Biagio Bossone / Marco Cattaneo / Massimo Costa / Stefano Sylos Labini
La depressione
dell’economia italiana dura da anni e non accenna a risolversi. A prezzi
costanti, il PIL italiano 2018 è stato inferiore
di circa 80 miliardi di euro rispetto al 2007 – un decremento del 4% ! Nel medesimo periodo, le esportazioni sono
aumentate dell’11% - non una prestazione stellare in undici anni, ma comunque
una chiara indicazione che il problema principale è la carenza di domanda
interna. Se il PIL italiano fosse cresciuto allo stesso ritmo delle
importazioni, oggi sarebbe più elevato del 15% circa - oltre 250 miliardi di
euro.
Questa situazione genera un tasso di disoccupazione U-6 (che prende in considerazione
anche gli scoraggiati nonché i lavoratori involontariamente part-time) vicino al 30%.
Indiscutibilmente, esiste un enorme output
gap.
Il 2019 non si
presenta certo sotto auspici più favorevoli, anche a causa del generale
rallentamento delle economie mondiali (e in particolare dell’Eurozona). Tra
l’altro, le aspettative incerte sul futuro dell’economia tendono a limitare
consumi e investimenti, tengono bloccato l’ingente risparmio della popolazione
italiana (1.370 miliardi di conti correnti su un totale di 4.300 miliardi di
attività finanziarie), restringono il credito bancario e abbassano la velocità
di circolazione di moneta nell’economia, alimentando ulteriormente il circolo
vizioso.
L’economia
italiana sicuramente soffre anche di altri problemi. La crescita della
produttività è irrisoria da vent’anni a questa parte. Ma di nuovo, almeno in
parte questo nasce dalla depressione della domanda. In termini reali, gli investimenti
sono stati inferiori di oltre il 15% nel 2018 rispetto al 2007. La bassa
domanda del settore privato, le restrizioni alla spesa pubblica, e il basso
impiego della capacità produttiva esistente producono effetti negativi e
perduranti su investimenti e produttività.
Il governo in
carica sta cercando di immettere più potere d’acquisto nell’economia, ma i
vincoli fiscali lasciano pochissimo spazio di azione. Si può discutere se il
reddito di cittadinanza e la “quota 100” sulle pensioni siano le forme
d’intervento più adeguate, ma il problema di gran lunga più grave è che la
dimensione assoluta di queste manovre è del tutto insufficiente.
Dato che i
vincoli fiscali impediscono di reflazionare la domanda emettendo debito, e
poiché la politica monetaria non può diventare più accomodante di quanto sia
già oggi, è necessaria una strada alternativa. La Moneta Fiscale è lo strumento
necessario.
La nostra
proposta è che il governo emetta titoli trasferibili e negoziabili, che i
possessori potranno usare, a partire da due anni dopo l’emissione, per
conseguire sconti fiscali. Questi titoli avranno immediatamente valore in
quanto incorporano diritti certi a risparmi d’imposta futuri, e potranno essere
immediatamente scambiati contro euro o utilizzati come strumenti di pagamento
(in parallelo all’euro) per acquistare beni e servizi.
La Moneta
Fiscale verrebbe assegnata, senza corrispettivo, per integrare i redditi dei
lavoratori, finanziare investimenti pubblici e programmi di spesa sociale, e
ridurre il cuneo fiscale sul lavoro in favore delle aziende. Queste
assegnazioni incrementerebbero la domanda interna e (replicando gli effetti di
una svalutazione del cambio) migliorerebbero la competitività delle aziende. L’output gap verrebbe colmato senza
peggiorare i saldi commerciali esteri del paese.
Va notato che in
base ai principi contabili internazionali, questi titoli fiscali non
costituirebbero debito, in quanto l’emittente non assumerebbe alcun obbligo di
rimborsarli in euro. Sulla base delle regole Eurostat, quindi, verrebbero
trattati come “non-payable deferred tax
assets” e non avrebbero impatti sui conti pubblici fino al loro utilizzo per
conseguire sconti fiscali (cioè due anni dopo l’emissione, quando produzione e
gettito avranno recuperato).
Sulla base di
ipotesi molto prudenziali (moltiplicatore fiscale pari ad 1 e ripresa degli
investimenti privati in misura tale da recuperare metà della caduta rispetto al
2007) l’incremento del PIL produrrebbe gettito fiscale incrementale sufficiente
a compensare gli sconti fiscali. Questi ultimi raggiungerebbero un massimo di
100 miliardi annui, che si confronta con oltre 800 di entrate totali del
settore pubblico italiano. Il rapporto di copertura (cioè le entrate pubbliche
lorde divise per gli sconti fiscali che diventano utilizzabili ogni anno)
sarebbe più che sufficiente per gestire eventuali ammanchi dovuti a future
recessioni.
Si tratta della
pietra filosofale ? no davvero: semplicemente, in un’economia con un forte
sottoutilizzo delle risorse produttive, immettere potere d’acquisto spinge
principalmente la produzione, e solo marginalmente i prezzi. E se le
dispersioni esterne sono sotto controllo (come consentito dal miglioramento di
competitività) l’effetto moltiplicativo è ai massimi. La Moneta Fiscale
mobilita risorse inutilizzate, accelera gli investimenti e spinge le banche a far
ripartire il credito.
Attivando un
programma di Moneta Fiscale, l’Italia risolverebbe il suo problema di output gap senza chiedere nulla a
nessuno. Non sarebbero necessarie revisioni dei trattati, né trasferimenti
finanziari (che peraltro non sono nemmeno contemplabili). Il debito pubblico
smetterebbe di incrementarsi e inizierebbe a declinare in percentuale del PIL,
realizzando così gli obiettivi del Fiscal Compact. Le finanze pubbliche
sarebbero del tutto sostenibili, data la stabilizzazione del debito e la
ripresa della crescita.
Peraltro,
seppure l’Italia peggiorasse in futuro la sua disciplina fiscale ed emettesse
un eccesso di Moneta Fiscale, solo i riceventi ne verrebbero danneggiati: il
valore dello strumento scenderebbe ma senza impatti sull’euro e senza che si
creino rischi di default. Oltretutto,
se dovessero crearsi carenze temporanee di entrate, potrebbero essere attivate
misure di salvaguardia quali, ad esempio, il finanziamento di alcune spese con
titoli fiscali (in luogo di euro), un innalzamento del prelievo fiscale
compensato da assegnazioni supplementari di titoli fiscali, incentivi ai
possessori di titoli per posporne l’utilizzo, o il collocamento di titoli
fiscali per rifinanziare debito in scadenza. Sono misure che eviterebbero effetti
pro-ciclici e incertezze di mercato.
In ogni caso,
l’ampiezza del rapporto di copertura sopra descritto rende questo scenario del
tutto improbabile. Inoltre, è giusto ricordare che l’incapacità italiana di
controllare le finanze pubbliche è un mito. Tra il 1998 e il 2018, l’Italia è
stato l’unico paese dell’Eurozona a non conseguire mai deficit primari di
bilancio pubblico salvo che nel 2009. Casomai l’Italia ha sofferto di un eccesso di contenimento dei deficit pubblici
e, di conseguenza, di un pesante impatto negativo sulla produzione.
Una forte
ripresa dell’economia italiana (e verosimilmente di altri paesi meridionali
dell’Eurozona, che potrebbero replicare lo schema Moneta Fiscale) è una
precondizione indispensabile per la cooperazione efficace ed armoniosa delle
economie europee. La Moneta Fiscale è lo strumento appropriato per raggiungere
questo obiettivo.
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