lunedì 29 giugno 2020

Il “Codice Draghi” e gli europeisti ingenui


Non conosco di persona Mira Spicola se non tramite contatti twitter. A quanto mi risulta, è stata dirigente nazionale del PD fino al 2016, occupandosi principalmente di scuola e di pubblica istruzione.

Sembrerebbe essere una fervente europeista, a giudicare dalla bandierina blu con le stelle, che nel suo profilo twitter compare insieme al (ma prima del) tricolore italiano.

Pochi giorni fa comunque ho intercettato questo suo tweet, dove si invoca (citando un articolo di Carlo Verdelli) l’applicazione del “Codice Draghi” per risolvere i problemi della pubblica istruzione italiana.

Il “Codice Draghi” a quanto capisco sarebbe il whatever it takes: l’impegno a fare “qualsiasi cosa, nei limiti dei mandati” per preservare l’integrità dell’eurosistema.

Non ho motivo per dubitare della sincerità e dell’appassionato fervore con cui Mira Spicola sostiene l’avanzamento del sistema scolastico italiano.

Appunto perché non dubito della sincerità e dell’appassionato fervore, mi corre però l’obbligo (come dicono gli avvocati) di segnalare che Mira Spicola dimostra, nel caso specifico, un considerevole livello di ingenuità.

Perché sicuramente la pubblica istruzione giustifica ogni migliore sforzo per portarla ai più elevati livelli possibili.

Come lo giustifica la sanità pubblica.

Come lo giustificano gli investimenti in infrastrutture.

E parecchie altre cose ancora.

Però, gentile Mira Spicola e gentili europeisti, se invocate il “Codice Draghi” prendete nota che se Mario Draghi ha potuto fare certe cose, è stato grazie al fatto che in quel momento aveva a sua disposizione (in qualità di presidente BCE) la macchina da stampa della moneta.

Altrimenti di “Codice Draghi” e di “whatever it takes” non si parlerebbe affatto.

Ora, la macchina da stampa delle lire è stata disattivata in nome delle magnifiche sorti, e progressive, della moneta unica europea.

Se l’Italia non riattiva una macchina da stampa – che può anche non essere quella delle lire, ma ad esempio invece quella dei CCF – invocare il “Codice Draghi” per la scuola pubblica italiana ha la stessa logica che credere alla fata del dentino, e la stessa utilità che abbaiare alla luna.

Capisco che occuparsi di pubblica istruzione non implica conoscere la macroeconomia e i vincoli di un sistema monetario come quello imperniato sull’euro, però il “Codice Draghi” non l’ho tirato in ballo io…


giovedì 25 giugno 2020

La Moneta Fiscale è l’unica strada


I tedeschi e gli altri paesi del Nord eurozonico continuano a mostrarsi terrorizzati dal rischio di dover rimborsare il debito pubblico italiano. O in alternativa, dal rischio di un catastrofico scenario di default, con i suoi effetti a catena sull’intero sistema finanziario europeo e mondiale.

I piani proposti dalla UE (MES, SURE, BEI, e dulcis in fundo il Recovery Fund) NON sono, tuttavia, in alcun modo soluzioni minimamente sensate per questo problema. Sono sostanzialmente partite di giro: soldi erogati a fronte di contributi o garanzie che gli stati stessi devono fornire. Interessano solo chi vuole assoggettare, ancora più di oggi, la politica economica italiana alle istruzioni di Bruxelles.

Istruzioni che non hanno minimamente migliorato la situazione della finanza pubblica italiana; in “compenso” hanno devastato il tessuto economico del paese.

Evitare il default è tecnicamente semplicissimo. Basta che la BCE garantisca incondizionatamente il debito pubblico italiano (e degli altri paesi).

Ma il sostegno illimitato della BCE contrasta con i trattati. Una soluzione parziale è stata partorita da Mario Draghi con il “whatever it takes”, con un gioco di equilibrio su un crinale estremamente stretto.

Così stretto che la recente sentenza della Corte Costituzionale tedesca ha sollevato pesanti dubbi sulla costituzionalità (ai sensi della legge fondamentale della Germania) della partecipazione Bundesbank ai programmi BCE. E’ stato, di conseguenza, avviato un percorso che potrebbe addirittura portare alla spaccatura dell'Eurozona.

Il che sarebbe una via per risolvere il problema. Ma dal nostro punto di vista, come Italia, siamo spettatori passivi di queste dinamiche.

Se per problemi operativi e politici il break-up dell’euro non è un’alternativa percorribile, rimane una sola possibilità.

L’avvio, da parte in primo luogo dell’Italia, di un programma di Moneta Fiscale, dimensionato in maniera tale da portare domanda, produzione e PIL a livelli di piena occupazione delle risorse produttive.

Unito a ciò, impegno inderogabile a ridurre il rapporto debito pubblico / PIL, anno dopo anno, per esempio dal livello stimato per fine 2020 (160%) al 60% nel giro di vent’anni. Che poi è l’obiettivo del Fiscal Compact.

La Moneta Fiscale non rientra nel debito pubblico. E' un non-defaultable asset. Non è debito da rimborsare in euro. Non è debito ai sensi dei principi contabili. Non è debito ai sensi dei trattati.

Se l’Italia ne emetterà in eccesso (eventualità peraltro remotissima), potrà al massimo esserci in problema di svilimento della Moneta Fiscale, non un rischio di default.

I mercati finanziari, in presenza di un debito defaultable dell’Italia che cala costantemente in proporzione al PIL, non potranno che tranquillizzarsi.

E l’Italia, finalmente, avvierà una potente e duratura ripresa produttiva e occupazionale.

Altre vie per uscire dal vicolo cieco attuale semplicemente non esistono.


lunedì 22 giugno 2020

Un problema in più per il Recovery Fund


Il Recovery Fund è un bidone, ve l'ho detto e ripetuto. Non arriverà un centesimo in più da spendere, arriveranno invece vincoli ulteriori per spendere un pezzo dei soldi che il governo italiano avrebbe comunque a disposizione.

Facendo comunque finta che si trovi un accordo per mettere a nostra disposizione i fantastiliardi di cui i media filo-UE favoleggiano, credo opportuno sottolineare un tema non marginale.

L’erogazione viene condizionata a progetti d’investimento, che se diamo retta a quanto emerso dagli Stati Generali villapamphileschi dovrebbero modernizzare, digitalizzare, greennewdealeare eccetera eccetera il paese.

Ora, c’è un problema generale che tocca i piani di rilancio economico imperniati sugli investimenti pubblici.

Il problema è che gli investimenti pubblici hanno tempi di definizione e di attuazione che non sono mai immediati.

Colpa dell’italica burocrazia, che Conte si impegna a sfoltire e semplificare ? in parte sì e può magari essere che in qualche misura ci riesca (a sfoltirla).

Ma per gli investimenti effettuati con soldi (in realtà nostri ma nominalmente) di provenienza UE, all’italica burocrazia si aggiunge l’europica burocrazia. Che è pure peggio (molto). E che Conte non può fare nulla per sfoltire e semplificare.

Infatti l’house-organ eurista già pubblica articoli preoccupati in merito alla capacità dell’Italia di “preparare, presto e bene, un piano con i dettagli dei progetti con relativi costi e tempi di realizzazione”. Per riuscire a spendere i fantastiliardi che l’house-organ quantifica (non so bene in base a quali elucubrazioni) in 230 miliardi.

Già avete capito come va a finire: i fantastiliardi non arriveranno ma gli europeistoidi diranno che la colpa è di noi italiani che non siamo riusciti a preparare, “presto e bene”, piani adeguati (a insindacabile giudizio UE, s’intende).

Per immettere soldi nell’economia (cosa indispensabile) tutto questo è deleterio. Per riuscirci presto (e sufficientemente bene) le vie sono altre: sostenere i redditi; abbassare le tasse; assumere dipendenti pubblici nella sanità, nelle forze di polizia, nelle scuole e in tanti altri settori dove è necessario; offrire sgravi fiscali permanenti agli investimenti privati; avviare gli investimenti pubblici già decisi e programmati, ma sospesi per mancanza di fondi.

Ogni passaggio in più – e in particolare il passaggio da Bruxelles – è un fortissimo fattore che aumenta le già alte probabilità di inconcludenza del programma.

Ammesso che il Recovery Fund veda mai la luce, s’intende.


venerdì 19 giugno 2020

mercoledì 17 giugno 2020

Arrivano i Titani

Anche San Marino ha il suo progetto di legge per l'introduzione dei CCF, o meglio dei CCFS - Certificati di Compensazione Fiscale Sammarinesi (mi raccomando, NON Sanmarinesi !!) altrimenti detti Titani.

Qui il testo della proposta di legge (grazie come sempre a Francesco Chini).

domenica 14 giugno 2020

La Lega farebbe bene a sostenere la Moneta Fiscale


Pur provando stima e simpatia per Claudio Borghi – anzi, a maggior ragione per la stima e simpatia che provo per lui – mi pare opportuno replicare alla sua affermazione che gli sconti fiscali negoziabili (come anche altre iniziative del governo, per esempio le garanzie sui finanziamenti bancari) siano  polvere messa sotto il tappeto”.

Borghi teme che la Lega ne risulti penalizzata in un futuro prossimo, nel caso in cui torni al governo.

Il motivo ? immaginiamo che questi interventi, non registrati come deficit e debito (perché non lo sono) siano effettuati nell’anno 2020, e che il deficit sia di conseguenza pari all’8% del PIL invece che (poniamo) al 10% (in quanto l’intervento totale vale due punti di PIL).

X anni dopo, quando sperabilmente l’economia si sarà ripresa e il deficit sarà (sarebbe) sceso poniamo al 2%, la “polvere sotto il tappeto” riemergerà e il deficit / PIL risulterà pari al 4%.

A quel punto, un ipotetico governo a trazione Lega sarà messo (teme Borghi) sul banco d’accusa dalla UE e forzato a varare il solito minestrone di tagli & tasse.

Che cosa sfugge a Borghi ?

I bonus 110% attribuiti sotto forma di credito d’imposta, come si spiegava qui, sono un passo molto significativo verso l’attuazione di una vera e propria Moneta Fiscale.

Disponendo di questo strumento, il governo in carica potrà emettere Moneta Fiscale in misura pari agli sconti precedentemente emessi e che quell’anno giungeranno a maturazione. O anche di più, in funzione della crescita del gettito lordo che si accompagnerà alla ripresa.

L’importante è che gli sconti fiscali che diventano esercitabili, in ogni singolo anno, rimangano una frazione modesta del gettito lordo (altrimenti si svilirebbe il loro valore). Ma i margini perché questo sia sempre e comunque confermato sono amplissimi.

La Lega non dovrebbe attaccare gli sconti fiscali negoziabili, ma sostenerli in funzione, appunto, della loro trasformazione in CCF. I numeri per costruire un’ampia maggioranza trasversale, con larghe porzioni del M5S e con Fratelli d’Italia, ci sono.

Diversamente, di quali leve d’azione disporrà la Lega stessa se torna al governo ?

Con quali strumenti innescherà una forte azione espansiva e riporterà, finalmente, l’economia italiana su un solido percorso di crescita ?

Dall’opposizione si pensa in primo luogo a criticare, questo lo capisco ed è normale. Ma la critica sensata in questo caso dovrebbe vertere su “come fare molto di più”, su come migliorare e potenziare lo strumento.

E’ invece sterile, e rischia di essere autolesionista, dipingere come sbagliata o controproducente un’innovazione che va, al contrario, nella direzione giusta.


martedì 9 giugno 2020

Timeo Germanos et dona ferentes


Oggi sul Financial Times è comparso un articolo (“The minds behind Germany’s fiscal stance”), altamente elogiativo, in merito alla svolta “keynesiana” della politica economica tedesca.

Protagonista di questa svolta sarebbe Jorg Kukies, vice primo ministro delle finanze che, uscito da Goldman Sachs per entrare nel governo, avrebbe convinto il suo nuovo boss Olaf Scholz in merito alle virtù delle politiche attive di sostegno della domanda.

E non solo a livello nazionale, ma anche per quanto riguarda la UE nel suo complesso. Il progetto del Recovery Fund sarebbe stato, infatti, fortemente ispirato da questa “nuova visione”.

Leggendo fino in fondo l’articolo, l’illusione (di altro non si tratta) cade a pezzi.

Perché “greater fiscal integration… in his view… can only work if every member state plays by the rules. “The Stability and Growth Pact needs to be strengthened so that all member states create fiscal space in the good times””.

E’ tutto chiarissimo. I vari paesi, e in particolare quelli con alto debito pubblico (io ne conosco uno…) si devono, nella visione di Kukies, impegnare ancora più rigorosamente di prima al pareggio di bilancio.

Questo, in nome della necessità di creare “fiscal space”, concetto caro ai “keynesiani da salotto” ma privo di senso per paesi che emettono la propria moneta e che sono caratterizzati da bassi livelli d’inflazione.

Poi, via Recovery Fund, gli si concede qualche spicciolo per stare a malapena a galla (tipo il 2% di deficit che ha caratterizzato l’Italia, decimale più decimale meno, negli ultimi anni).

Somme chiaramente del tutto inadeguate a produrre una reale e consistente ripresa: una condanna pressoché eterna a un regime di pesantissima e cronica depressione dell’economia.

E per di più, lo scarso deficit che viene concesso è vincolato a decisioni di spesa prese altrove (cioè a Bruxelles).

Cari Kukies e Scholz, tenetevi il Recovery Fund e la svolta eurokeynesiana raccontatela a qualcuno che crede alla fata turchina.

Noi andiamo avanti con la Moneta Fiscale


sabato 6 giugno 2020

Moneta Fiscale, buon inizio: ma servono altri passi


Il Decreto Legge “Rilancio” ha introdotto vari meccanismi di assegnazione di crediti d’imposta, cedibili ai fornitori o, in alternativa, negoziabili contro euro sul mercato finanziario. E di altre ancora si sta parlando.

Si va dall’Ecobonus 110% per le ristrutturazioni immobiliari, al Bonus Turismo, a indennizzi per affitti e canoni pagati da attività commerciali che hanno ridotto il fatturato nel periodo più acuto dell’emergenza Covid.

Non stiamo ancora parlando di un’implementazione completa del Progetto Moneta Fiscale. Sono primi passi. Le dimensioni sono limitate, e vanno messi a punto i meccanismi di cessione e circolazione dei crediti d’imposta.

Però sono “teste di ponte” molto significative. Vanno estese, potenziate, migliorate. Ma ci sono, e costituiscono un importantissimo passo in avanti.

Può sembrare un paradosso che questi strumenti siano in corso di valutazione e di introduzione da parte di un governo pro-UE. Ma non mi stupisce: il Progetto Moneta Fiscale nasce appunto dalla constatazione che la rottura dell’euro è troppo complessa e controversa, sul piano tanto operativo quanto politico, per avere significative possibilità di essere realizzata.

In altri termini, dubito fortemente che esistano le condizioni per vincere un confronto “muro contro muro” con la UE e con l’eurosistema.

Ma in effetti non ne vale neanche la pena, e non ne esiste la necessità. Il Progetto Moneta Fiscale, applicato nella sua compiutezza, risolve le disfunzioni dell’eurosistema ed è coerente con i trattati che regolano la governance dell’eurozona, senza necessità di romperla.

Serve, invece, adottare una posizione di “fermezza costruttiva”: abbiamo identificato che cosa non funziona, ma sappiamo anche come correggerlo, senza passare tramite una deflagrazione. E lo faremo.

E senza passare tramite strumenti – il MES, il Recovery Fund – da cui non arriverebbe nulla di concreto, se non spiccioli con vincoli e condizionamenti che produrrebbero più danni di quanto possano valere gli (eventuali) benefici finanziari.

Il Recovery Fund, in particolare, rischia di essere un pericolosissimo depistaggio.

Non solo perché i soldi sono pochi, dovendo essere ripartiti tra molti stati e tra molti paesi.

Non solo perché le erogazioni sono soggette all’”attuazione di riforme strutturali”, prescritte dalla UE.

Non solo perché il giudizio in merito alla loro attuazione è totalmente discrezionale, e in qualsiasi momento, quindi, le erogazioni potranno essere sospese (mentre i nostri contributi sono da pagare sull’unghia).

Ma anche perché nessuno ha detto quale sarebbe il saldo di bilancio pubblico accettato, escludendo l’impatto del Recovery Fund.

Spiego. Ante Covid, nel 2019 il deficit pubblico italiano era stato pari all’1,6%. Del tutto insufficiente a immettere nell’economia quanto necessario a produrre una ripresa degna di questo nome. Sarebbe servito un 2% in più, almeno.

Adesso, per prima cosa occorre recuperare le conseguenze economiche della crisi sanitaria. Facciamo un’ipotesi ottimistica: tra il 2021 e il 2022, ci viene consentito di fare (in termini di deficit di bilancio) quanto necessario a ritornare – nel 2022 – ai livelli del 2019.

Questo vuol dire essere ai livelli di partenza: che erano livelli di pesantissima e cronica depressione dell’economia.

Si potrebbe pensare: OK, da lì in poi il Recovery Fund ci assicura, appunto, quel 2% in più necessario a uscire dalla depressione.

Ma “in più” rispetto a cosa ? Esauriti gli effetti della crisi sanitaria, il patto di stabilità e crescita rientrerà in funzione.

E la commissione UE non perde occasione di ripetere che il debito pubblico dovrà tornare su una traiettoria di contenimento e discesa.

Ci vuol poco a immaginare che la commissione UE “raccomanderà” di ottenere il pareggio di bilancio, fatto salvo il contributo del Recovery Fund.

“Raccomandazione” da eseguire sotto pena di sospensione dei contributi, s’intende.

Per cui: il pareggio di bilancio diventa un’immissione di risorse pari al 2%, decimale più decimale meno la stessa degli anni pre-Covid.

E l’economia italiana continua quindi a rimanere nella situazione pre-Covid. Depressione cronica, alti livelli di disoccupazione e sottoccupazione, fortissimo malessere sociale.

Le valenze di un programma di emissioni fiat, di uno strumento gestito e controllato dallo Stato italiano, come la Moneta Fiscale, sono di tutt’altra portata. Si crea potere d’acquisto supplementare e lo si distribuisce. Si riporta il sistema economico a condizioni di piena occupazione. E si riduce, gradatamente ma costantemente, il rapporto debito pubblico / PIL.

Si riduce, in altri termini, il peso del debito da rimborsare e rifinanziare in euro: il vero peso che grava sull’economia italiana e le impedisce di uscire dalla sua cronica situazione di depressione. Il tutto, mentre l’economia italiana torna a condizioni di crescita, di piena occupazione e di benessere via via sempre più diffuso.

Per ottenere questi risultati, i germogli di Moneta Fiscale presenti del DL Rilancio vanno, come detto, estesi e potenziati. Va chiarita la cedibilità illimitata dei crediti fiscali. Va messa a punto la piattaforma di pagamento e scambio. Va finanziata spesa pubblica netta con assegnazioni stabili e pluriennali, fino a un massimo di 100 miliardi all’anno circa.

Questa è la soluzione della crisi economica, non gli inadeguati, quando non vessatori, programmi UE.


mercoledì 3 giugno 2020

Provo a essere ottimista


Le azioni fiscali espansive messe in campo dal governo Conte ammontano a 80 miliardi complessivi, 25 con il Decreto Legge “Cura Italia” e 55 con il Decreto Legge “Rilancio”.

Troppo pochi, d’accordo.

Però sono comunque 80 miliardi di potere d’acquisto immesso nell’economia.

Per adesso non si è certo tradotto in maggiore domanda di beni e servizi, anche e soprattutto perché buona parte della popolazione, per quasi tre mesi, è rimasta chiusa in casa, e anche chi non ha subito perdite di reddito è stato di fatto costretto a risparmiare di più.

Adesso però si esce e si ritorna (incrociando le dita e sperando con non ci sia nessuna ripresa dei contagi e nessun nuovo lockdown) a vivere normalmente.

Gli 80 miliardi, intanto, vanno in circolazione, e chi se li ritrova in mano riprende a spendere.

Il PIL 2020 ovviamente avrà una variazione molto negativa rispetto all’anno precedente, come potrebbe essere altrimenti con tre mesi di economia mezza chiusa ?

Ma ci sarebbe poi tanto da stupirsi se un secondo semestre 2020 tornato alla normalità evidenziasse un PIL più alto del secondo semestre 2019 ?

E se il 2021 fosse sopra i livelli 2019 ?

Oltre alle azioni fiscali espansive – gli 80 miliardi: pochi, ripeto, ma sempre 80 miliardi, il 4,5% del PIL 2019 – potremmo avere un ulteriore interessante contributo dalla crescita del surplus commerciale.

Il motivo per aspettarselo è semplice. Tutti i nostri partner hanno messo in atto azioni di rilancio della domanda molto più forti delle nostre. Hanno immesso molti più soldi. Questo produrrà anche un forte rimbalzo del loro import, e un pezzo lo cattureranno le nostre aziende.

Tra parentesi, tutto questo potrebbe anche produrre un po’ di ripresa dell’inflazione nei paesi che hanno messo in atto forti stimoli, in presenza (ante Covid) di bassa disoccupazione. Ci saranno più soldi da spendere con una capacità produttiva che, finito il lockdown, tornerà ai livelli precedenti – ma non a livelli più alti (non immediatamente, almeno).

Ma questo potrebbe avvenire in USA, UK, Germania. Non certo in Italia. Noi partiamo da livelli di disoccupazione e sottoccupazione così alti che l’inflazione è l’ultimo dei problemi. E i grossi stimoli, ripeto, li hanno attuati gli altri – non noi.

Poi c’è l’incognita credito. Il Decreto Legge “Liquidità” è complicato, ferraginoso e sarebbe stato molto più efficace se avesse previsto garanzie statali al 100% (non all’80% o al 90%) per l’erogazione di nuovo credito.

Però un’azione di tamponamento dovrebbe averla svolta.

E, ultima ma non ultima, c’è una carta in più che si sta giocando: i germogli di Moneta Fiscale.


lunedì 1 giugno 2020

L'infrastruttura digitale per i CCF

A cura del Gruppo della Moneta Fiscale, un articolo dal titolo forse un po' intimidatorio ( :))) )

"Un'infrastruttura digitale per l'uso dei Certificati di Compensazione Fiscale (CCF) come strumento di pagamento: opzioni tecniche"

Lo trovate a questo link.

L'introduzione dell'infrastruttura per lo scambio dei CCF è un passaggio molto importante per la creazione di un vero e proprio sistema di Moneta Fiscale.