mercoledì 27 marzo 2019

Smontare il cartalismo (non è facile)


Mi ha fatto sorridere un articolo in cui mi sono imbattuto pochi giorni fa. L’autore, tale James Rickards, secondo la biografia pubblicata su Wikipedia vanta credenziali non esattamente lusinghiere. E’ stato infatti responsabile per gli affari legali di Long-Term Capital Management, un hedge fund il cui collasso nel 1998 ha portato il mondo a un pelo da una crisi finanziaria ed economica generale (obiettivo poi “conseguito” a seguito del fallimento Lehman Brothers, dieci anni dopo).

E’ giusto precisare che probabilmente non è stata colpa sua: il responsabile affari legali non prende (in genere) decisioni sugli investimenti.

Più di recente, nel 2009, Rickards ha dichiarato che “il dollaro USA stava per cadere in uno stato di iperinflazione”. Previsione che si è rivelata errata quanto poche altre.

Rickards ad ogni modo non sembra aver perso la fiducia in sé stesso e nelle proprie idee. Nell’articolo citato, ci fa sapere di aver identificato il “difetto fondamentale” della MMT. Secondo la Modern Monetary Theory (che, è giusto ricordare, ha ripreso un concetto alla base del cartalismo di Friedrich Knapp), la moneta deriva il suo valore dal fatto che lo Stato la accetta in pagamento delle tasse.

Rickards afferma che questo concetto ha una “lacuna fatale,” in quanto esistono modi per detenere ricchezza senza mai pagare tasse. Per esempio, se si possiedono azioni o terreni o oro, senza mai venderli in quanto li si detiene per lasciarli ai propri eredi, nessuna tassazione è dovuta, né oggi né in futuro.

Rickards afferma che “di conseguenza” la tesi del valore della moneta derivante dall’utilizzabilità per pagare tasse cade. La fonte del valore sarebbe, invece, la “fiducia” – concetto non meglio precisato.

L’argomentazione di Rickards è francamente scombiccherata. In primo luogo, un individuo che detiene tutto il suo patrimonio in attività destinate a non essere vendute per tutta la sua vita è una pura astrazione: in realtà non esiste. Di che cosa campa questo signore, nel frattempo ?

Casomai bisognerebbe immaginare una persona che detiene la sua ricchezza in forma di cash, in misura sufficiente per tutta la sua esistenza, e lo consuma gradualmente. Un individuo con queste caratteristiche è decisamente raro, ammesso che esista.

In realtà, peraltro, esistono molte forme di imposizione patrimoniale e sui consumi che vengono subite anche dall'ipotetico soggetto che non genera mai, nel corso di tutta la sua esistenza, un reddito tassabile: imposte sulle vendite, sul valore aggiunto, sul possesso di immobili, sulla ricchezza finanziaria, sulle successioni, accise sui carburanti, eccetera.

E comunque, se anche questo “non-pagatore integrale di tasse” esistesse, si tratterebbe evidentemente di un’assoluta eccezione. Perché in qualsiasi economia sviluppata il settore pubblico preleva, sotto forma di tasse, imposte, accise, contributi eccetera, una percentuale del PIL di solito compresa tra il 30 e il 50%. Anche per il “non-pagatore integrale” le tasse giustificano, quindi, il valore della moneta. Se pure non le paga lui, sa perfettamente che la moneta in suo possesso potrà essere ceduta, in cambio di beni e di servizi, ad altre persone che le tasse, invece, le pagano, e per le quali quindi la moneta ha valore. E si tratta evidentemente della stragrande maggioranza della popolazione.

Non si è mai sentito dire, del resto, che la moneta non abbia valore per gli evasori fiscali (anzi…).

Certo, anche una moneta, o un surrogato di moneta, non accettato a fini fiscali ma utilizzato nell’ambito di un “circuito di compensazione multilaterale” può avere valore, in presenza di opportuni accordi contrattuali e di una piattaforma di scambio ben organizzata: vedi i casi del WIR elvetico o del Sardex. Ma l’utilizzabilità fiscale è uno strumento di accettazione molto più potente, perché mette in gioco il soggetto economico in assoluto, in qualsiasi paese, di maggior peso – il settore pubblico.

Per queste ragioni, il presupposto del cartalismo e della MMT è assolutamente valido. E si applica, infatti, anche al progetto Moneta Fiscale / CCF.

Detto ciò, un livello di emissione monetaria, SE crea eccessiva spinta sulla domanda – eccessiva rispetto alle dimensioni dell’economia e agli incassi fiscali – può creare effetti inflattivi che minano il valore della moneta. Ma è un altro discorso, e non inficia il concetto che “taxes drive money”.

domenica 24 marzo 2019

GECOFE: iniziativa "Io ti voto se..."

Segnalo a tutti la meritoria iniziativa del Gruppo ECOnomia FEerrara (GECOFE), che richiede ai candidati sindaci alle prossime comunali di attestare la loro comprensione del sistema monetario e della governance economica.

Un modo per sensibilizzarli (i candidati) e per comprendere se hanno le idee chiare sulle dinamiche della depressione economica in cui è sprofondato il nostro paese.

Trovate i dettagli qui.

giovedì 21 marzo 2019

La nostra risposta a CESifo

Come Gruppo della Moneta Fiscale abbiamo pubblicato pochi giorni fa la nostra risposta alle obiezioni formulate dal think tank tedesco CESifo in merito al progetto Moneta Fiscale / Certificati di Credito Fiscale.

Qui l'articolo, che riprende con varie estensioni i contenuti già pubblicati in italiano qui.

lunedì 18 marzo 2019

Perchè la deflazione va temuta più dell'inflazione


Come in molti altri casi, è difficile spiegare più chiaramente e più elegantemente quali siano i danni della deflazione, e perché possano essere parecchio peggiori di quelli dell’inflazione, di quanto abbia fatto John Maynard Keynes - qui in “Social Consequences of Changes in the Value of Money” (1923):

Inflation is unjust and Deflation is inexpedient. Of the two perhaps Deflation is, if we rule out exaggerated inflations such as that of Germany, the worse: because it is worse, in an impoverished world, to provoke unemployment than to disappoint the rentier. But it is not necessary that we should weigh one evil against the other. It is easier to agree that both are evils to be shunned”.

“L’inflazione è ingiusta e la deflazione è sconveniente. Delle due forse la deflazione, se escludiamo inflazioni spropositate come quella della Germania [nei primi anni della Repubblica di Weimar], è la peggiore: perché è peggio, in un mondo indigente, provocare disoccupazione che deludere chi vive di rendita. Ma non è necessario che noi confrontiamo un male con l’altro. E’ più semplice concordare che entrambi i mali debbano essere evitati”.

Entrambe possono essere evitate, infatti: sia la deflazione che l’inflazione spropositata. Basta che i governi gestiscano in modo appropriato la quantità di potere d’acquisto in circolazione nell’economia. Non ci sono motivi tecnici per cui questo non debba essere possibile, come è noto a chi segue questo blog fin dai suoi primissimi articoli.

Ci sono invece ragioni istituzionali e politiche, che sono il riflesso in parte di incompetenza, in parte di avidità, in parte di malafede da parte delle élites che oggi condizionano massicciamente la gestione delle economie, in particolare nell’Eurozona.

Condizionamenti difficili da superare. Ma non è impossibile, e presto o tardi ci si riuscirà.

giovedì 14 marzo 2019

La "Belt and Road Initiative"


In moltissimi si chiedono, e alcuni di conseguenza chiedono anche a me, che opinione ci si possa fare in merito all’annunciata partecipazione italiana al megaprogetto cinese, noto come Belt and Road Initiative (BRI) o anche come Nuova Via della Seta.

La mia risposta è che al momento faccio fatica a formarmi un giudizio, semplicemente perché si sta parlando della firma di un memorandum d’intesa piuttosto vago nei contenuti e di carattere, a quanto pare, del tutto non vincolante.

Resta il fatto che l’amministrazione USA (e anche la UE, per quanto in maniera più soffusa nei toni) ha espresso preoccupazione e si è detta, senza mezzi termini, infastidita dal fatto che un paese del G7 come l’Italia si accinga, in qualche modo, a sostenere i progetti di espansione mondiale dei cinesi.

Non sarebbe una buona notizia se in qualche modo si deteriorassero i rapporti italiani con gli USA, tenuto anche conto che Trump ha fin qui espresso molta simpatia per il governo Conte.

Ha anche ragione, d’altra parte, chi fa notare che tutti gli altri paesi del mondo in realtà fanno affari e collaborano con la Cina. Che cosa ci sia nella BRI di più minaccioso rispetto a quanto già avviene non mi è chiaro.

Allo stesso modo, tuttavia, non so giudicare se la BRI – che in larga misura si impernia su grandi progetti infrastrutturali, soprattutto marittimi e ferroviari – possa essere un importante volano di alimentazione per gli investimenti in Italia, tale da dare una necessarissima spinta alla domanda interna.

Una cosa comunque va notata. Se devono affluire in Italia risorse finanziarie che rilancino produzione e occupazione, le strade sono due: reperirle all’esterno o crearle all’interno.

La creazione interna è una strada possibilissima, modificando la governance dell’eurosistema: via impercorribile se si cerca il consenso dei partner, Germania in primis; immediatamente attivabile, invece, se si parte con il progetto MF / CCF, che non richiede nessun consenso né nessuna modifica dei trattati.

La valenza della Moneta Fiscale è ben più certa e rapida dei benefici che l’Italia potrebbe ottenere dalla BRI. Non ci si decide a lanciarla, con ogni probabilità, perché troppi gruppi d’interesse, esterni e interni al paese, la osteggiano.

Fare sponda sugli USA, da questo punto di vista, potrebbe essere estremamente utile. Se l’amministrazione Trump fa valere il suo peso politico – e non deve fare nient’altro se non esprimere il proprio apprezzamento per il progetto, implicitamente facendo sapere alla UE che “gradisce” se non si mette di traverso - la Moneta Fiscale può diventare realtà in tempi rapidissimi.

Con ricadute positive, sull’economia italiana, molto più certe e veloci rispetto alla BRI.

Quello che farei al posto di Conte è rassicurare in tutte le maniere possibili gli USA in merito alla natura non lesiva dei loro interessi della futura partecipazione italiana alla BRI. E in cambio ottenere la loro “dichiarazione di apprezzamento” – e lanciare la MF.


martedì 12 marzo 2019

Gli immaginari problemi dell'Italia


L’Italia, dice Stefano Sylos Labini, “è in preda a un pessimismo autodistruttivo: qualsiasi cosa non serve a nulla e non funzionerà [nella mente di buona parte dell’opinione pubblica, s’intende]. Abbiamo sperato che l’adesione all’euro risolvesse parecchi nostri problemi ma non è stato così”.

Riflessioni su quest’ultimo punto. Non serviva alcuna particolare dote o intuito per comprendere che l’euro non avrebbe risolto proprio nulla ma anzi, con fortissima probabilità, creato problemi – e molto, molto gravi.

Bastava aver letto che cosa ne pensavano grandi economisti di tutte le tendenze e di tutte le scuole di pensiero – il monetarista Friedman, il neokeynesiano Dornbusch, il postkeynesiano Godley, e parecchi altri.

Se il progetto euro è stato accettato, inizialmente, con tanto entusiasmo in Italia lo si deve (almeno in buona parte) alla nostra atavica tendenza a ritenerci un paese “inadeguato”, che ha bisogno di importare dall’esterno modelli di pensiero e schemi di comportamento per risolvere chissà quali carenze.

Quali problemi avrebbe mai dovuto risolvere l’euro ?

Il debito pubblico – che problema è, o può diventare, quando lo denomini in una moneta che non emetti (come appunto l’euro), non quando è espresso nella tua ?

L’inflazione – che esauriti gli effetti delle crisi petrolifere, dagli anni Ottanta in poi stava rapidamente scendendo, da noi come del resto in tutto il mondo ?

In Italia abbiamo l’abitudine di vedere problemi immaginari, o comunque non così gravi, o in procinto di risolversi da sé. E poi di cercare di “risolverli” creando, invece guai veri.

Abbiamo il difetto di non credere alle nostre potenzialità, alle valenze delle nostre originalità, dell’ineguagliabile capacità di essere creativi, flessibili e innovativi. Potenzialità e doti che tutto il mondo, al contrario, ci riconosce.

Ad eccezione, chissà perché, di noi stessi.


sabato 9 marzo 2019

MMT e "frequent flyers miles"


Dopo quella di John T. Harvey e dei pneumatici da gonfiare, un’altra metafora molto utile per capire la MMT. Contributo, questa volta, di Joe Weisenthal di Bloomberg.

“A state issuing money is like a airline issuing frequent flyer miles. It can’t run out of miles but it can devalue them, by issuing so many such that there aren’t enough seats on the plane to accomodate flyers. MMT reframes the spending debate around real resource constrains”.

“Uno stato che emette moneta è come una compagnia aerea che emette “miglia” a favore dei suoi clienti abituali. Non può esaurire le miglia, ma può svalutarle emettendone così tante che non c’è abbastanza posto sull’aereo per far sedere tutti i passeggeri. La MMT riformula il dibattito sulla spesa [pubblica] in termini di limitazioni di risorse reali”.

Un concetto su cui riflettere, magari avendo in mente anche questo post, che sviluppa riflessioni non proprio identiche, ma collegate.

giovedì 7 marzo 2019

MMT e pneumatici da gonfiare


Raccomando a tutti la lettura di questo eccellente articolo di John T. Harvey sulla polemica che si è recentemente accesa tra vari economisti MMT (in primo luogo Stephanie Kelton) da una parte, e parecchi “keynesiani mainstream”, tra cui Krugman, Summers, Rogoff (e anche il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell) dall’altra.

Spero che qualcuno trovi il tempo di tradurlo in italiano. A me in questo periodo risulta difficile, ma do un (piccolo) contributo con la seguente versione del punto 13, che ho trovato particolarmente appropriata e illuminante:

“Queste politiche (quelle raccomandate dalla MMT) sono inflazionistiche solo quando ci si trova in condizioni di pieno impiego e si cerca si spingere la domanda al di sopra della capacità produttiva. Tuttavia, dato che l’obiettivo è appunto il raggiungimento del pieno impiego, non c’è ragione di continuare oltre quel punto. E’ un po’ come dire che se continuate a soffiare aria in uno pneumatico, alla fine scoppierà. Certo, e questa è la ragione per cui (a un certo punto) smettete. Lo scopo è solo di poter continuare a guidare”.

Per cui, il fatto che soffiando aria in uno pneumatico oltre un certo punto scoppierebbe, non è una ragione per lasciarlo sgonfio.

Un modo efficace e anche simpatico di esporre i concetti di cui a questo post.


lunedì 4 marzo 2019

Gli autogol di Giampaolo Galli


Giampaolo Galli, parlamentare PD nella scorsa legislatura, europeista di ferro con tanto di bandiera UE nella schermata di presentazione del suo twitter account, lo scorso 28 febbraio senza volerlo e senza accorgersene ha pubblicato un fortissimo atto di accusa nei confronti dell’eurosistema.

L’ha fatto con questo tweet: “Se fanno la manovra correttiva la recessione si aggrava. Se fanno la manovra espansiva sale lo spread per l’assenza di un progetto a medio termine per crescita e debito pubblico e la recessione si aggrava lo stesso. Questo è l’orrendo pasticcio in cui ci hanno cacciati”.

A suo parere, il soggetto della frase “ci hanno cacciati” è il governo attualmente in carica. In realtà, è la UE, nonché il sistema dei trattati che governano l’eurosistema.

E’ l’eurosistema, infatti, che prescrive sempre e comunque leggi di bilancio con un’impostazione restrittiva, anche a un paese come l’Italia che soffre da oltre dieci anni di una pesantissima depressione da domanda.

E’ l’eurosistema che sulla base di considerazioni totalmente cervellotiche e infondate ha il coraggio di sostenere che l’Italia è vicina al pieno impiego delle sue risorse produttive, quando invece soffre di gravissimi livelli di disoccupazione e sottoccupazione.

E’ l’eurosistema che pretende di imporre agli stati di finanziare i deficit di bilancio con titoli emessi in una moneta fuori dal controllo degli stati stessi, soggetta quindi a tensioni speculative potenzialmente distruttive.

Galli queste cose le dovrebbe sapere, e implicitamente in qualche modo nel suo tweet le riconosce. Precisa infatti che una manovra espansiva farebbe salire lo spread non in quanto in sé sbagliata in questa situazione congiunturale, ma a causa dell’”assenza di un progetto a medio termine per crescita e debito pubblico”.

Ma questa affermazione è in contrasto con i comportamenti degli euroburocrati. Che non hanno criticato la legge di bilancio italiana per l’assenza di un progetto di crescita. Non hanno detto, ad esempio, “più deficit non ci va bene se usato per reddito di cittadinanza e riduzione dell’età pensionabile, ma saremmo d’accordo se finanziasse più investimenti e meno tasse alle imprese”.

Esiste, per loro, solo il dogma che il deficit pubblico debba essere ridotto sempre e comunque, nonostante i catastrofici risultati che questa ricetta ha prodotto in Italia soprattutto tra il 2011 e il 2013 – nel periodo, appunto, in cui i governi in carica hanno agito con la massima osservanza delle ricette di Bruxelles.

E se dipendesse solo da Bruxelles, queste ricette verrebbero riproposte pari pari. Con gli applausi di Galli, ovviamente.


venerdì 1 marzo 2019

CESifo e i CCF


In un suo recente rapporto sull’economia europea, CESifo, uno dei più noti istituti di ricerca tedeschi, dedica una certa quantità di spazio (pagine da 68 a 70) ai nostri CCF, in inglese denominati Tax-Credit Certificates (TCC).

Personalmente apprezzo l’interesse dimostrato, ma ritengo necessario far notare che il rapporto contiene parecchie imprecisioni.

Prima di entrare nel merito della nostra proposta, a pagina 66 il report esamina alcuni precedenti storici, commentando che “they have a mixed track record”. L’analisi però commette un errore di omissione molto grave, perché cita parecchi esempi ma si scorda totalmente del caso di maggior successo, i MEFO bills di Hjalmar Schacht (anche se quantomeno evita lo sfondone clamoroso di qualcuno che, a dispetto di ogni evidenza storica, addirittura affermava - vedi l'ultimo punto di questo post - che si era trattato di un fallimento…).

Entrando nello specifico, vale anche la pena di notare che a detta degli autori del report l’esame della proposta CCF (come anche dei MiniBOT di Claudio Borghi) is “largely based” su un articolo di tale Papadia del Bruegel Institute (un altro istituto di ricerca, fortemente europeista). Il che è probabilmente all’origine di molti fraintendimenti e imprecisioni. Ma perché analizzare una proposta sulla base di un fonte di seconda mano, quando da anni io e miei colleghi del Gruppo Moneta Fiscale scriviamo diffusamente in merito (abbiamo pubblicato due libri e solo questo blog comprende circa 800 articoli, in grande maggioranza dedicati al progetto Moneta Fiscale / CCF ?).

Ad ogni modo:

CESifo scrive, in merito ai TCC, che “the program would stop after four years”. Non è così: l’emissione di CCF cresce gradualmente e si prevede che raggiunga il suo livello massimo al terzo (non al quarto) anno, ma poi prosegue nella misura necessaria a raggiungere gli obiettivi di massima occupazione compatibili con la stabilità monetaria. I CCF sono uno strumento flessibile e sono modulabili in funzione delle circostanze: non è da escludere che un futuro divengano meno necessari e che quindi le quantità emesse possano anche scendere, o addirittura azzerarsi in condizioni di crescita economica particolarmente sostenuta. Ma il programma proseguirà per tutto il tempo necessario, e resterà quindi uno strumento a piena disposizione dei decisori politici.

Troviamo poi detto che “The author of the proposal argue that even although there will be no legal obligation for private parties to accept payments in TCCs in exchange for goods and services, this may happen if payment infrastructure allows for their circulation as electronic securities. The motivation behind the idea of using electronic form for TCCs is not explained. One possibility is that in this way they would be less likely to be treated as a parallel currency by the ECB then if they were in paper form (the MiniBOT). However, they would also be more readily used for criminal activities (see the next subsection)".

L’idea di emettere CCF in forma elettronica è esclusivamente dettata da considerazioni di efficienza e praticità, e non ha nulla a che vedere con quanto possa o non possa affermare la BCE (i CCF non violano in alcun modo il suo monopolio in merito all’emissione di moneta ad accettazione obbligatoria). Quanto all’”utilizzo per attività criminali” gli autori dello studio fanno confusione: il rischio (a loro dire) si applica alle criptovalute, ma noi non stiamo proponendo l’emissione dei CCF in modalità “cripto”.

Più avanti, si afferma che “while the issuer is committed to redeem these securities, the redemption is not against the money (euro) and is, therefore, of lower value than standard BOTs”. Ma gli autori non tengono conto di un punto molto chiaro della nostra proposta:  è vero che i CCF non danno diritto a ricevere euro ma riduzioni di tasse; finché, tuttavia, i CCF che giungono a maturazione anno dopo anno sono di dimensione molto inferiore al gettito fiscale lordo del settore pubblico italiano (ed è così, con uno scarto enorme) in pratica la differenza di valore tra un BOT a due anni e un CCF a due anni sarà minima.

Ancora: “[the CCF] holders would… be forced to trade them prior to maturity in case of financial needs… [which] would shift wealth from budget-constrained tax-payers towards agents able to speculate on the value of these securities”. Questa affermazione ignora completamente quanto citato al punto precedente (alti sconti sono da escludere perché i CCF che arrivano a maturazione sono solo una piccola parte del gettito lordo) e sembra anche supporre che chi riceve i CCF li debba pagare (altrimenti da dove nasce il “wealth shift” ?) mentre, al contrario, li ottiene gratuitamente. Anche nell’inverosimile caso in cui CCF per un valore nominale di 100 fossero trattati sul mercato per esempio a 80, quell’80 sarebbe comunque reddito addizionale per il ricevente. "Wealth increase", non "wealth shift".

Si afferma poi che “there would be no competitiveness gain as the wage level would remain unchanged”, ignorando un punto chiave della proposta – l’allocazione di una parte dei CCF alle aziende, a riduzione del costo effettivo del lavoro.

Una delle affermazioni più curiose, poco più avanti, è che “these proposals would not provide anything – from the purely technical point of view – that euro-cash and standard government bonds cannot already provide”. Grazie tante: è proprio perché l’attuale struttura dell’eurosistema impedisce agli stati azioni espansive della domanda (sia mediante “euro-cash” che per il tramite di “standard government bonds”), anche quando l’economia è in depressione da più di dieci anni (come ahinoi l’Italia), che abbiamo elaborato la nostra proposta !

Gli autori dimostrano poi di non conoscere trattati e regolamenti Eurostat, affermando che “TCC are tools for increasing the government deficit… from an accounting point of view, this is obvious since these IOUs would be distributed without any counter-payment from their receiver”. Tre sfondoni in poche righe: primo, i CCF non sono IOUs; secondo, sono non-payable tax credits che Eurostat identifica incontrovertibilmente come NON debito; e terzo, en passant che c’entra l’assenza di un “counter payment” ? BOT e BTP, che sono debito, vengono collocati sul mercato proprio a fronte di un pagamento

Insomma: apprezzo l’impegno degli economisti di CESifo. Ma se fossi il loro professore universitario non potrei che congederli con un “approfondisca e ci vediamo al prossimo appello…”.