mercoledì 28 novembre 2018

Sterili atteggiamenti di sfida


Mi era sfuggito un commento apparso pochi giorni fa (22.11.2018) nel sito Eurointelligence.com, gestito da Wolfgang Munchau (editorialista del Financial Times e, di tanto in tanto, anche del Corriere della Sera).

Non so se l’autore del commento sia Munchau stesso (un europeista critico, favorevole al processo di integrazione ma con forti dubbi sul modo in cui lo si sta ponendo – o non ponendo - in atto). Alcuni collaboratori del sito (gli articoli non sono firmati) hanno posizioni maggiormente pro-UE rispetto a Munchau.

Ad ogni modo, un passaggio su cui riflettere è il seguente.

“Abbiamo segnalato, in passato, che esistono strategie intelligenti per sfidare la UE e le sue troppo rigide regole fiscali. Può essere fatto alla maniera francese, oppure è possibile espandere la spesa mediante vouchers che agiscono come una moneta parallela. Quello che non si può fare è ignorare le regole, e non fare altro. Un atteggiamento di sfida puro e semplice non funziona”.

La “maniera francese”, per intenderci (ma si potrebbe chiamarla, ancora più appropriatamente, “maniera spagnola”) è presentare una previsione che rispetta le regole, sapendo in partenza che a consuntivo si sforerà. Rispetto formale e violazione sostanziale, in altri termini.

I vouchers citati come alternativa possono invece prendere la forma dei Certificati di Credito Fiscale, ben noti ai lettori di questo blog: strumenti utilizzabili per effettuare un’azione espansiva sull’economia, senza incrementare il Maastricht Debt.

Effettivamente, il governo italiano per ora non ha fatto né l’una né l’altra cosa. Ha presentato una legge di bilancio che comporta una modesta (e comunque insufficiente) azione espansiva, affermando che violava le regole ma che la violazione era necessaria e giustificata.

Quest’ultima affermazione è corretta, ma la sua correttezza non è, di per sé, d’aiuto. Il clamore mediatico e le turbolenze di mercato che si sono generate hanno, sicuramente, complicato la situazione.

Munchau (o chi per esso) ha ragione quando afferma che l’atteggiamento di sfida dal punto di vista tattico non paga (magari invece porta consensi elettorali, ma da un certo momento in poi conteranno i risultati, non le sensazioni del momento).

Naturalmente la via che preferisco è quella dei vouchers, altrimenti detto dei CCF, che tra l’altro evita le ipocrisie dell’alternativa “franco-spagnola”. E, soprattutto, consente di avviare la ripresa dell’economia riducendo – in contemporanea – la dipendenza dai mercati finanziari.

Era meglio partire fin da subito così: toni sfumati, e lanciare i CCF.

E’ andata diversamente, e il passato non si può cambiare. Da qui in poi, tuttavia, è fondamentale correggere il tiro.

Lo spiegavo qui, e ne sono sempre più convinto.


domenica 25 novembre 2018

Una vecchia slide


L’avevo predisposta per un convegno tenuto a inizio 2014, e in forma molto disadorna (come tutte le mie slides: decisamente la grafica non è il mio forte…) diceva semplicemente quanto segue


L’Italia non ha MAI perso la sua sovranità monetaria
In regime “fiat”, la moneta sovrana è un credito fiscale.
Uno stato che ha sovranità fiscale ha anche sovranità monetaria.
L’Italia oggi non la sta utilizzando, ma può riprendere quando vuole.


Né più né meno di questo.

Quando vengono capite, queste poche righe sono la chiave che porta alla soluzione dei nostri guai odierni.

L’eurosistema è disfunzionale, e il debito pubblico è (potenzialmente) un grosso guaio se è denominato (e va quindi ripagato e rifinanziato) in una moneta più forte della tua, e che comunque tu non emetti e non gestisci.

Ma un titolo emesso dallo Stato, e da quest'ultimo accettato per adempiere obbligazioni fiscali, è un equivalente della moneta. E’ una riserva di valore e può essere utilizzato come intermediario di scambio. Non è debito perché non c’è impegno di rimborso in cash.

E non essendoci impegno di rimborso, nessuno potrà mai forzare lo Stato emittente al default. Potrà al massimo crearsi un problema di inflazione, di svilimento del titolo fiscale, se ne emetto in quantità eccessiva. Come succederebbe peraltro con qualsiasi forma di moneta. E fermo restando che l'inflazione oggi in Italia è un problema in quanto è troppo bassa, non viceversa.

La via per risolvere la crisi economica italiana, nonché per liberare l’eurosistema dalle sue disfunzioni, è questa. Non il dibattito sui decimali di deficit. Non il breakup dell’euro, che è, semplicemente, troppo complesso e controverso.

E’ un’idea innovativa (ma fino a un certo punto, i precedenti storici non mancano). Attuarla richiede coerenza, competenza e determinazione.

Ma è di gran lunga più semplice, più fattibile e più efficace, di qualsiasi altra proposta.

Il mio punto di vista è naturalmente influenzato dall’aver dedicato al progetto CCF / Moneta Fiscale una frazione significativa del mio tempo, ormai da oltre sei anni.

Non l’ho fatto perché cercavo visibilità, non l’ho fatto perché immaginavo di guadagnarci qualcosa, non l’ho fatto con l’idea di diventare ministro.

L’ho fatto perché mi pareva doveroso, da cittadino italiano, farlo.

E continuo.


giovedì 22 novembre 2018

Finto europeismo e vero nazionalismo


Una riflessione di Biagio Bossone, che condivido in pieno:

“Al finto europeismo di questi decenni, non si sostituisce un europeismo autentico (non ce n’è traccia) ma un nazionalismo meno ipocrita, nell’ambito del quale il tuo alto debito mette a rischio anche me, dunque non appoggio la tua politica di deficit.

Altra cosa sarebbe una vera unione in cui i meccanismi (sovranazionali) di aggiustamento, anti-ciclici e simmetrici (alla Keynes) aiuterebbero i governi più indebitati a rientrare, evitando i danni e gli effetti prociclici dell’austerità.

Naturalmente, altro che unione ! dopo gli evidenti fallimenti di un’architettura sbagliata, e che ha funzionato solo a beneficio del paese che se le è costruita su propria misura, adesso si marcia nella direzione opposta.

Il progetto CCF / Moneta Fiscale permette di mantenere lo status quo (chiamiamola “finta unione” per evitare ipocrisie) consentendo a chi lo adotta una via autonoma alla crescita.

E’ un progetto in grado di creare una solida stampella a un sistema altrimenti perennemente zoppo. Sempre, si capisce, che non se ne abusi”.

Ma questo – aggiungo - vale per qualsiasi politica di rilancio della domanda, e significa semplicemente che occorre, oltre all’identificazione dello strumento da adottare, la definizione di un programma ben dimensionato e correttamente strutturato.


domenica 18 novembre 2018

Non ha senso aspettare le europee


Nel corso dei nostri frequenti contatti con forze politiche, parlamentari ed esponenti di governo, ci siamo spesso sentiti dire che il progetto CCF / MF va avviato, anzi lo sarà, ma probabilmente “nell’imminenza o in corrispondenza o subito dopo” le elezioni europee.

Ora, questo punto ha bisogno di essere chiarito.

Le elezioni europee, per quanto riguarda i temi dell’economia italiana, non hanno, un buona sostanza, nessun rilievo.

Le elezioni europee certificheranno una forte avanzata degli schieramenti politici euroscettici. Ma la nuova commissione UE sarà comunque presieduta da un esponente scelto da un’alleanza di forze “variamente europeiste”: PPE, verdi, ALDE, socialisti.

Gli euroscettici avanzeranno, certamente. Ma non abbastanza per essere maggioritari. E per di più sono divisi tra euroscettici di destra (Lega, Le Pen, AfD, Wilders nei Paesi Bassi, Strache in Austria, blocco Visegrad, nordeuropei) e di sinistra (Melenchon, DIEM25 di Varoufakis, sinistre portoghesi, Podemos, Syriza – se ancora lo vogliamo definire euroscettico…). A parte il M5S, non inquadrabile nella dicotomia “destra o sinistra”.

L’euroscetticismo critica la UE per ragioni diverse. Alcuni contestano l’austerità, altri le politiche migratorie. Qualcuno, ma in effetti non tantissimi, entrambe.

Quanto ai due principali paesi UE, oggi esprimono una leadership fortemente indebolita. Ma anche se un pessimo risultato alle europee inducesse Angela Merkel alle dimissioni, il nuovo cancelliere non modificherebbe certo l’atteggiamento tedesco nei confronti della governance economica dell’Eurozona.

E non è immaginabile – date le caratteristiche del sistema politico francese – che cada Macron, anche se ottenesse un pessimo risultato alle europee e venisse scavalcato dalla La Pen quanto a voti ottenuti.

“Aspettare le europee” per lanciare i CCF significa non aver capito due cose, peraltro tra loro strettamente connesse.

In primo luogo, i CCF possono essere introdotti dall’Italia perché non violano nessun trattato e nessuna regolamentazione dell’Eurozona, e non richiedono quindi di essere discussi né tantomeno autorizzati.

E in ogni caso, se ci preoccupiamo dell’atteggiamento di singoli paesi o della UE nel suo complesso, questo atteggiamento resterà esattamente lo stesso di oggi, anche dopo le elezioni del maggio prossimo.

Il progetto CCF può essere lanciato, in qualsiasi momento. Serve volontà politica, chiarezza di idee, compattezza da parte del governo italiano. La posizione dei partner UE prima e dopo le elezioni non ha rilievo ai sensi di trattati e regolamenti, e in ogni caso è un’invariante: non è destinata a mutare in alcun modo significativo – non per effetto delle elezioni, quanto meno.

L’ho detto e lo ripeto: smorzare i toni, e lanciare i CCF. Il prima possibile.


venerdì 16 novembre 2018

Smorzare i toni, e lanciare i CCF


La critica all’Eurosistema è giusta e doverosa, ma va bene a livello accademico, va bene a livello di campagna elettorale, può essere, in generale, efficace a fini di marketing politico.

Ma gli obiettivi dell’Italia e gli obiettivi della UE (quelli dichiarati, quanto meno) in realtà non sono in conflitto.

E si riducono in prima e in ultima analisi a: rilanciare la nostra economia, riducendo, nello stesso tempo, il rapporto tra Maastricht Debt e PIL.

Emettere Certificati di Credito Fiscale (CCF) raggiunge contemporaneamente entrambi gli obiettivi.

Aumentare il deficit nella modesta misura prevista dalla legge di bilancio non ne consegue, invece, nessuno. Non è sufficiente – dato il debole contesto macro internazionale – a produrre una significativa ripresa. E comunque aumenta, invece di diminuire (come invece è senz’altro necessario), la dipendenza dai mercati finanziari.

E in più si sviluppa un clima antagonistico, arroventato.

Ci sono molte, comprensibili, ragioni per cedere alla tentazione di “sfogarsi”. Il punto, però, è semplice.

Sfogarsi non è di nessun aiuto.

La reazione al progetto CCF / Moneta Fiscale sarebbe comunque ostile ? forse sì o forse no. Ma ostile per ostile, affrontiamo l’ostilità per attuare una vera svolta, non per una timida manovra espansiva che non risolve il problema.

Ci sono idee migliori ? non credo al concetto di TINA.

Ma in questo caso altre non ne vedo, non ne sento proporre, neanche ipotizzare. Da nessuno.


domenica 11 novembre 2018

Convegno a Roma, venerdì 23 novembre 2018, ore 15.30

Parteciperò come relatore, presso l'Aula dei Gruppi Parlamentari della Camera dei Deputati (via Campo di Marzio 78).

Convegno organizzato dall'Associazione Moneta Positiva dell'infaticabile Fabio Conditi.



venerdì 9 novembre 2018

Gli equivoci sulla sovranità monetaria


Un recente articolo di Frances Coppola, nota commentatrice di temi economici, ha suscitato un ampio dibattito e anche provocato una certa sorpresa, quantomeno in alcuni lettori.

La sorpresa sta già nel titolo: “The Myth of Monetary Sovereignty” ci si sarebbe aspettati di vederlo utilizzato da un sostenitore dell’eurosistema, non da questa autrice che è, al contrario, una fervente eurocritica.

La mia opinione, comunque, è che siamo in presenza di equivoci abbastanza consueti, ma in definitiva anche abbastanza facili da chiarire, in merito al ruolo e alla valenza della sovranità monetaria (definita come la potestà di uno stato di emettere una propria moneta).

Per comprendere questi equivoci, una via molto efficace è rileggere l’attacco di un famosissimo pezzo di Michal Kalecki, “Political Aspects of Full Employment”, che già nel 1943 affermava con grande chiarezza che

“A solid majority of economists is now of the opinion that, even in a capitalist system, full employment may be secured by a government spending programme, provided there is in existence adequate plan to employ all existing labour power, and provided adequate supplies of necessary foreign raw-materials may be obtained in exchange for exports”.

I benefici potenziali della sovranità monetaria emergono già chiaramente dal paragrafo sopra citato.

La sovranità monetaria consente di ottenere il pieno impiego delle risorse produttive a disposizione, purché il governo immetta nell’economia un adeguato (e correttamente allocato) livello di risorse finanziarie, e purché si rispetti il vincolo dell'equilibrio nei saldi commerciali esteri (“adeguate forniture di materie prime estere possano essere ottenute in cambio delle esportazioni”).

Che cosa si sta dicendo ? che la sovranità monetaria è lo strumento a disposizione dello Stato per ottenere il pieno impiego, ma ovviamente non è l’albero degli zecchini d’oro: non consente di produrre più di quanto le risorse fisiche del paese (in particolare, la risorsa-lavoro) permettano.

E che anche in presenza di sovranità monetaria, debbano essere mantenuti in equilibrio i saldi commerciali esteri, perché altrimenti il paese accumulerebbe indebitamento verso l’estero, denominato in una moneta straniera (diversa, cioè, da quella che il paese stesso emette).

Il vincolo dei saldi commerciali esteri in equilibrio è decisamente meno stringente se lo stato in questione emette una moneta che è universalmente accettata per i pagamenti internazionali. Questa situazione – quella, oggi, degli USA, e di nessun altro paese (perlomeno, non in misura comparabile) - rende molto meno critico l’accumulo di debito estero (perché lo si accumula in moneta nazionale, non straniera).

Va anche aggiunto che consumare sistematicamente più beni e servizi di quanti se ne producono genera comunque, a lungo andare, il rischio di erodere la struttura produttiva del paese. Ma non c’è comunque dubbio che il vincolo di equilibrio nel commercio estero sia molto più lasco per gli USA che per chiunque altro

Per il “chiunque altro”, tuttavia, cioè per qualsiasi stato diverso dagli USA, valgono entrambi i concetti impliciti in quanto afferma Kalecki:

Un adeguato programma di spesa pubblica netta ovviamente NON permette a un paese di generare più reddito di quanto consentito dalla sua capacità produttiva – MA è lo strumento adeguato per evitare il sottoutilizzo delle sue risorse produttive (sottoutilizzo che implica disoccupazione e sottoccupazione).

Nello stesso tempo, tuttavia, generare sistematicamente deficit commerciali implica (sempre salvo il caso degli USA) accumulo di debito in moneta estera: il che è rischioso.

Detto questo, se uno Stato non emette la sua moneta, che cosa accade ? che TUTTO il debito del paese, pubblico e privato, per definizione è in valuta estera ! Quel paese si trova inevitabilmente in una situazione che presenta un grosso potenziale di pericolosità.

Uno Stato che emette la propria moneta, al contrario, non ha necessità di indebitarsi in valuta, e in particolare non ha bisogno di emettere titoli di debito pubblico in moneta estera.

Occorre comunque porre attenzione al debito privato in moneta estera, situazione in cui una serie di operatori si verranno a trovare se i saldi commerciali esteri sono tendenzialmente deficitari. Ma per la verità, anche con saldi complessivamente in equilibrio, ci saranno aziende che accumulano surplus di valuta e aziende che accumulano deficit, quindi che si indebitano.

Il debito privato in moneta estera è anch’esso un problema, perché può destabilizzare aziende nonché (anche e soprattutto) banche e intermediari finanziari, il che in condizioni sfavorevoli pone il governo nella condizione di accettare che si creino situazioni di dissesto, oppure di intervenire con azioni di sostegno. Due alternative entrambe alquanto complicate, sgradevoli e (a dir poco) difficili da gestire.

Tiro le mie conclusioni.

La sovranità monetaria, o per meglio dire l’estrema utilità della sovranità monetaria, è tutt’altro che un mito. Privarsene rischia di creare guai molto, molto grossi.

Detto questo, anche in presenza di sovranità monetaria, saldi commerciali esteri in equilibrio sono un obiettivo di assoluto rilievo per l’azione di politica economica del governo.

Limitare i movimenti di capitali è necessario ? de minimis, è necessaria un’azione da parte delle autorità per evitare che singole entità aziendali o bancarie, di dimensione e rilevanza sistemica, accumulino eccessi di passività in valuta, per ragioni commerciali o (ancora di più) a seguito di transazioni finanziarie.

La sovranità monetaria dà certezza che questi obiettivi vengano raggiunti ? evidentemente no, PERO’ fornisce gli strumenti di prevenzione (flessibilità del cambio, detassazione delle produzioni interne), e/o d’intervento successivo (sostegno ad aziende di importanza sistemica), senza le quali stabilizzare il sistema, evitare le crisi o comunque risolverle con rapidità ed efficienza diventa molto, ma molto più difficile.

La sovranità monetaria non risolve tutti i problemi dell’economia (e chi l’ha mai detto ?).

Ma essersene spossessati complica enormemente tutta una serie di situazioni che altrimenti sarebbero prevenibili, gestibili e/o risolvibili.

E se hai commesso, come l’Italia, il gravissimo errore di entrare nell'euro, quindi di adottare una moneta troppo forte per la tua economia, e che comunque non sei tu ad emettere e a gestire ? romperlo (l’euro) è complicato e controverso, per cui…

...la via da percorrere, di gran lunga più appropriata, è il progetto CCF / Moneta Fiscale.


martedì 6 novembre 2018

L'appiglio nel contratto di governo


Stefano Sylos Labini rammenta oggi che nel contratto di governo M5S – Lega si fa menzione di un concetto – la cartolarizzazione dei crediti fiscali – che in nuce può rappresentare l’appiglio per l’avvio di un progetto CCF / Moneta Fiscale.

Il passaggio è il seguente:

“Occorre intervenire per risolvere la questione dei debiti insoluti della pubblica amministrazione nei confronti dei contribuenti, tenuto conto della portata patologica del fenomeno nel nostro Paese… Tra le misure concretamente percorribili, spiccano l’istituto della compensazione tra crediti e debiti nei confronti della pubblica amministrazione, da favorire attraverso l’ampliamento delle fattispecie ammesse, e la cartolarizzazione dei crediti fiscali anche attraverso strumenti quali titoli di Stato di piccolo taglio, anche valutando nelle sedi opportune la definizione stessa di debito pubblico”.

Vero, è un appiglio. Però è del tutto insufficiente.

La “cartolarizzazione dei crediti fiscali” richiama la proposta dei Minibot, elaborata da Claudio Borghi della Lega, che infatti è stato uno dei principali estensori del contratto di governo. Ma i Minibot, almeno nei termini in cui sono stati fin qui proposti, danno un contributo molto limitato all’espansione dell’economia, per le ragioni spiegate diffusamente qui.

Gli appigli non risolvono nulla, a meno che non siano il trampolino per l’applicazione del progetto completo CCF / MF. Non è più il tempo – se mai lo è stato – delle mezze misure.

sabato 3 novembre 2018

Moneta Fiscale per l'Italia


Biagio Bossone / Marco Cattaneo / Massimo Costa / Stefano Sylos Labini

Alcuni anni fa, abbiamo iniziato a proporre la Moneta Fiscale (MF) come strumento in grado di superare le disfunzioni dell’Eurozona. E’ quindi abbastanza frustrante leggere sul Financial Times (28 ottobre 2018) in un articolo di Wolfgang Munchau (“Italy is setting itself for a monumental fiscal failure”) che la MF, data la sua natura di moneta parallela, innescherebbe la rottura dell’euro.

Non è così. La MF è un titolo trasferibile e negoziabile emesso dallo Stato, che i titolari potranno utilizzare per conseguire sconti fiscali a partire da due anni dopo l’emissione. Questi titoli avranno valore fin dall'emissione, in quanto incorporeranno un impegno irrevocabile dello Stato emittente, e potranno immediatamente essere scambiati contro euro o utilizzati come strumento di pagamento (in parallelo all’euro) su una piattaforma dedicata dove verrebbero accettati su base volontaria.

La MF sarà distribuita gratuitamente per finanziare investimenti pubblici e programmi di spesa sociale, per integrare i redditi dei lavoratori e per ridurre il cuneo fiscale sui costi di lavoro a vantaggio delle aziende. Questo produce un incremento sostenibile di domanda interna e migliora la competitività delle aziende (con effetti analoghi a un riallineamento del cambio). Diventa quindi possibile riassorbire l'enorme output gap dell’Italia senza deteriorare il saldo commerciale estero del paese.

Sulla base di quanto affermato dagli IFRS (International Financial Reporting Standards), la MF non costituisce debito, in quanto non esiste obbligazione di rimborso da parte dell’emittente. L’ESA (European System of Accounts) infatti la considera un “non-payable deferred tax asset”, che non impatta sui conti pubblici fino al momento dell’utilizzo per conseguire sconti fiscali – quando, due anni dopo l’emissione, produzione e gettito fiscale si saranno incrementati grazie al maggior potere d’acquisto in circolazione.

Sulla base di ipotesi prudenziali (moltiplicatore fiscale di 1x e ripresa degli investimenti privati tale da riassorbire, in quattro anni, metà della flessione rispetto al PIL subita tra il 2007 e oggi) una graduale emissione di MF, che inizi nel 2019 e raggiunga 100 miliardi nel 2021 (il che si confronta con oltre 800 miliardi di entrate fiscali del settore pubblico), continuando poi invariata, innalzerebbe la crescita del PIL reale al 3% nel periodo 2019-2021 e in un intervallo 1,5%-2% successivamente. Ciò genera maggior gettito sufficiente a compensare gli sconti fiscali via via che arrivano a maturazione.

In caso di temporanei scostamenti negativi rispetto alle previsioni, una serie di azioni possono essere attuate per garantire gli obiettivi fiscali: finanziare alcuni investimenti pubblici in MF e non in euro; aumentare le tasse da pagare in euro ma compensare il contribuente mediante erogazioni di MF; incentivare i titolari di MF a posporne l’utilizzo per conseguire sconti fiscali riconoscendo una maggiorazione di importo dei quantitativi da essi posseduti; ridurre il debito collocando (a pagamento) MF sul mercato. Queste azioni innalzerebbero la disponibilità di euro per il governo evitando effetti prociclici e – punto di grande importanza – impedirebbero il formarsi sul mercato finanziario di situazioni di incertezza. L’alto margine di copertura (il rapporto tra gli incassi pubblici lordi e gli sconti fiscali che diventano utilizzabili ogni anno) renderebbe la manovra sostenibile.

Attivando un programma di MF, l’Italia farebbe ripartire la sua crescita senza richiedere alcuna revisione dei trattati, senza richiedere trasferimenti da altri paesi e senza aumentare il ricorso ai mercati finanziari. Il debito pubblico smetterebbe di crescere e si ridurrebbe in rapporto al PIL, raggiungendo così l’obiettivo del Fiscal Compact. Tra l'altro, se l’Italia allentasse la sua disciplina ed emettesse un eccesso di MF, il valore di quest’ultima calerebbe senza però che questo influenzi il valore dell’euro o crei rischi di default (la MF è intrinsecamente un titolo default-free e le azioni sopra descritte garantiscono che il debito a rischio di default comunque non si incrementerà). L’elevato rapporto di copertura, sopra menzionato, rende peraltro questo scenario del tutto improbabile.

In un’economia con un ampio sottoutilizzo di risorse produttive, il moltiplicatore fiscale e l’acceleratore degli investimenti hanno un forte, combinato effetto sulla produzione (e solo moderatamente sui prezzi). Inoltre, l’impatto sulla domanda è massimizzato in quanto l’azione sulla competitività (via riduzione del cuneo fiscale) evita deterioramenti del saldo commerciale estero. E in ultimo, incrementare la domanda darà benefici su produttività e crescita di lungo termine, entrambe fortemente indebolite dai molti anni di contrazione degli investimenti pubblici e privati.

Tutto questo non è un passo verso il break-up. Eliminando le disfunzioni dell’Eurosistema, la sua rottura non è più un passo necessario. Per inciso, nella nostra proposta l’ammontare totale di FM in circolazione raggiungerà un massimo di 200 miliardi: una piccola frazione dei depositi bancari (4.000) e dei titoli di debito pubblico in circolazione (oltre 2.000). La MF non sostituirebbe, ma integrerebbe queste attività finanziarie; e l’euro rimarrebbe l’unità di conto dell’economia italiana.

Munchau afferma che la principale caratteristica di un’unione monetaria non è l’esistenza di una moneta legal-tender (cioè ad accettazione obbligatoria) ma il fatto che si formi un’area monetaria comune con un libero flusso di pagamenti: le moneta parallele e i controlli sui capitali sarebbero quindi incompatibili con questo assetto. Ma la MF strutturata secondo la nostra proposta non richiede alcun controllo sui capitali e non ostacola in alcun modo i flussi di pagamenti.

La MF ha la funzione di mobilitare risorse produttive inutilizzate, di accelerare gli investimenti, e di riavviare il credito privato: e ottiene questi risultati in un’economia priva dei tradizionali strumenti di sovranità monetaria e di espansione fiscale convenzionale.


giovedì 1 novembre 2018

La stagnazione del PIL


La stima preliminare del PIL italiano per il terzo trimestre 2018 è di crescita zero: la previsione era invece del +0,2%. Naturalmente i commentatori antigovernativi hanno colto la balla al balzo per imputare il dato al nuovo esecutivo. Fa parte della normale dialettica (e della normale polemica) politica. Però è importante mettere in evidenza quanto segue:

PRIMO, tutta l’Eurozona ha fatto segnare risultati deludenti. L’Italia ha sottoperformato di due decimi di punto rispetto alle previsioni, l’Eurozona nel suo complesso anche: 0,2% contro 0,4%. Certo, l’Italia continua a viaggiare più lentamente. Ma non in misura superiore a prima.

SECONDO. il governo è in carica da giugno 2018 e a tutt’oggi non ha ancora messo in atto significative azioni di politica economica, con l’unica eccezione del “decreto dignità”. Il varo della legge di bilancio 2019 è in corso in queste settimane. Sui risultati del periodo luglio-settembre 2018, la responsabilità evidentemente non è del governo oggi in carica.

TERZO, da maggio in poi è salito lo spread BTP – Bund. E’ difficile stabilire se questo di per sé abbia avuto un peso rilevante. Qualcuno ricorda che nell’aprile 2011 l’economia italiana entrò in recessione in corrispondenza con l’aumento dello spread: ma appunto in conseguenza di quell’aumento fu messa in atto dal governo Berlusconi una prima manovra di austerità (la seconda avvenne poi a settembre, la terza a fine anno dopo l’insediamento di Monti). Non servì a nulla perché lo spread continuò a salire, mentre fin da subito si constatarono pesanti danni su domanda, produzione e occupazione. Dovuti sicuramente all’austerità, mentre non è affatto chiaro che ci sia stato un influsso diretto dello spread.

QUATTRO, lo spread che sale è, evidentemente, una conseguenza delle disfunzioni dell’Eurozona: in paesi che emettono la propria moneta, l’indebolimento del contesto economico tende a far scendere i tassi, non viceversa. Sarebbe folle prendere lo spread a pretesto per rendere meno espansiva la manovra economica programmata per il 2019. Casomai, ci sono ancora maggiori motivi per ritenere che la legge di bilancio 2019 sia troppo poco espansiva.

QUINTO, così come a primavera 2011 la BCE prese inopportunamente la decisione di incrementare i tassi, allo stesso modo oggi appare molto dubbia (a dir poco) la scelta di azzerare il programma di Quantitative Easing da fine 2018 in poi. I problemi dell’Italia (soprattutto) e dell’Eurozona nel suo complesso sono sempre gli stessi: sottostima dell’output gap, e ossessione per rischi inflazionistici che in realtà non esistono. E’ vero che in queste condizioni serve espansione fiscale, mentre la politica monetaria è in grado di fare poco: ma rivolgere questo “poco” in direzione restrittiva mentre tutto rallenta è comunque, senz’altro, un errore. UE e BCE continuano ad agire in modo prociclico, peggiorando gli effetti già di per sé perniciosi di un sistema disfunzionale.

SESTO ED ESTREMAMENTE IMPORTANTE: che cosa aspetta il Governo a lanciare il progetto CCF / Moneta Fiscale ? altre soluzioni sospetto fortemente che non ne esistano, e comunque non se ne vede nessuna all’orizzonte.

Il problema della legge di bilancio 2019 è che in ogni caso, nel contesto attuale, è troppo timida. Questo può essere imputato al governo: di aver sollevato un contenzioso con la UE non per ottenere qualcosa di risolutivo, bensì qualcosa di comunque insufficiente.

Una forte spinta a domanda interna e competitività, unitamente al progressivo declino del Maastricht Debt (in rapporto al PIL): i CCF consentono di ottenere questi risultati. Ed è, assolutamente, il minimo necessario per risolvere i problemi dell’economia italiana.