lunedì 30 settembre 2019

Il differimento di due anni non è un problema per i CCF


Alessandro Carità mi ha riferito di uno scambio di opinioni con Claudio Borghi in merito alle varie opzioni di strumenti a utilizzo fiscale – CCF, Minibot e varianti sul tema.

Borghi ha manifestato dubbi sul differimento di due anni previsto per l’utilizzo dei CCF al fine di conseguire sconti fiscali. Differimento, s’intende, rispetto alla data di emissione.

La principale preoccupazione di Borghi sembra essere che il differimento potrebbe rendere difficile stimare il valore del CCF.

Non vedo però il problema. Se si parte dal presupposto che i Minibot valgano quanto un euro, in quanto si tratta di sconti fiscali a utilizzo immediato (e su questo ovviamente Borghi, che dei Minibot è il proponente, non ha dubbi) sussiste la relazione:

Minibot stanno all’euro

come

CCF stanno a titoli di Stato a due anni.

Se vale il rapporto 1:1 tra Minibot ed euro, un CCF utilizzabile come sconto fiscale tra due anni varrà come un titolo di Stato zero coupon rimborsabile in euro, sempre a due anni.

E in questo momento, essendo i tassi d’interesse sui titoli di Stato pressoché pari a zero, il titolo di Stato zero coupon a due anni è negoziabile a un valore molto vicino al facciale.

La situazione cambierà se i tassi d’interesse risaliranno. Comunque, anche in questo caso, l’equivalenza (in valore) CCF – titolo di Stato potrà essere salvaguardata dotando i CCF di un’appropriata cedola.


sabato 28 settembre 2019

Caro Draghi, la MMT per l’Eurozona sono i CCF


Ha suscitato parecchi commenti una recente dichiarazione di Mario Draghi di fronte al parlamento UE. La sua è stata un’inattesa apertura ai principi della Modern Monetary Theory.

Draghi ha menzionato un paper di Stanley Fischer – eminente economista, già vicepresidente della Federal Reserve, nonché relatore della tesi di dottorato dello stesso Draghi al MIT e docente di parecchi altri studiosi di rilievo, tra cui Paul Krugman e Olivier Blanchard.

Fischer ha sostenuto l’opportunità, in date condizioni, che le banche centrali mettano moneta “direttamente nelle mani di agenti economici, pubblici e privati, affinchè la spendano”.

Draghi ha commentato che “si tratta obiettivamente di concetti abbastanza innovativi. Non sono stati discussi dal Governing Council della BCE. Dovremmo esaminarli, ma non sono stati testati”.

Su quest’ultimo punto l’affermazione di Draghi è per la verità alquanto contestabile. L’azione effettuata da Schacht tra il 1933 e il 1937 con i MEFO bills in Germania è stata un test altamente significativo – e splendidamente riuscito.

En passant, se ci si fanno venire dubbi su una proposta di politica economica perché si teme che non sia stata perfettamente testata, che dire invece dell’insistenza con cui UE e BCE ne sostengono altre come “l’austerità per ridurre il debito pubblico” o “il Quantitative Easing per produrre inflazione” ? queste sì che sono state supertestate in anni recentissimi. E si è constatato, al di là di ogni possibile dubbio, che non funzionano.

Ma tornando alle dichiarazioni di Draghi, è invece corretta la sua affermazione che “il compito di distribuire moneta a un soggetto o a un altro è tipicamente un compito della politica fiscale. E’ una decisione del governo, non della banca centrale”.

Molto giusto, questo. Il che però ci porta a capire come questo tema può essere correttamente affrontato e risolto. Se la banca centrale è indipendente dai governi, come nel caso del BCE, quale strumento hanno a disposizione i governi stessi per effettuare questa azione di politica economica (che è, appunto, una forma di politica fiscale) ?

Forse (?) a sua insaputa, Draghi non ha aperto solo alla MMT. Ha aperto ai CCF.


domenica 22 settembre 2019

I surplus di bilancio pubblico non arricchiscono nessuno. Anzi…


Un lettore mi chiede dove vanno a finire i surplus di bilancio pubblico. Se è uno Stato spende meno soldi di quanti ne incassa, li accumula forse in un forziere, modello Zio Paperone ?

Per chi si è minimamente documentato su argomenti di macroeconomia e finanza pubblica, la domanda è in realtà ingenua. Ma lo sforzo, o la possibilità, di effettuare questa azione di apprendimento e di approfondimento non è, in pratica, alla portata di tutti.

Per questo motivo il dubbio si insinua anche nella mente di persone intelligenti e in buona fede.

I surplus di bilancio pubblici lasciano al settore privato meno soldi di quanti ne avesse prima, per l’evidente ragione che nascono da un eccesso di prelievo fiscale rispetto alla spesa.

Il settore pubblico non accumula in realtà niente: ritira potere d’acquisto in circolazione, espresso in una unità monetaria che il settore pubblico stesso emette a suo piacimento.

Se il settore privato ha meno soldi di prima, non per questo il settore pubblico si è “arricchito”. A tutti gli effetti pratici, è come se quei soldi fossero stati bruciati.

I surplus del bilancio pubblico hanno un senso solo se esiste la necessità di contenere un livello eccessivo d’inflazione, sottraendo potere d’acquisto dall’economia e, quindi, rallentandola. Non ne hanno nessuno se l’eccesso d’inflazione non esiste (anzi se, come ci dice costantemente la BCE, l’inflazione è troppo bassa).

L’unico caso il cui si può parlare di arricchimento del settore pubblico connesso ai surplus di bilancio è quello in cui il settore pubblico si sia finanziato (in passato) con debito in moneta estera. Il debito in moneta estera è il vero indebitamento del settore pubblico nazionale. Il debito in moneta propria è invece uno strumento di gestione del potere d’acquisto in circolazione nell’economia nazionale.

Il che ci riporta a considerazioni, che i lettori di questo blog già conoscono, su quanto sia stato assurdo e autolesionista, per l’Italia, trasformare il proprio debito pubblico da lire a euro: da moneta che si emette a moneta che non si emette, e (peggio, molto peggio ancora) moneta più forte di quanto fosse la lira, e più forte di quanto i fondamentali dell’economia italiana giustificassero.


giovedì 19 settembre 2019

I terribili mercati, o forse neanche troppo


Di fronte all’eventualità di avviare il progetto CCF, l’obiezione forse più frequente è che scatenerebbero una “tremenda” reazione speculativa sul mercato dei capitali, con oscillazioni selvagge e incontrollate dello spread e tutto ciò che ne consegue.

Questo timore è radicato al punto che è perfettamente normale leggere, in merito all’eventualità di emettere uno strumento finanziario utilizzabile per conseguire sconti fiscali, commenti di questo tipo:

“Farlo scatenerebbe di per sé il panico sui mercati finanziari; l’abbiamo anche visto nel caso dell’Italia con la semplice menzione dei Minibot, un tipo di Moneta Fiscale”.

E’ un tweet recente (11.9.2019) di Thomas Fazi.

Ora, conosco Thomas, lo stimo e in genere sono, in larga misura, in sintonia con quanto afferma e scrive. Andiamo però a verificare nel merito.

Qui di seguito trovate (dati Borsa Italiana) l’andamento dello spread BTP – bund tra metà maggio e metà giugno di quest’anno.


Mercoledì
15-mag-19
283
Giovedì
16-mag-19
277
Venerdì
17-mag-19
275
Lunedì
20-mag-19
278
Martedì
21-mag-19
271
Mercoledì
22-mag-19
271
Giovedì
23-mag-19
276
Venerdì
24-mag-19
267
Lunedì
27-mag-19
279
Martedì
28-mag-19
284
Mercoledì
29-mag-19
281
Giovedì
30-mag-19
282
Venerdì
31-mag-19
283
Lunedì
3-giu-19
277
Martedì
4-giu-19
269
Mercoledì
5-giu-19
275
Giovedì
6-giu-19
273
Venerdì
7-giu-19
262
Lunedì
10-giu-19
258
Martedì
11-giu-19
254
Mercoledì
12-giu-19
266
Giovedì
13-giu-19
262
Venerdì
14-giu-19
257


Lo vedete, il momento in cui la “menzione dei Minibot” ha scatenato l’inferno sui mercati ? beh, neanch’io.

La mozione che parlava dei Minibot – ve lo dico, perché vi sfido a capirlo dai dati sopra riportati - è stata approvata dalla Camera martedì 28 maggio. E per una serie di equivoci e incomprensioni, con il voto favorevole di tutti i partiti, PD incluso.

Nei giorni successivi, si è letto di tutto sui media in merito ai “terrificanti” rischi che l’introduzione di quella che assomigliava a una forma di moneta parallela avrebbe potuto provocare.

Ma variazioni minimamente rilevanti dello spread, proprio non se ne sono viste.

Dai primi giorni di giugno si è invece registrata una tendenza al ribasso. Il motivo però non ha nulla a che vedere con i Minibot, bensì con la sempre più fondata aspettativa che la BCE avrebbe riavviato il Quantitative Easing (come, infatti, è avvenuto pochi giorni fa: ed è la ragione, molto più che il cambiamento di governo, per cui lo spread oggi è a 140).

Semplicemente, Thomas (e come lui tanti altri) rievocando nella sua mente gli eventi di quei giorni ha scambiato una grancassa mediatica con una reazione di panico sui mercati. Che, al contrario, non c’è proprio stata.


domenica 15 settembre 2019

Diffidate dei parlatori veloci


Ha ragione Ray Dalio:

”Fast talkers are people who articulately and assertively say things faster than they can be assessed as a way of pushing their agenda past other people’s examination or objections”.

Ne ho conosciuti alcuni così. Esprimono concetti così rapidamente che mentre tu stai cercando di capire se hanno detto qualcosa di sensato, stanno già parlando di (e magari facendo) qualcos’altro.

Intendiamoci, può anche essere una formula di successo nella vita professionale, e nella vita in genere.

Ed è un talento (se vogliamo considerarlo tale) innato. Non si acquisisce né si allena. E’ un po’ come il pallino per la matematica.

Però, con queste persone, è pericoloso averci a che fare. Meglio quelli che parlano lentamente e interagiscono accettando il confronto, con la finalità di capire e non (a priori) per dimostrare di avere comunque ragione.

E meglio ancora quelli che ascoltano molto.

venerdì 13 settembre 2019

Il trilemma di Rodrik, e perché non mi convince


Un lettore mi chiede una spiegazione sintetica del trilemma di Rodrik. Per la verità, quanto a sintesi, l’enunciazione che ne ha fatto l’economista turco-harvardiano stesso è lodevolmente stringata. La trovate qui nell'originale, e qui in una traduzione italiana.

L’enunciato che esista un “teorema dell’impossibilità” tale per cui democrazia, sovranità nazionale e integrazione economica “profonda” siano incompatibili – sia possibile, cioè, averne due alla volta ma non tutte e tre insieme – mi lascia però molto scettico.

E’ perfettamente possibile creare una situazione dove uno stato democratico è aperto ai flussi finanziari e commerciali internazionali, senza tuttavia perdere le leve di azione riguardo alla gestione della propria politica economica.

E’ sufficiente che lo Stato mantenga la capacità di emettere moneta e di gestire le proprie politiche fiscali, perseguendo con efficacia politiche di pieno impiego delle risorse produttive.

Al contrario di quanto afferma Rodrik, il “rischio sovrano” non è un “costo di transazione” generato dagli stati-nazione. E’ vero l’opposto: si crea “rischio sovrano” quando gli Stati si spossessano della leva monetaria e possono quindi condurre politiche fiscali solo nei limiti della “benevolenza” a loro concessa da soggetti esterni.

Le dinamiche politiche in senso lato – trovo più appropriato chiamarle dinamiche di potere – hanno generato grandi concentrazioni di ricchezza che a loro volta hanno in larga misura asservito ai loro interessi le istituzioni statali e democratiche. Un’evoluzione profondamente negativa, e spero di vederla invertirsi, meglio presto che tardi.

Ma non esisteva e non esiste una necessità logica, né tantomeno un “teorema” (di teoremi bisogna parlare solo in matematica, non certo nell’ambito delle scienze sociali) che la rendesse inevitabile.


martedì 10 settembre 2019

Pani, pesci e tele di Penelope


Il mio twitter sparring partner @eligio68 continua a non essere convinto di quanto sostenuto in questo post. Sintetizzo qui di seguito la sua posizione.

Se in situazione di sottoutilizzo delle risorse produttive metto (nominalmente) al lavoro qualcuno, ma in pratica lo impiego per fare cose inutili (lo “scavare buche per poi riempirle” di keynesiana memoria) è come essere su un’isola e dare a qualcuno “pani e pesci senza fargli fare nulla, o facendogli fare la tela di Penelope, il che è lo stesso”. E’ un trasferimento, un sussidio, e non crea reddito né ricchezza.

Dove si sbaglia (a mio modesto avviso, ovviamente) il mio interlocutore ?

Il nostro scavariempitore di buche non otterrà (direttamente) pani e pesci. Otterrà moneta. Che potrà utilizzare per comprare pani e pesci da fornai e pescatori, che sono in grado di produrne di più di quanto facciano oggi: ma che in pratica questo sovrappiù non lo producono, perché nessuno è in grado di comprarglielo.

Tutto questo funziona a una condizione: che ci sia capacità produttiva inutilizzata.

E’ meglio dare moneta a qualcuno per fare cose utili, invece che per scavare e riempire buche ? certo che sì.

Ma è meglio dargli moneta per fare cose inutili, o anche semplicemente dargli moneta in cambio di nulla, che lasciare inutilizzata una parte della capacità produttiva (del fornaio e del pescatore, nel caso specifico) a causa dell’insufficiente potere d’acquisto in circolazione.

Tutto qui.


sabato 7 settembre 2019

Brexit e approvvigionamenti dall’estero


In attesa di sapere come andrà a finire (se andrà a finire) la ultracontorta vicenda Brexit, vale la pena di riflettere su uno dei suoi possibili, “pericolosissimi” (a giudizio di chi si oppone all’uscita senza accordo) impatti.

A quanto si legge, il Regno Unito rischierebbe nell’immediato carenze di approvvigionamenti per tutta una serie di prodotti essenziali, tra cui cibo, medicine e carburanti.

Questa affermazione l’ho letta qualche dozzina di volte. Da nessuna parte però ho letto risposte alle seguenti considerazioni / domande, che pure mi sorgono (e credo non solo a me) spontanee.

UNO, degli acquisti di prodotti e servizi che il Regno Unito effettua presso aziende UE, quale ammontare non può essere sostituito da produzioni interne ?

DUE, quale ammontare non può essere sostituito da acquisti presso altri fornitori – americani o asiatici, per esempio ?

TRE, dopo la Brexit no-deal, resterebbero in vigore gli accordi WTO, che consentono comunque l’import – export di beni e servizi, fatta salva la possibile applicazione di dazi fino a un massimo (se non sbaglio) del 10%.

Di conseguenza, tutto il problema degli approvvigionamenti da paesi UE si riduce a sostituire forniture UE con acquisti da aziende locali, oppure americane o asiatiche. E rimane in essere la possibilità di continuare ad acquistare dalla UE applicando (se si deciderà di applicarli, non è automatico) i dazi.

Poi c’è il problema logistico di riattivare le dogane per gestire gli acquisti dalla UE. Ma le dogane nel Regno Unito ci sono già, per gestire i flussi dal resto del mondo. Andrebbero potenziate, il che richiede tempo (ammesso che almeno in parte non sia già stato fatto, come misura preparatoria alla Brexit). Un periodo di inefficienze e rallentamenti va messo in conto, ma non mi sembra nulla di drammatico. Probabilmente il tutto si ridurrà a qualche lungaggine e a una fase temporanea in cui i controlli saranno più laschi (a campione, in pratica).

Magari mi sfugge qualcosa, ma uno scenario da giorno del giudizio proprio non lo vedo.


giovedì 5 settembre 2019

Per gli euroausterici, la ricchezza si prende a prestito


Nel dibattere con i sostenitori dell’attuale eurosistema – inteso come combinazione della moneta comune europea e delle connesse regole che forzano all’austerità e alla deflazione – mi ritrovo spesso a fronteggiare l’accusa di “voler creare ricchezza stampando”.

Ovviamente non ho mai sostenuto che stampare moneta di per sé crei ricchezza.

Ho invece affermato, e le evoluzioni dell’economia italiana ed europea degli ultimi anni non hanno fatto che confermarmelo, una cosa alquanto diversa.

Quando l’economia sta viaggiando considerevolmente al di sotto del suo potenziale e l’inflazione è troppo bassa (lo dice la BCE, non io) immettere potere d’acquisto stampando moneta (o un suo succedaneo) mette al lavoro risorse produttive inattive e aumenta produzione, reddito e occupazione.

Il tutto, senza necessità di collocare debito sul mercato, e senza innalzare l’inflazione a livelli indesiderati.

Un aspetto ironico di tutto ciò è che, al contrario, gli euroausterici erano convinti (prima della sua introduzione) che l’euro avrebbe migliorato la situazione economica dell’Italia. In altri termini, che avrebbe arricchito il paese. E continuano oggi a ripetere che modificare l’attuale eurosistema ci porterebbe al disastro.

Non si capisce perché mai l’Italia avrebbe dovuto beneficiare dall’utilizzo di una moneta emessa da terzi, e sopravvalutata rispetto ai fondamentali del paese.

Secondo gli euroausterici, io (e molti altri) credo / crediamo che ci si arricchisca per il semplice fatto di stampare.

Non è così, come ho spiegato sopra, ed è quindi risibile l’”argomentazione” (tipica anche questa degli euroausterici) che “se bastasse stampare moneta, tutti i paesi sarebbero ricchi”.

Al contrario, LORO pensano che si diventi “ricchi”, o quantomeno che la propria situazione economica migliori, utilizzando una moneta forte, emessa e gestita da altri.

La mia risposta agli euroausterici è che se bastasse usare una moneta più forte della propria per diventare ricchi, il Bangladesh sarebbe come gli USA, alla sola condizione di utilizzare il dollaro.

Non sono IO a credere che la ricchezza si stampi. Sono LORO convinti che la ricchezza si prenda a prestito.


lunedì 2 settembre 2019

O sei Don Abbondio o vai per i CCF


Qualunque sia l’esito della crisi di governo

Poco prima che esplodesse la rottura della coalizione gialloverde, all’interno del M5S, grazie in primo luogo all’infaticabile e tenacissima azione di Pino Cabras, si stava discutendo in modo serio e approfondito sulla possibilità di dare avvio al progetto CCF.

Non tutti i dubbi erano stati ancora superati. C’è una serie di soggetti che si temeva, e si teme, prendano una posizione negativa nei confronti del progetto: i mercati finanziari, la ragioneria generale dello Stato (RGS), la Banca d’Italia (BdI), l’ufficio parlamentare del bilancio (UPB), la commissione europea.

Bene. Esaminiamo le dinamiche che si potrebbero sviluppare in seguito all’annuncio che il progetto CCF sta per essere varato.

Decimale più decimale meno, l’Italia conseguirà, nel 2019, un deficit pubblico del 2% circa.

La commissione UE vorrebbe vedere una legge di bilancio 2020 che riduce questo deficit, per esempio all’1,5%. Se il governo la presentasse in questi termini, arriverebbe senz’altro anche il placet di RGS, BdI e UPB.

Problema: se l’Italia si limita a questo, il PIL reale resterà inchiodato a livelli di stagnazione. Probabilmente variazione zero, che forse diventerà +1% in caso di forte ripresa mondiale, ma potrebbe facilmente scivolare (al contrario) in territorio negativo se qualcosa, nell’economia internazionale, andasse storto: inasprimento delle tensioni commerciali tra USA e Cina, Brexit “disordinata”, o mille altre possibili cose che oggi non ci immaginiamo.

In ogni caso, la disoccupazione non diminuirebbe, la povertà rimarrebbe a livelli inaccettabili, i giovani più promettenti e qualificati continuerebbero a emigrare, l’economia italiana perderebbe ulteriore terreno nei confronti degli altri paesi europei.

Esaminiamo ora la seguente alternativa.

L’Italia approva una legge di bilancio con l’1,5% di deficit, e nello stesso tempo, in aggiunta, introduce 30 miliardi di CCF, da emettere durante il 2020.

I CCF sono destinati a rafforzamento del reddito di cittadinanza, riduzione del cuneo fiscale, abbassamento della tassazione a favore delle fasce di reddito medie e basse, assunzioni e investimenti nel settore pubblico.

I CCF daranno diritto a sconti fiscali nel 2022 (due anni di dilazione tra assegnazione e utilizzo). Per il 2022 si predispongono contestualmente, per legge, interventi compensativi (per esempio su IVA e tassazione degli immobili di pregio) che valgono anch’essi 30 miliardi.

Se, come è lecito aspettarsi sulla base di ipotesi del tutto verosimili, l’assegnazione di CCF – che hanno valore fin da subito, perché incorporano un diritto certo – produrrà una sufficiente spinta su domanda, investimenti, consumi e occupazione, si avrà una crescita di gettito fiscale che consentirà, nel 2022, di abrogare gli interventi compensativi di cui sopra.

Nel caso invece ciò non avvenisse – o avvenisse solo in parte – gli interventi compensativi rimarranno in essere, nella misura necessaria.

In pratica, in nessuna ipotesi l’introduzione dei CCF darà luogo a una crescita di indebitamento rispetto ai livelli prevedibili in loro assenza. Mentre con ogni probabilità si avrà un forte recupero di PIL, e una consistente riduzione del rapporto debito pubblico / PIL.

Questa argomentazione è semplicissima da spiegare, in modo del tutto convincente, ai mercati finanziari. Dove opera gente che può riuscire più o meno simpatica, ma che di sicuro guarda al nocciolo delle questioni e a quanto è di loro interesse (in sintesi: fare soldi).

E gli altri ? RGS, BdI, UPB, commissione UE ?

Beh, ricordiamoci una cosa: tutti questi organismi ci “illuminano”, spesso anzi di continuo, con i loro suggerimenti. Ma non ci danno un centesimo. Alle loro opinioni, è corretto prestare attenzione. Ma non vedo come possano confutare le argomentazioni sviluppate qualche paragrafo fa.

Ho sentito dire che secondo qualcuno i CCF potrebbero essere considerati incremento di debito fin dall’emissione “perché circolano” (quando la discriminante tra debito e non debito, ai sensi Eurostat ed ESA, non è di essere associato a un titolo circolante, ma di dar luogo a impegni di pagamento: il che non è il caso per i CCF).

Oltre a essere incoerente con trattati e regolamenti, questo tema è comunque irrilevante ai sensi della rischiosità del debito pubblico italiano. Il rischio è connesso a un impegno di pagamento privo di coperture. Sotto questo profilo, che l’impegno sia incorporato in un titolo circolante non aggiunge né toglie nulla. E nel progetto CCF come sopra delineato, l’impegno di pagamento non esiste, e le azioni compensative (nell’improbabile caso che si rendano necessarie) sono già predisposte per il 2022.

Se qualcuno, chiamato a esprimere un’opinione, affermasse qualcosa di differente, avrei il netto sospetto di essere in presenza di un Don Abbondio che cerca di “giustificare” a Renzo di dover soprassedere al matrimonio con Lucia. Ricordate i “Promessi Sposi” ?

“Noi poveri curati siamo tra l’incudine e il martello; voi impaziente, vi compatisco povero giovane; e i superiori… basta, non si può dir tutto. E noi siamo quelli che ne andiam di mezzo”. “Ma mi spieghi una volta cos’è questa formalità che s’ha da fare, come dice; e sarà subito fatta”. “Sapete voi quanti sono gli impedimenti dirimenti ?” “Che vuol che io sappia d’impedimenti ?” “Error, conditio, votum, cognatio, crimen, cultus disparitas, vis, ordo, ligamen, honestas, si sis affinis…” cominciava Don Abbondio, contando sulla punta delle dita. “Si piglia gioco di me ?” l’interruppe il giovane, “che vuol che io faccia del suo latinorum ?”

Abbiamo a che fare con dei Don Abbondii ? può essere, come può essere che esistano dei Don Rodrighi. Ma non bisogna farsene condizionare.

Il punto chiave è un altro. E’ nelle attribuzioni del parlamento italiano dare avvio al progetto CCF. E sappiamo come strutturarlo in modo da non avere ostacoli da parte dei mercati finanziari: in quanto li tuteliamo come e meglio di oggi, relativamente a quanto è di loro interesse - la solvibilità e il rifinanziamento del debito esistente.