Molti paesi dell’Eurozona,
e in particolare (purtroppo per noi) l’Italia, continuano a essere afflitti da
un altissimo, inaccettabile livello di disoccupazione e sottoccupazione.
Il problema
potrebbe essere facilmente e rapidamente risolto immettendo potere d’acquisto
nel sistema economico. Un ampliamento della spesa pubblica e una riduzione del
carico fiscale stimolerebbe la domanda e di conseguenza la produzione e l’occupazione.
E non c’è da
temere una risalita dell’inflazione a livelli indesiderati, perché la
produzione (quindi l’offerta) salirebbe di pari passo con la domanda, appunto
in quanto esiste un potenziale produttivo oggi pesantemente sottoutilizzato.
Tutto questo può
essere ottenuto anche mantenendo in essere l’euro e rispettando trattati e
regolamenti UE, purché venga adottato il progetto Moneta Fiscale / CCF.
Un’obiezione che
viene di tanto in tanto formulata è che le persone e le aziende inattive si
trovano nell’attuale situazione perché sono in grado di produrre (per citare un
mio interlocutore twitter) “soltanto beni e servizi che nessuno vuole: ecco perché
si deve investire in innovazione. Posso avere i soldi ma nessuno mi convincerà
a comperare una TV a tubo catodico”.
Per smontare
questa obiezione, è sufficiente soffermarsi su quanto è accaduto nel periodo
immediatamente precedente e immediatamente successivo al fallimento Lehman
Brothers, che è stato il momento chiave della crisi finanziaria mondiale 2008-2009.
Vediamo in
particolare i tassi di disoccupazione USA nei mesi sottoindicati:
Marzo 2007
(minimo pre-crisi) 4,4%
Aprile 2008 5,0%Settembre 2008 (fallimento Lehman) 6,1%
Maggio 2009 9,4%
Ottobre 2009 (massimo post- Lehman) 10,0%
La
disoccupazione USA è salita di 5,6 punti percentuali tra marzo 2007 e ottobre
2009, quindi in poco più di due anni e mezzo.
E circa l’80% di
questo incremento – 4,4 punti percentuali – si è verificato in tredici mesi, da
aprile 2008 a maggio 2009.
In quel periodo,
la forza lavoro USA (persone occupate più persone attivamente alla ricerca di
lavoro) era pari a circa 140 milioni. Il 4,4% di 140 fa oltre sei milioni.
E sei milioni è
sicuramente una stima per difetto dei posti di lavoro persi. Come sempre
avviene in condizioni di crisi, molti hanno rinunciato a cercare lavoro (date
le difficoltà del contesto economico), e molti altri sono stati costretti contro
la loro volontà ad accettare impieghi part-time, interinali o precari.
Ora, vi sembra
plausibile che in poco più di un anno oltre sei milioni di persone, negli USA,
siano improvvisamente diventate incapaci di “produrre beni e/o servizi che qualcuno
voleva” ?
E’ invece
accaduto, semplicemente, che la crisi del sistema creditizio ha bloccato la
circolazione di potere d’acquisto, contratto ordini e produzione delle aziende,
e forzato gli imprenditori a comprimere i costi.
Gli USA sono poi
usciti da questa pericolosissima situazione compensando la caduta del credito
privato con un’espansione dei deficit di bilancio pubblico. Il governo ha
immesso nel sistema la capacità di spesa che i privati stavano riducendo.
La ragione per
cui gli USA sono usciti dalla crisi (che pure era iniziata proprio nel loro
paese) e l’Italia no, sta proprio nel fatto di aver esercitato un’azione
anticiclica sulla domanda.
Azione
anticiclica che da noi invece è stata attuata in misura molto più modesta, e a
partire dal 2011, “grazie” alle regole dell’eurosistema e alle sciagurate “prescrizioni”
provenienti dalla UE, è stata addirittura rovesciata, lasciando il posto a un
violento intervento restrittivo sul
bilancio pubblico. Quanto di più insensato si poteva concepire, in quel
contesto.
La “spiegazione
attitudinale” della crisi e della disoccupazione non spiega proprio niente. Le
azioni di politica economica fanno invece comprendere molto bene che cosa si è
sbagliato, e che cosa va corretto.