Scambiando
opinioni qualche giorno fa con Claudio Nesti, è emerso il tema dei tempi di
reazione sull’economia di un’azione espansiva della domanda.
In altri
termini, se immetto potere d’acquisto aumentando la spesa pubblica o i
trasferimenti, oppure diminuendo le tasse, mi attendo un beneficio su
produzione e occupazione.
Questo beneficio
richiede che esistano massicce quantità di capacità produttiva inutilizzata: se
l’economia fosse in situazione di pieno impiego l’effetto sarebbe sui prezzi
(quindi si creerebbe inflazione indesiderata), non sulle quantità prodotte e vendute.
Ma il sottoutilizzo della capacità produttiva – che va di pari passo con elevate
disoccupazione e sottoccupazione – è esattamente la situazione odierna dell’Italia.
Detto ciò, il beneficio
in quali tempi si concretizza ? immediatamente ? in pochi mesi ? in un anno ?
in parecchi anni ? Nelle varie analisi e simulazioni effettuate riguardo al progetto CCF, si è sempre supposto che si verifichi entro i dodici mesi
successivi all’immissione di domanda nell’economia.
Più a lungo termine,
ci saranno con ogni probabilità ulteriori vantaggi in conseguenza del riavvio
degli investimenti privati: ma questo avverrà molto più gradualmente, via via
che si riassorbirà la capacità inutilizzata e le aziende avranno quindi stimolo
e interesse a investire, non solo a riavviare gli impianti fermi o che comunque
oggi funzionano a basso regime.
Ma l’impatto
diretto, dicevo, è stato stimato aver luogo entro dodici mesi.
La plausibilità
di questa stima è rafforzata dal fatto che tra il 2011 e il 2012 è avvenuto,
proprio (ahinoi) in Italia, un “esperimento naturale” in cui una violenta
azione fiscale (di segno opposto, contrazione invece di espansione) è stata
effettuata in omaggio alle “prescrizioni” UE.
Le azioni
restrittive, condotte soprattutto mediante aumenti di tasse e riduzioni di
trasferimenti, hanno avuto luogo grosso modo in tre fasi. La prima nel secondo
trimestre 2011; la seconda a fine estate; e la terza (la più violenta) a inizio
2012, dal governo Monti appena insediato.
Lo scopo era
“riportare sotto controllo lo spread”: come è noto, un fallimento totale. Lo
spread era ancora a 500 punti nel luglio 2012 ed è sceso in modo permanente solo
quando, finalmente, la BCE si è decisa a fornire ai mercati una garanzia realmente
ferma e credibile in merito alla sua volontà di agire per evitare la rottura
dell’euro (il famoso “whatever it takes”
di Draghi).
Ma gli impatti
sull’economia reale italiana si stavano purtroppo producendo, perché il segno
delle azioni fiscali restrittive non è certo stato invertito. E come si vede da
questo ormai celebre (o famigerato) grafico, il PIL italiano ha iniziato
IMMEDIATAMENTE a flettere in corrispondenza del primo pacchetto restrittivo
(secondo trimestre 2011) per poi continuare fino, grosso modo, a inizio 2013 (un anno dopo l’ultima pesantissima azione di Monti).
Da lì in poi si
è smesso di violentare ulteriormente (quantomeno, non più in modo così feroce e
dissennato) la domanda interna italiana, e la curva del PIL si è stabilizzata.
Sventuratamente,
la stabilizzazione è avvenuta a livelli ben più bassi dei precedenti, con il
connesso effetto di disoccupati, aziende fallite, esplosione di persone gettate
in povertà. Per poi lasciar posto, dal 2014 in poi, alla modestissima attuale “ripresa”
a ritmi dello zero virgola o dell’uno virgola, del tutto insufficienti ad
alleviare il pesantissimo disagio sociale prodotto dalla crisi.
I pacchetti di
euroausterità del 2011-2012 danno comunque un’indicazione molto chiara in
merito ai tempi di impatto di un’azione sulla domanda: iniziano in modo
pressoché immediato, e sviluppano pienamente i loro effetti (quelli diretti,
gli effetti indotti sugli investimenti sono più lenti e graduali) entro,
all’incirca, un anno.
Sempre lucidissimo
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