Ho letto con molto interesse questo articolo di Thomas Palley, pubblicato pochi mesi fa (fine
2020). Come indica il titolo, “What’s wrong with Modern Money Theory: macro and
political restraints on deficit-financed fiscal policy”, si tratta di una
disamina critica della MMT.
L’autore è un
economista di impostazione keynesiana e di orientamento politico progressista.
Pur condividendo le finalità generali di quanto gli economisti MMT propongono, Palley ritiene però sostanzialmente errata la base teorica della MMT.
L’articolo è
interessante in quanto costituisce una sintesi, molto articolata, delle
critiche alla MMT così come espresse da commentatori che non sono sospettabili
di pregiudizi ideologici negativi nei confronti della MMT stessa (o più
precisamente nei confronti delle sue finalità). Critiche, quindi, di natura
essenzialmente tecnica e concettuale.
Come ho detto in altre sedi, mi riconosco al 95% nel pensiero MMT. Confutare le critiche di
Palley mi pare un esercizio utile in quanto si tratta, in sostanza, delle
medesime argomentazioni che spingono i governi e le istituzioni sovranazionali
ad adottare un approccio ancora decisamente troppo timido nel contrastare i
problemi dell’economia anche (ma non solo) in seguito alla crisi pandemica.
Troppo timido, purtroppo per noi, soprattutto nel caso dell’Eurozona e in particolare
dell’Italia.
Qui di seguito,
i punti salienti (a mio avviso) dell’articolo di Palley, e le mie
controdeduzioni.
Al capitolo 3.2.1
Palley afferma che “government is likely to face financial market blowback if
financial markets believe it is engaging in excessive money issue. In particolar,
long-term interest rates will tend to rise if financial market participants
anticipate risks of future financial turmoil or higher future inflation… consequently,
inflationary bias in MMT’s reliance on money-financed deficits will creep into
present financial market conditions long before full employment”. Concetto
rafforzato poco più avanti: “if private agents deem the bond rate too low given
inflation expectations created by money-financed deficits, the government bond
market will shrivel, in the sense of fewer private agents being willing to buy
government bonds. More importantly, bond market repression does not prevent
interest rates rising in private credit markets, and they may even overshoot
owing to unfavorable expectations caused by money-financed fiscal policy”.
Queste
argomentazioni sono in parte circolari e in parte autocontraddittorie. La
prescrizione MMT è di espandere i deficit pubblici solo fino al livello in cui
l’inflazione non si innesca, e di fermarsi a quel punto. Se le politiche dell’autorità
pubbliche sono orientate in tal senso, le “aspettative d’inflazione” (generate
non è chiaro da cosa) non troveranno riscontro nella realtà. Inoltre, il
problema del “minor numero di operatori privati interessati a comprare titoli
di Stato” non si porrà semplicemente perché non c’è necessità di emettere
titoli a fronte del deficit (appunto perché si parla di “money-financed
deficits”). E il rischio di “interest rates rising in private credit markets”
non sussiste perché l’istituto di emissione può regolare a piacimento il tasso
di rifinanziamento offerto alle banche (e volendo anche al pubblico), nonché
controllare come preferisce la curva dei tassi d’interesse sui titoli di Stato
(se proprio, ma non è affatto necessario, decide di emetterli). I tassi sul
credito privato quindi dovrebbero crescere in funzione di un’aspettativa d’inflazione
futura e qui l’argomento diventa appunto circolare: la MMT prescrive di
limitare l’inflazione (se no non è MMT) ma il mercato alza i tassi reali (sul
credito privato) perché non crede che verrà realmente attuata.
In definitiva l’argomentazione
si riduce a “le aspettative d’inflazione saliranno perché lo dico io, che so
come la pensano i mercati”. Non proprio molto scientifica né affidabile (non mi
risulta che Palley sia diventato multimiliardario investendo sui mercati
finanziari). E non stupisce quindi che Palley contraddica se stesso esattamente
nel paragrafo successivo affermando che “increases in the money supply can also
potentially cause asset price bubbles”. In altri termini, poche righe dopo
essersi preoccupato per il potenziale incremento dei tassi reali, Palley si
spaventa per il rischio di bolle di mercato finanziario create dal denaro facile.
Quindi questa MMT deprime il mercato creando alti tassi reali o lo destabilizza
producendo bolle ? non è che magari, al contrario, lo stabilizza proprio perché
prescrive di raggiungere il pieno impiego mantenendo, nello stesso tempo, l’inflazione
sotto controllo ?
Al capitolo
3.2.2 si legge poi che “expansionary budget deficits bleed into the trade
deficit via their impact on income and the demand for imports. The deterioration
of the trade deficits then tends to depreciate the exchange rate… Exchange rate
depreciation can then cause inflation, which further aggravates the
depreciation problem”.
Questa
affermazione:
ignora che la
MMT propone deficit di bilancio espansivi solo in presenza di sottoutilizzo
delle risorse produttive e fintantoché non si verifichi innesco di inflazione;
trascura che la
svalutazione del cambio tende a espandere le esportazioni e a sostituire le
importazioni con produzioni interne, quindi migliora i saldi commerciali esteri - il che pone un limite alla svalutazione medesima;
non considera
che la svalutazione non si trasla in inflazione finché le risorse produttive non
sono prossime al pieno utilizzo;
non prende in
considerazione la possibilità (prevista tra l’altro nel progetto CCF, di cui
anzi è una dei capisaldi) di utilizzare come fattore compensativo delle maggiori
importazioni nette non la svalutazione del cambio bensì la riduzione del cuneo
fiscale a vantaggio delle aziende locali.
Poco più avanti
si legge che “Keynesian macroeconomics emphasizes international constraints,
and they are summarized in models via the idea of a balance of payment
constraint. However, owing to its US-centric focus, MMT largely ignores such
problems which are a first-order constraint on economic policy in many
countries”. Questa è in effetti a mio parere l’unica critica realmente
significativa agli autori MMT. Può però essere affrontata e superata inserendo
nel framework MMT un vincolo di
equilibrio dei saldi commerciali esteri finanziati in moneta straniera. Torno
su questo tema (che ho trattato in altri due post, questo e questo) più avanti.
Curiosa poi l’affermazione
di Palley che “a floating exchange rate has its own adverse financial and
inflation complications”. Le esperienze di rotture o di pesantissime disfunzioni
dei sistemi di cambi fissi (SME 1992, Argentina 2001, crisi dell’Eurosistema
solo per citare i casi più recenti e significativi, ma un elenco completo coprirebbe
tutta la storia economica del mondo…) indicano che gli assetti rigidi producono
guai decisamente peggiori rispetto a quelli flessibili.
Al capitolo
3.2.4, leggiamo che “a government that is concerned about growth and future
living standards will be concerned about budget deficits and their implications
for interest rates, which in turn means it is financially constrained and
concerned about bond market sentiments”. Citofonare Giappone per farsi
raccontare come l’accumulo di un debito pubblico pari al 260% del PIL non abbia
avuto alcun effetto di incremento dei tassi d’interesse.
Poi, lo sfondone
tecnico e concettuale peggiore di tutto l’articolo: “if the demand for wealth
is finite and government financial obligations are net wealth, governments
deficits can crowd-out private capital accumulation by increasing the supply of
government wealth that must be held in private portfolios”. Perché mai la “demand
for wealth” dovrebbe essere finita non è dato saperlo. Quello che è certo (per
chi conosce i saldi settoriali) è che i deficit pubblici aumentano il risparmio
finanziario privato in termini nominali e peraltro (se non innescano
inflazione, come la MMT prescrive di NON fare) anche reali. Il settore privato
si troverà con più moneta (o più titoli di Stato) in tasca, senza che le
attività finanziarie private debbano per questo diminuire neanche di un
centesimo. Per cui, dove sta il crowding-out ?
Al capitolo 3.3,
Palley attacca poi la MMT in quanto “it assumes taxes can be abruptly and
precisely raised at full employment to contain excess demand, when the reality
is taxes are politically contested and difficult to raise. Long ago [Milton]
Friedman argued that fiscal policy was impractical for “fine-tuning”
stabilization policy owing to inside (decision) and outside (implementation)
lags”. Questa è una delle ragioni per cui Friedman sosteneva la maggiore
efficacia della politica monetaria rispetto a quella fiscale per stabilizzare
il ciclo economico. Il problema è che la politica monetaria perde trazione
quando i tassi d’interesse sono prossimi a zero (ulteriori riduzioni “spingono la
corda invece di tirarla”, secondo la nota metafora di Keynes).
I ritardi di
implementazione della politica fiscale sono sicuramente un tema importante ma
la risposta non è fare a meno della politica fiscale, ma potenziare il ruolo
degli “stabilizzatori automatici”, cioè degli strumenti fiscali che svolgono
una funziona anticiclica quando il livello di domanda aggregata si discosta da
quello di pieno impiego. Ne esistono già parecchi – tra cui i sussidi di
disoccupazione, la cassa integrazione, le imposte progressive sul reddito – ma un’architrave
della MMT consiste appunto nell’introdurne uno molto più potente: il Job
Guarantee Program (di cui nel seguito).
Alla nota 20 tra
l’altro Palley fa notare che “the aversion to raising taxes is one reason why
monetary policy is the preferred instrument of fine-tuning stabilization
policy. Just as monetary policy is delegated to central banks to facilitate
policy decisionmaking, so too tax policy could be delegated to a board of tax
experts, but that would be a profoundly undemocratic turn”. Su quest’ultima
affermazione sono d’accordo, ma questo vale anche per la politica monetaria, ed
è in effetti un’ottima ragione per riportare le banche centrali sotto il
controllo democratico dei parlamenti (e per sottoporvi anche il “board of tax experts”,
se si ritenesse opportuno crearne uno).
Capitolo 3.5:
Palley afferma che “taxes are needed to pay for ongoing programs, and
money-financed deficit spending is at best a temporary free lunch”. No: i mezzi
di pagamento in circolazione nel sistema economico devono crescere nel tempo perché
il PIL potenziale cresce in termini reali (per i miglioramenti di produttività)
e ancora di più in termini nominali (se l’inflazione ottimale non è ritenuta
essere zero ma ad esempio il 2% a cui puntano le principali banche centrali). E
se i mezzi di pagamento devono crescere nel tempo, i vari Stati devono mediamente avere un deficit di
bilancio (questa infatti è da secoli la condizione normale delle economie).
Diversamente, come si spiega qui, occorrerebbe fare affidamento solo sulla
crescita del credito privato (che è prociclica e quindi destabilizzante), salvo
per i paesi che generano massicci surplus commerciali verso l’estero (mettendo
però in difficoltà altri che per evidenti ragioni algebriche devono allora
essere in deficit).
Al 3.6, Palley
ritorna sul tema della “US-centric nature of MMT’s theorizing”. Qui come
accennavo prima la critiche agli autori MMT sono in parte giustificate nel
senso che il tema dei vincoli di saldi commerciali finanziati da debito in
moneta estera deve essere maggiormente approfondito e integrato nella struttura
base della MMT. Va comunque notato che esistono paesi che finanziano senza
problemi deficit commerciali persistenti pur non trattandosi di “countries whose
currencies serve as international reserve currencies”. E’ il caso dell’Australia,
che ha generato deficit commerciali per quarant’anni consecutivi, tra il 1980 e
il 2019, ha prodotto una Net International Investment Position negativa per il
ragguardevole livello del 50% del PIL, ma l’ha sostanzialmente finanziata
emettendo debito in dollari australiani.
Ultimo punto di
sostanza, le critiche al Job Guarantee Program di cui al capitolo 4. Qui basta
notare che secondo Palley “one downside is the cost of JGP, which could
displace other needed programs (though MMT denies that by assumption, because
it asserts government is financially unconstrained)”. No: il JGP non impedisce
di sviluppare altri programmi d’intervento pubblico ma non perché “government
is financially unconstrained” bensì perché il JGP mette al lavoro risorse
produttive, altrimenti dette persone, che in quel momento vorrebbero essere
attive ma non trovano impiego nel settore privato (o in altri programmi
pubblici). Nel momento in cui l’economia riparte e il settore privato riassorbe
le persone temporaneamente impiegate nel JGP, il JGP si svuota (svolgendo anche,
come detto in precedenza, un potentissimo effetto fiscale anticiclico – e svolgendolo automaticamente).
In conclusione,
la MMT regge benissimo la “critica di Palley”, così come in generale le
critiche che gli muovono gli economisti progressisti mainstream (quelli che a me piace chiamare “keynesiani da salotto”).
Replicare a queste critiche con argomenti solidi e ben sviluppati però è
importantissimo perché gli economisti progressisti mainstream vanno considerati una sorta di “fuoco amico”. In teoria
hanno le stesse finalità di chi sostiene la MMT, in pratica offrono argomenti a
sostegno dei policymakers che frenano
l’adozione degli interventi di politica economica necessari per superare la
crisi.