisogno di questa garanzia. Un bisogno vitale. A causa, s’intende, del suo “enorme” debito pubblico.

Ora, queste due affermazioni sono due sfondoni colossali.

La Germania non garantisce assolutamente nulla. In realtà uno dei problemi dell’Eurozona è la mancanza di una garanzia sui debiti pubblici degli stati membri da parte dell’istituto di emissione. Che peraltro è la BCE, non la Germania.

E

L’Italia non ha bisogno di garanzie esterne da parte di nessuno. Basta (basterebbe) che lo Stato italiano riprenda a finanziarsi utilizzando moneta nazionale. Come potrebbe tranquillamente fare, in qualsiasi momento, emettendo Moneta Fiscale.

Caracciolo e Fabbri, si dirà, non sono economisti. E l’economia non è tutto.

Certo. Ma se non è tutto, l’economia è molto, MOLTISSIMO. Non è possibile interpretare la posizione di forza e di debolezza degli Stati, non è possibile valutarne le strategie nel contesto internazionale, non è possibile giudicarne i punti di forza e di debolezza, partendo da assunzioni COMPLETAMENTE sbagliate in merito alla condizione delle loro economie.

Si può parlare di economia senza conoscere la geopolitica, ma non si può parlare di geopolitica senza conoscere l’economia. Perché la geopolitica è una disciplina estremamente ampia, ai limiti dell’onnicomprensivo.

Penso che Caracciolo e Fabbri se ne rendano conto. Ma cadono vittima di quell’accozzaglia di luoghi comuni che passa per pensiero economico mainstream.

 

domenica 16 giugno 2024

La bussola persa dell’Occidente


Leggere i giornaloni paludati, quelli che meglio rappresentano il pensiero dell’establishment – o per meglio dire, che ne convertono le veline in articoli – dà un’impressione alquanto sconfortante in merito alla capacità dell’establishment stesso di evolversi.

Putin è imperialista e colonialista e tutti devono capire che va combattuto. Putin è tutto questo, certo. Ma che lo dicano i leader di un Occidente che tutto il resto del mondo percepisce come imperialista e colonialista molto più di Putin non è una posizione molto convincente, mi pare.

Le destre avanzano nei paesi più importanti della UE. In Francia e in Germania mettono in dubbio la stabilità dei governi. In Italia al governo ci sono già. E la risposta dell’establishment com’è ? Solo e soltanto repressiva. Bisogna impedire che vadano al governo o se ci vanno cooptarli o se no isolarli, comunque metterli in condizione di non nuocere, di non modificare l’assetto politico dell’Occidente. Prima ancora che in Europa, negli USA: hai visto mai che ritorna Trump ?

Il problema è che i partiti al di fuori dell’establishment magari non hanno le risposte giuste, o magari non riusciranno a metterle in pratica. Ma avanzano perché l’Occidente, e soprattutto l’Unione Europea, insistono su un modello di azione politica, e in particolare di governance economica, che ha prodotto stagnazione, crescita delle diseguaglianze, insicurezza. La reazione dell’establishment non è capire e correggere: è mettere a tacere chi si fa interprete dell’inquietudine degli elettorati.

L’Occidente dice di voler difendere la democrazia liberale ma l’ha trasformata in un’oligocrazia imperniata su una globalizzazione antisociale e sullo strapotere della finanza speculativa. L’Occidente ha perso la bussola da un quarto di secolo, e non dà segnali di volerla ritrovare. E’ questo che preoccupa.

mercoledì 12 giugno 2024

Giorgia Meloni e la prossima commissione UE


Che cosa si può sperare come conseguenza dei risultati elettorali dello scorso weekend ?

La maggioranza numerica per una riedizione della coalizione Ursula sulla carta c’è ancora. Però è meno forte di cinque anni fa, quanto VDL fu eletta con solo nove voti di margine: perché all’interno degli schieramenti che la sostengono c’è ben poca compattezza, incluso nel PPE.

Giorgia Meloni, che tra i capi di governo dei maggiori paesi UE ha ottenuto il risultato di gran lunga migliore, ha quindi una carta importante da giocare. Non creando una maggioranza ID + ECR, che non ha i numeri, ma sostenendo un candidato PPE. Che mi auguro non sarà VDL, anche se VDL è un puro (e scadente) esecutore di ordini esterni, quindi non credo che la sua mancata rielezione sia in sé chissà quale svolta epocale.

La cosa importante è – sarebbe – che Giorgia Meloni abbia le idee sufficientemente chiare, e che sia dotata di sufficiente  abilità politica, da ottenere, in cambio del sostegno al PPE, una grossa, GROSSA contropartita.

Tipo il commissario agli affari economici, ma con portafoglio pieno, non dimezzato come quello attribuito a Gentiloni. Senza la subordinazione al Dombrovskis di turno. E che non sia Gentiloni, ovviamente. Ma neanche Giorgetti.

E che questo commissario faccia passare una revisione, o un’interpretazione, del patto di stabilità che finalmente abbia senso e possa funzionare. 

Ovviamente l’ideale sarebbe il libero utilizzo della Moneta Fiscale.

domenica 9 giugno 2024

Il controllo politico sull’istituto di emissione

 

La funzione di emissione della moneta deve essere istituzionalmente subordinata a un governo democraticamente eletto. E’ indispensabile per preservare la democrazia.

Di fronte a questa affermazione, spesso mi viene proposta la seguente obiezione. Chi lavora presso le banche centrali e i ministeri dell’economia è comunque fortemente condizionato dall’establishment finanziario. E la ragione è evidente: si tratta di persone che hanno ambizioni di carriera, magari proprio presso le grandi istituzioni finanziarie, che offrono (tra l’altro) posizioni pagate molto, MOLTO meglio. E ingraziarsi l’establishment finanziaria è quindi una tentazione a cui non è facile sfuggire.

Ma questo è un motivo in più, non in meno, per cui la funzione di emissione monetaria debba essere FORMALMENTE sotto il pieno controllo del potere politico. Perché SOSTANZIALMENTE lo sarà solo a metà. Ma l’alternativa è avere un governo dell’economia COMPLETAMENTE in mano alle grandi istituzioni finanziarie e al big business.

Il potere del denaro resterà sempre forte, parecchio forte. Ma appunto per questo serve un sistema di contrappesi. E non mi viene in mente nulla di meglio della democrazia parlamentare per fare in modo che i contrappesi esistano e operino.

lunedì 3 giugno 2024

Finanza pubblica: il dibattito non è serio

 

La grande maggioranza degli articoli riguardanti la politica economica sono, semplicemente, privi di qualsiasi serietà e quindi di qualsiasi interesse. Idem per i dibattiti da talk-show.

E il motivo è semplice. Articoli e dibattiti prendono le mosse dall’assunto che il problema principale dell’economia italiana (e di molti altri paesi) sia la finanza pubblica.

Beh, è un’impostura totale.

Il mondo è in regime di moneta fiat dal 1971. La moneta è un bene che gli stati possono produrre liberamente.

Quindi è una falsità smaccata sostenere che la finanza pubblica possa essere un problema.

L’inflazione può essere un problema. Le diseguaglianze possono essere un problema. La carenza di investimenti può essere un problema. La produttività può essere un problema. L’inadeguatezza dei servizi pubblici può essere un problema.

Ma gli approfondimenti su questi temi finiscono per non proporre soluzioni, o per identificare ben che vada palliativi inadeguati quando non risibili, perché “mancano i soldi”.

Il dibattito non è serio perché assume l’esistenza di un vincolo che è in realtà completamente inventato, e assumendolo impedisce di dire cosa sensate praticamente su tutto il resto.

sabato 1 giugno 2024

La definizione di austerità

 

A sentire gli euroausterici – ne avevo già parlato in post precedenti, ad esempio in questo – in Italia non si è mai fatta austerità, dopo la Grande Crisi Finanziaria del 2008, se non (forse) nel periodo 2011-2013. Perché viene sostenuta questa tesi ? perché c’è sempre stato un deficit pubblico, e perché il debito pubblico in rapporto al PIL non è diminuito.

E’ un’affermazione insensata perché deficit e debito sono la risultante non solo delle politiche fiscali, ma anche e soprattutto dei loro effetti di retroazione. Che in parole povere significa: se io adotto politiche restrittive, l’effetto sul deficit e sul debito può essere di innalzarli e non di abbassarli, in quanto le restrizioni riducono il gettito fiscale e riducono il PIL.

Detto altrimenti, se deficit e debito non calano, ciò NON significa necessariamente che si stiano adottando politiche espansive. Può essere che le politiche siano restrittive – MA CONTROPRODUCENTI, anche dal punto di vista dei saldi di finanza pubblica. E in Italia è avvenuto esattamente questo.

Il che rende però necessaria una definizione più precisa di che cosa si intenda per austerità. E la definizione che propongo è la seguente.

C’è austerità quando, nonostante livelli di inflazione sotto controllo e magari addirittura inferiori al target del 2% generalmente adottato dalle banche centrali, l’occupazione è debole: ci sono molti disoccupati, molti lavoratori potenziali che rinunciano a cercare lavoro perché scoraggiati, e molti lavoratori precari e part-time.

Secondo questo criterio, dal 2011 in poi in Italia c’è SEMPRE stata austerità, salvo nel periodo in cui il Covid ha costretto il governo a effettuare forti interventi di sostegno (e la UE ad accettare che avvenissero). La crescita è stata debole se non inesistente o negativa, l’occupazione problematica e precaria, e l’inflazione – rispetto ai target fissati dalla BCE stessa – troppo bassa.

L’unico periodo di inflazione elevata è stato causato non da eccesso di domanda, ma da fenomeni esterni – problemi nelle catene di fornitura post lockdown, guerra in Ucraina. Ma siamo ormai rientrati stabilmente sotto il 2%.

Per cui sì, in Italia dal 2011 abbiamo vissuto, E SIAMO TUTTORA, in un contesto di austerità pressoché permanente. Con gravissimi danni all’occupazione, alla crescita, al tessuto economico. E SENZA aver minimamente risolto i problemi della finanza pubblica – problemi che peraltro non sarebbero MAI esistiti se non fossimo entrati nell’euro.