mercoledì 26 giugno 2019

Il dollaro è accettato anche da chi non ci paga le tasse


Del SNC vi ho già parlato in varie occasioni. Ma personaggi con caratteristiche simili se ne trovano parecchi altri, frequentando i social network.

Un suo degno emulo (chiamiamolo SNC2) commentava di recente su twitter che il cartalismo e la MMT erano palesemente un’assurdità perché “il dollaro è accettato in tutto il mondo, eppure nessuno al di fuori degli USA utilizza i dollari per pagare le tasse”.

Penso che chi segue abitualmente questo blog impiegherà un infinitesimo di millisecondo a smontare questa “argomentazione”.

Fuori dagli USA, non si possono pagare le tasse in dollari. Ma se entro in possesso di dollari, so che li posso cedere in cambio di beni e servizi a un residente USA che, invece, di dollari (per pagare le tasse) ha bisogno.

Non c’è bisogno di essere l’utilizzatore finale di uno strumento di pagamento per accettarlo. Basta sapere che potrò a mio volta utilizzarlo come corrispettivo di una transazione con una controparte che, invece, lo utilizzerà. O che a sua volta potrà cederlo a un altro soggetto che ne sarà l’utilizzatore. Eccetera.

Quando una quarantina (abbondante) di anni fa si utilizzavano i gettoni del telefono al posto delle 200 lire, pensate che chiunque li accettasse li avrebbe poi usati per telefonare ?

In molti casi no. Ma i gettoni circolavano tranquillamente e venivano accettati per il controvalore di 200 lire, perché sostituivano un pagamento di pari importo.

I gettoni avrebbero invece perso di valore rispetto al pagamento che sostituivano nel caso in cui se ne fosse emessa una quantità eccessiva rispetto al loro utilizzo finale. Sarebbe avvenuto se, ad esempio, ogni anno si fossero emessi due milioni di gettoni a fronte di un milione di telefonate effettuate presso cabine pubbliche.

La funzione d’uso della moneta è un presupposto del suo valore, purché (ma questo è evidente) la moneta stessa non sia emessa in quantità eccessiva. E una funzione d’uso che garantisce il valore di grosse quantità emesse è la necessità di effettuare pagamenti presso la Pubblica Amministrazione (che accetta quella moneta).

E’ un presupposto base del cartalismo, della MMT nonché del progetto Moneta Fiscale / CCF. E non sarà certo quel tweet di SNC2 a smontarlo…


lunedì 24 giugno 2019

Report riunione "Per la Moneta Fiscale", Bologna - 9.2.2019

Dopo i precedenti incontri di approfondimento sulla Moneta Fiscale, organizzati a Milano, il 15.6.2017, presso la sede del Consiglio Regionale della Lombardia, nonché (incontro non pubblico) sempre a Milano il 25.10.2017, trovate qui di seguito


organizzata con lo scopo di (1) illustrare cosa sono i CCF (Certificati di Credito Fiscale) nell'ambito del progetto Moneta Fiscale (2) spiegare su quali principi si basano (3) analizzare le relazioni tra i CCF e la Teoria della Moneta Moderna (MMT) (4) verificare come sia possibile incorporare tale strumento finanziario nella divulgazione MMT in Italia (5) verificare come promuovere il progetto CCF in ottica MMT, anche sulla base dello schema concettuale "Le basi economiche per attuare la Costituzione".

A sostegno dello strumento tecnico della Moneta Fiscale, si è costituito il comitato promotore "Le basi economiche per attuare la Costituzione", di cui il report dell'incontro di Bologna rappresenta il primo documento pubblico.

venerdì 21 giugno 2019

La falsa alternativa tra acquiescenza e conflitto


Quando si discute di economia, i talkshow e i social network sono caratterizzati, ormai da parecchio tempo, da toni pugnaci e battaglieri.

“O si combatte (contro la UE, contro la BCE, contro Bruxelles e Francoforte) o si piega il capo”, è il messaggio che emerge.

Ma questa alternativa ha una reale ragione di esistere ?

UE e BCE non prestano un centesimo all’Italia e non forniscono alcuna garanzia sul nostro indebitamento. Né hanno intenzione di farlo in futuro, come è stato ribadito ennemila volte.

Quindi ?

Quindi, esiste uno strumento – i Certificati di Credito Fiscale, utilizzato come previsto dal progetto Moneta Fiscale – che, tanto per cominciare, è perfettamente in regola con i trattati e con i regolamenti che governano la UE e l’Eurozona.

Ma al di là dei pur importanti temi legali, il punto chiave della proposta CCF è un altro.

I CCF sono in grado di rilanciare domanda, produzione e occupazione, mantenendo il debito da rimborsare in euro e da rifinanziare sul mercato dei capitali (denominato “Maastricht Debt” dai trattati UE) al di sotto di livelli prestabiliti. E ottenendo anche il risultato di avviare una costante diminuzione del rapporto Maastricht Debt / PIL.

In questo modo si riduce, progressivamente, la dipendenza dai mercati finanziari.

Rimane il tema del rifinanziamento del debito esistente. Ma se l’economia riprende con forza e il Maastricht Debt diminuisce in rapporto al PIL, i mercati finanziari – quelli che, al contrario di UE e BCE, ci stanno dando soldi oggi – si trovano in una situazione molto, ma molto più confortante rispetto all’attuale. Per il semplice motivo che la loro esposizione cala rispetto alle dimensioni dell’economia italiana.

I CCF non rientrano in quell’esposizione, perché sono titoli su cui l’emittente non può essere forzato al default.

La ragione, sostanziale prima ancora che legale, è molto semplice: i CCF non danno diritto a rimborsi cash, ma solo a essere utilizzati per ridurre pagamenti di imposte future.

Il rischio massimo è che un eccesso di emissione (di CCF) faccia perdere loro di valore, in quanto il tempo necessario per utilizzarli (riducendo le tasse altrimenti dovute) diventa troppo lungo. Ma è un rischio remotissimo, per le ragioni sinteticamente illustrate qui. E comunque, non tocca i sottoscrittori del Maastricht Debt italiano.

Non c’è da ingaggiare alcun combattimento. Da UE e BCE non ci serve nulla. Il progetto CCF mette a disposizione dell’Italia tutte le necessarie leve di rilancio. Senza bisogno di chiedere niente a nessuno.

martedì 18 giugno 2019

CCF e Minibot: simili ma diversi


Sono entrambe forme di Moneta Fiscale, ma l’impatto sull’economia è molto differente


Qualche settimana fa, i Minibot sono di colpo diventati un tema di grande attualità, non solo in Italia ma anche sui media internazionali. L’origine di questa impennata di attenzione è stata una mozione, approvata dalla Camera con voto unanime, che impegna il governo a “sbloccare i pagamenti della pubblica amministrazione verso professionisti e imprese agevolando il meccanismo di compensazione tra crediti commerciali e debiti tributari” tramite “la cartolarizzazione di crediti fiscali, anche attraverso strumenti quali titoli di Stato di piccolo taglio”.

I Minibot, proposti da Claudio Borghi (deputato e responsabile economico della Lega) sono una forma di Moneta Fiscale. Possono infatti possono essere utilizzati per ridurre pagamenti dovuti all’Erario.

Esiste una chiara somiglianza con il progetto Certificati di Credito Fiscale (CCF), che ho concepito e sto promuovendo a partire dall’ottobre del 2012, in collaborazione con vari economisti e ricercatori e in particolare con il Gruppo della Moneta Fiscale (che comprende, oltre a me, Biagio Bossone, Massimo Costa e Stefano Sylos Labini).

Esistono però anche significative differenze, che cerco qui di chiarire.

Il progetto Minibot prevede di emetterli a creditori della Pubblica Amministrazione, nonché a detentori di crediti d’imposta. Questi creditori avrebbero facoltà di accettare, su base volontaria (quindi NON sarebbero obbligati), la conversione del loro credito in Minibot.

Un credito con tempi di realizzo incerti verrebbe quindi sostituito da un Minibot, che NON dà diritto a rimborsi cash, ma può essere utilizzato in qualsiasi momento per ridurre pagamenti, altrimenti dovuti, all’Erario.

Qual è il vantaggio ? che il Minibot potrebbe circolare ed essere utilizzato come intermediario di scambio. Nessuno (salvo l’Erario stesso) sarà obbligato ad accettarlo, ma presumibilmente l’accettazione sarà ampia, appunto perché in qualsiasi momento il suo valore sarà garantito dalla possibilità di impiego (in luogo di euro) nei rapporti con il fisco.

Sono quindi un nuovo strumento finanziario, altamente liquido.

Tutto ciò premesso, quale impatto ci si può attendere sul debito pubblico e sull’economia ?

Si è affermato che l’emissione del Minibot non ha impatto sul debito pubblico, in quanto lo Stato sostituisce una forma di debito (commerciale o fiscale) con un’altra (il Minibot).

Se parliamo di “debito pubblico” in senso del tutto generale, questo è vero.

Bisogna tuttavia aver presente che ai fini dei trattati e dei regolamenti UE, la definizione che rileva è il cosiddetto “Maastricht Debt”: che NON COMPRENDE né i debiti commerciali del settore pubblico, né i debiti nati da rapporti fiscali che non comportano pagamenti da parte dell’Erario (ma solo la possibilità, per il loro titolare, di utilizzarli a compensazione di altri pagamenti).

Quando si parla di Maastricht Debt, l’affermazione corretta è quindi un’altra: i Minibot non incidono sul Maastricht Debt al momento della loro emissione perché sostituiscono impegni NON compresi nel Maastricht Debt con altri, anch’essi NON compresi.

Questo al momento dell’emissione. Tuttavia, che cosa accade se chi riceve i Minibot li utilizza immediatamente per ridurre pagamenti all’Erario ?

A questo punto, il Maastricht Debt aumenta, a causa della perdita di gettito.

E’ anche vero, tuttavia, che l’utilizzo dei Minibot fa venir meno altri pagamenti che sarebbero stati effettuati in seguito (perché i debiti commerciali prima o poi sono comunque da pagare) o altre perdite di gettito future (nel caso dei Minibot emessi a fronte di crediti d’imposta utilizzabili, in futuro, in compensazione: verrà infatti meno quest’ultimo effetto).

L’effetto finale sul Maastricht Debt quindi è neutro. Transitoriamente, si può avere un effetto positivo o negativo, a seconda del periodo medio intercorrente tra l’emissione e l’utilizzo dei Minibot (da una parte), confrontato con il ritardo medio con cui i debiti commerciali verranno pagati, o i crediti d’imposta verranno utilizzati in compensazione (dall’altra).

Esempio: emetto 10 miliardi di Minibot, 5 a fronte di debiti commerciali che sarebbero stati pagati 180 giorni dopo, e 5 a fronte di crediti d’imposta che sarebbero stati utilizzati in compensazione 360 giorni dopo.

I Minibot circolano per 270 giorni, e a quel punto i loro detentori li utilizzano per ridurre pagamenti all’Erario.

Fino al 180° giorno, il Maastricht Debt è invariato.

Tra il 180° e il 270° giorno, il Maastricht Debt è più basso di 5 miliardi (l’Erario non deve più pagare i debiti commerciali).

Tra il 270° e il 360° giorno, il Maastricht Debt è più alto di 5 miliardi (l’Erario perde 10 miliardi di gettito a causa dell’utilizzo dei Minibot).

A partire dal 360° giorno, tutti gli effetti si compensano (l’Erario non subisce più i 5 miliardi di perdita di gettito dovuti agli originari crediti d’imposta).


OK. Ma i CCF in cosa sono diversi ?

I CCF sono titoli che incorporano un credito fiscale utilizzabile in compensazione, cioè per ridurre pagamenti verso l’Erario altrimenti dovuti, non a partire dalla loro emissione bensì a partire da due anni dopo.

Hanno comunque valore IMMEDIATO in quanto incorporano un diritto futuro certo.

Inoltre, non vengono emessi a chi ha già un credito (commerciale o fiscale). L’emissione è fiat.

Consentono quindi un’immediata immissione di potere d’acquisto supplementare nell’economia, per le dimensioni necessarie ad avviare una forte ripresa, e indirizzabile a una pluralità di azioni, tra cui: integrazioni di redditi da lavoro, sostegno alle fasce sociali disagiate, riduzione del cuneo fiscale, potenziamento degli investimenti pubblici.

Il differimento temporale tra emissione e utilizzabilità (i due anni sopra citati) dà tempo all’economia di generare, grazie alla ripresa, gettito fiscale compensativo che, al momento dell’utilizzo finale dei CCF, eviterà l’incremento del Maastricht Debt (vedi a pag. 12-15 qui le ipotesi e i meccanismi che lo garantiscono).

I CCF restituiscono quindi all’Italia le leve necessarie per sviluppare un’adeguata politica economica.

A questo fine, i Minibot non sono sufficienti, in quanto:

PRIMO, la loro dimensione è limitata dalla pre-esistenza di debiti commerciali e di crediti d’imposta (che tra l’altro devono essere verificati e certificati, prima di poter assegnare i Minibot); e

SECONDO, chi riceve i Minibot non ottiene né un effettivo arricchimento patrimoniale, né reddito supplementare. Ha un effetto di anticipazione di liquidità, sicuramente utile, ma non della stessa portata.

In altri termini: ricevere un Minibot oggi invece di euro tra alcuni mesi può indurre, in una certa misura, a spendere di più, ma sicuramente non ha lo stesso impatto di ricevere CCF senza che in cambio venga meno nessun altro credito o diritto.

La via per risolvere le disfunzioni dell’Eurosistema e per far uscire l’Italia dalla depressione economica, quindi, è il progetto Moneta Fiscale / CCF.

venerdì 14 giugno 2019

I fornitori non sono nel Maastricht Debt, ma non è una svista


Riguardo ai Minibot e alle loro differenze rispetto ai CCF (descritte in questo articolo), un tema che ha attirato parecchi commenti è la classificazione dei debiti della pubblica amministrazione nei confronti di fornitori di beni e servizi.

I debiti di fornitura, infatti, non rientrano nel Maastricht Debt, cioè nel debito pubblico rilevante ai sensi dei trattati e dei regolamenti UE.

La cosa ha suscitato stupore, ed è stata da parecchi definita “un’evidente svista, che sarebbe opportuno correggere”.

Non è la mia opinione. Io credo che si tratti di una classificazione corretta, che risponde a una ben precisa logica.

Per comprenderlo, è (una volta tanto) utile assimilare i criteri di analisi della situazione finanziaria statale, a quelli di un’azienda.

Quando si stima il valore economico di una società (cosa che per lavoro mi capita di fare tutti i giorni, o quasi) il metodo probabilmente più utilizzato consiste nel prendere i risultati operativi, moltiplicarli per un fattore rilevato in transazioni passate o in quotazioni di borsa di società in qualche modo comparabili (per dimensione, settore di attività, prospettive di crescita eccetera), ottenendo così il cosiddetto “enterprise value (EV)” o valore dell’azienda.

Per passare dal valore dell’azienda al valore della società, si aggiunge poi la liquidità e/o si sottrae l’indebitamento finanziario.

Il motivo è facile da intuire. Una società con un EV di 100 milioni di euro e 10 milioni in cassa, e zero debiti, avrà evidentemente un valore più alto di una analoga senza liquidità e con 20 milioni di debiti bancari.

Ora, l’indebitamento finanziario da sottrarre non comprende i debiti di fornitura (così come la liquidità non comprende i crediti verso clienti).

Perché ? continuando a operare, la società dovrà, indubbiamente, pagare quei fornitori, ma via via che quei debiti si estinguono, se ne formeranno degli altri, in quanto continueranno a formarsi dilazioni di pagamento a fronte degli acquisti effettuati.

Se si valuta la società in ipotesi di continuità aziendale, i debiti di fornitura vanno quindi considerati un finanziamento permanente e non oneroso (in termini di interessi da pagare). L’indebitamento che conta ai fini della valutazione quindi non comprende questi debiti.

Può essere necessario valutare diversamente la situazione se si rileva l’esistenza di una grossa quantità di debiti scaduti, anomala rispetto alle prassi di mercato. Se la società paga i fornitori a 270 giorni e la normalità è 90, i debiti di fornitura sono troppo alti e con ogni probabilità dovranno essere ridotti perché l’azienda continui ad operare. Aumenterà quindi il debito finanziario.

Ma in questo caso, in sede di valutazione si va a correggere un’anomalia. Un livello di debiti di fornitura fisiologico e in linea con i concorrenti non va corretto, e non va considerato debito da sottrarre all’EV per determinare il valore della società.

Nel caso del debito pubblico, valgono considerazioni del tutto analoghe. Le pubbliche amministrazioni effettuano acquisti di beni e servizi, che danno luogo a dilazioni di pagamento e quindi a debiti di fornitura. Finché i termini di pagamento sono normali e fisiologici, il relativo debito è una forma di finanziamento ricorrente e non onerosa.

E’ quindi del tutto condivisibile che questo debito non venga considerato nel Maastricht Debt – che è il dato sulla base del quale si valuta (almeno nelle intenzioni di chi ha elaborato i trattati) la sostenibilità del debito pubblico. Così come i debiti di fornitura non vengono sottratti dall’EV quando si stima il valore del capitale azionario di una società.


martedì 11 giugno 2019

L'emittente di CCF non può essere forzato al default


Sui Minibot si è scatenata una “tempesta mediatica” che, come spesso capita, rischia di far perdere di vista alcuni aspetti di sostanza.

Prendiamo per esempio l’affermazione di Draghi, che ha detto grosso modo: “se i Minibot sono moneta sono illegali, altrimenti sono nuovo debito per il paese”.

I Minibot, come del resto i CCF, non sono affatto illegali, perché si tratta in entrambi i casi di titoli ad accettazione volontaria. E' facoltà di chiunque accettarli o meno come mezzi di pagamento. Non sono legal tender, cioè moneta ad accettazione obbligatoria: l'unica per la quale esiste un monopolio di emissione, riservato alla BCE (nel caso dei paesi aderenti all'Eurozona).

Se Minibot e CCF fossero illegali, lo sarebbero anche i buoni pasto, le carte di credito, il Sardex e tanti altri strumenti che, al contrario, si utilizzano tranquillamente e quotidianamente.

Quanto al fatto che Minibot e CCF siano debito, qui si spiega con molta chiarezza, e in modo inconfutabile, che alla luce di trattati e regolamenti possono essere considerati debito in un’accezione molto ampia del termine, ma non rientrano nel Maastricht Debt: l’unico rilevante per i parametri di controllo presi in considerazione nell’ambito dell’Eurozona.

Ma c’è un elemento in più da avere ben presente. I CCF, e in generale gli sconti fiscali non rimborsabili cash, non fanno parte del Maastricht Debt per una ragione ben precisa: non è possibile forzare l’emittente a fare default su un CCF. Un paese che assume impegni di pagamento in euro può non avere abbastanza euro per rimborsarli. Un paese che emette diritti a sconti fiscali NON POTRA’ MAI essere forzato a disconoscerli.

Potrà casomai verificarsi il caso che l’emittente di CCF ne emetta in quantità tale che in pratica il periodo di tempo necessario per riuscire a utilizzare gli sconti fiscali si allunghi, il che produrrà un calo del loro valore (prima dell’utilizzo).

Ma questo non è un default. E comunque, il progetto Moneta Fiscale / CCF (vedi qui a pagine 12-14) contiene comunque una serie di meccanismi che riducono a livelli bassissimi il rischio di “svalorizzazione” per eccesso di emissione.

Questo è il motivo sostanziale per cui adottando il progetto Moneta Fiscale / CCF l’Italia può porre sotto controllo il problema degli elevati livelli di Maastricht Debt, avviando nello stesso una forte ripresa di domanda, produzione e occupazione.


sabato 8 giugno 2019

Tasse e bolivar, ovvero: il SNC colpisce ancora


Il Social Network Commentator è un personaggio ormai ben noto ai lettori abituali di questo blog. La sua capacità di documentarsi leggendo molto, di non capire buona parte di quanto legge, e di saltare poi a conclusioni sbagliate incaponendosi a sostenerle a dispetto di ogni evidenza contraria, sono caratteristiche rimarchevoli, riscontrabili (ai suoi livelli) in pochissime altre persone.

Di volta in volta ci fa sapere che le PMI sono la rovina dell’Italia, che con la lira le società italiane non riuscivano a finanziarsi, che in fondo Prodi non ha colpe se l’euro è stato costruito male, che siccome la Moneta Fiscale non ha funzionato in California (un ente locale) non può funzionare in Italia (uno Stato che gestisce in toto la sua fiscalità), che ai tempi della lira l’Italia doveva mendicare prestiti in valuta per pagare le importazioni.

A questa litania di assurdità ne ha aggiunta, pochi giorni fa, un’altra. Il principio base del cartalismo e della MMT – taxes drive money, ovvero la moneta fiat ha valore perché ci si pagano le tasse - è sbagliato. E che cosa lo prova ? in Venezuela le tasse si pagano in bolivar, eppure il bolivar non vale niente.

Naturalmente, qualsiasi moneta perde di valore se viene emessa in quantità eccessiva rispetto alle dimensioni dell’economia e, in particolare, al gettito fiscale dello Stato emittente.

Immaginate che nel granducato di Pincopallo si emettano dei buoni accettati per pagare le multe per divieto di sosta – che in quel felice paese sono l’unica forma di imposizione fiscale.

Ogni anno, le multe comminate dai vigili urbani pincopallesi ammontano a dieci milioni di euro (il granducato fa parte dell’Eurozona).

I “buoni-multa” emessi annualmente hanno un controvalore facciale pari (in totale) a un milione. Quanto vale un buono-multa da un euro ? all’incirca, appunto un euro.

Ma se il granduca impazzisce e dà ordine di emettere cento milioni di buoni-multa, che cosa succede ? che il loro valore crolla, perché ci sono in circolazione così tanti buoni che solo una piccola parte potrà essere utilizzata in tempi  ragionevoli.

Tutto qui. L’utilizzabilità fiscale della moneta non elimina la possibilità che la moneta stessa perda di valore in quanto viene inflazionata.

Ma in assenza di eccessi di emissione, la moneta utilizzabile per pagare tasse ha valore, eccome. Mentre un pezzo di carta emesso da me, con scritto “Viva Juve”, la foto di Cristiano Ronaldo e la mia firma sotto, non utilizzabile per pagare tasse, non vale rigorosamente nulla. Anche se magari è un esemplare unico.


giovedì 6 giugno 2019

CCF: le linee-guida ESA

Non è magari una lettura particolarmente amena :))) ma a chi è interessato agli aspetti tecnico-contabili, segnalo gli articoli 24, 28 e 31 (a pag. 89-91) di questo manuale.

L'ha elaborato Eurostat e il titolo è "Manual on Government Deficit and Debt - Implementation of ESA 2010", dove ESA non sta per "European Space Agency" ma (più prosaicamente) per "European Systems of Accounts".

Come segnalato da Biagio Bossone, gli articoli sopra citati escludono incontrovertibilmente la possibilità che i CCF vadano computati nel debito pubblico secondo la definizione rilevante per i trattati e i regolamenti UE (Maastricht Debt).

lunedì 3 giugno 2019

Le differenze tra CCF e Minibot


Pochi giorni fa, i Minibot sono tornati prepotentemente di attualità a causa della mozione, approvata dalla Camera con voto unanime, che impegna il governo a “sbloccare i pagamenti della pubblica amministrazione verso professionisti e imprese agevolando il meccanismo di compensazione tra crediti commerciali e debiti tributari” tramite “la cartolarizzazione di crediti fiscali, anche attraverso strumenti quali titoli di Stato di piccolo taglio”.

I Minibot sono una forma di Moneta Fiscale, in quanto possono essere utilizzati per ridurre pagamenti dovuti (in primo luogo a fronte di tasse) all’Erario. Da questo punto di vista, c’è una chiara somiglianza con il progetto Certificati di Credito Fiscale (CCF), che è l’argomento principale di questo blog.

Esistono però significative differenze, che, anche rispondendo alla gentile sollecitazione di @bonnie379, cerco qui di riassumere e chiarire.

Il progetto Minibot propone di emetterli a favore di creditori della Pubblica Amministrazione, nonché di detentori di crediti d’imposta. Questi creditori potrebbero accettare su base volontaria (NON sarebbero obbligati) di convertire il loro credito in Minibot.

Sostituirebbero quindi un credito con tempi di realizzo incerti, con un Minibot che NON dà diritto a rimborsi cash, ma può essere utilizzato in qualsiasi momento per ridurre pagamenti, altrimenti dovuti, all’Erario.

Qual è il vantaggio ? che il Minibot potrebbe circolare ed essere utilizzato come intermediario di scambio. Nessuno (salvo l’Erario stesso) sarà obbligato ad accettarlo, ma presumibilmente l’accettazione sarà ampia, appunto perché in qualsiasi momento il loro valore sarà garantito dalla possibilità di impiego (in luogo di euro) nei rapporti con il fisco.

Sono quindi un nuovo strumento finanziario, altamente liquido.

Tutto ciò premesso, qual è l’impatto presumibile sul debito pubblico e sull’economia in generale ?

E’ stato frequentemente affermato che l’emissione del Minibot non ha impatto sul debito pubblico, in quanto lo Stato, semplicemente, sostituisce una forma di debito (commerciale o fiscale) con un’altra (il Minibot).

Se parliamo di “debito pubblico” in senso del tutto generale, questo è vero.

Bisogna tuttavia aver presente che ai fini dei trattati e dei regolamenti UE, la definizione che rileva è il cosiddetto “Maastricht Debt”: che NON COMPRENDE né i debiti commerciali del settore pubblico, né i debiti nati da rapporti fiscali che non comportano pagamenti da parte dell’Erario (ma solo la possibilità di essere utilizzati a compensazione di altri pagamenti).

Quando si parla di Maastricht Debt, l’affermazione corretta è quindi un’altra: i Minibot non incidono sul Maastricht Debt al momento della loro emissione perché sostituiscono impegni NON compresi nel Maastricht Debt con altri, anch’essi NON compresi.

Questo, al momento dell’emissione. Tuttavia, che cosa accade se chi riceve i Minibot li utilizza immediatamente per ridurre pagamenti all’Erario ?

A questo punto, il Maastricht Debt aumenta, a causa della perdita di gettito.

E’ anche vero, tuttavia, che l’utilizzo dei Minibot fa venir meno altri pagamenti che successivamente dovrebbero essere effettuati (perché i debiti commerciali prima o poi sono comunque da pagare) o altre perdite di gettito future (nel caso dei Minibot emessi a fronte di crediti d’imposta utilizzabili, in futuro, in compensazione, perché verrà meno quest’ultimo effetto).

L’effetto finale sul Maastricht Debt quindi è neutrale. Transitoriamente, si può avere un effetto positivo o negativo, a seconda del periodo medio intercorrente tra l’emissione e l’utilizzo dei Minibot (da una parte), confrontato con il ritardo medio con cui i debiti commerciali verranno pagati, o i crediti d’imposta verranno utilizzati in compensazione (dall’altra).

Ad esempio: emetto 10 miliardi di Minibot, 5 a fronte di debiti commerciali che sarebbero stati pagati 180 giorni dopo, e 5 a fronte di crediti d’imposta che sarebbero stati utilizzati in compensazione 360 giorni dopo.

I Minibot circolano per 270 giorni, e a quel punto i loro detentori li utilizzano per ridurre pagamenti all’Erario.

Fino al 180° giorno, il Maastricht Debt è invariato.

Tra il 180° e il 270° giorno, il Maastricht Debt è più basso di 5 miliardi (l’Erario non deve più pagare i debiti commerciali).

Tra il 270° e il 360° giorno, il Maastricht Debt è più alto di 5 miliardi (l’Erario perde 10 miliardi di gettito a causa dell’utilizzo dei Minibot).

A partire dal 360° giorno, tutti gli effetti si compensano (l’Erario non subisce più i 5 miliardi di perdita di gettito dovuti agli originari crediti d’imposta).


Bene. Ma i CCF in che cosa sono diversi ?

I CCF sono titoli che (come i Minibot) incorporano un credito fiscale utilizzabile in compensazione, cioè per ridurre pagamenti verso l’Erario altrimenti dovuti, ma (e questa è una prima differenza) non a partire dalla loro emissione bensì a partire da due anni dopo.

Hanno comunque valore IMMEDIATO in quanto incorporano un diritto futuro certo.

Ulteriore differenza rispetto ai Minibot: non vengono emessi a chi ha già un credito (commerciale o fiscale). L’emissione è fiat.

Consentono quindi un’immediata immissione di potere d’acquisto supplementare nell’economia, per le dimensioni necessarie ad avviare una forte ripresa, e indirizzata a una serie di azioni, tra cui: integrazioni di redditi da lavoro, sostegno alle fasce sociali disagiate, riduzione del cuneo fiscale, potenziamento degli investimenti pubblici.

Il differimento temporale tra emissione e utilizzabilità (i due anni sopra citati) dà tempo all’economia di generare, grazie alla ripresa economica, gettito fiscale compensativo che, al momento dell’utilizzo finale dei CCF, eviterà l’incremento del Maastricht Debt (vedi a pag. 12-15 qui l’illustrazione delle ipotesi e dei meccanismi operativi che lo garantiscono).

I CCF restituiscono quindi all’Italia le leve operative necessarie per sviluppare un’adeguata politica economica.

A questo fine, i Minibot non sono sufficienti, in quanto:

PRIMO, la loro dimensione è limitata dalla pre-esistenza di debiti commerciali e di crediti d’imposta (che tra l’altro devono essere verificati e certificati, prima di poter assegnare i Minibot); e

SECONDO, chi riceve i Minibot non beneficia di un effettivo arricchimento patrimoniale, o di reddito supplementare. Ha un effetto di anticipazione di liquidità, sicuramente utile, ma non della stessa portata.

Per meglio chiarire quest’ultimo punto: ricevere un Minibot oggi invece di euro tra alcuni mesi mi può indurre in una certa misura a spendere di più, ma sicuramente non ha lo stesso impatto di ricevere CCF senza che in cambio venga meno nessun altro credito o diritto.

Per queste ragioni, la strada per risolvere le disfunzioni dell’Eurosistema e per far uscire l’Italia dalla depressione economica è il progetto Moneta Fiscale / CCF.


sabato 1 giugno 2019

I CCF sono un "gimmick" ? intendiamoci...


Sabato scorso si è tenuto a Milano un convegno, organizzato agli amici di Sottosopra, che ha visto tra i relatori Sergio Cesaratto, Warren Mosler, Marco Veronese Passarella, e Randall Wray.

Non ho potuto presenziare, ma Francesco Chini mi ha riferito di aver sintetizzato per sommi capi il progetto Moneta Fiscale / CCF a Randall Wray. Il quale ha commentato qualcosa nel tipo “it sounds like a gimmick”.

Non essendoci, non posso giudicare se il commento sia stato formulato in un tono che lasciava intendere “sono scettico”, o “sono sorpreso”, o “bisogna rifletterci”, o altro ancora.

Mi limito a qualche considerazione. Che cosa vuol dire “gimmick” ? e i CCF possono essere definiti tali ?

Prendiamo le definizioni e le traduzioni proposte da wordreference.com, un dizionario / vocabolario online che utilizzo parecchio, anche per lavoro.

Le accezioni che vengono proposte per “gimmick” sono due, tra loro abbastanza differenti.

Gimmick = trick, catch = trucco, strategemma, espediente.

Gimmick = clever device = aggeggio, arnese (ma anche, anzi letteralmente: “intelligente strumento”).

Ovviamente il mio giudizio è di parte (!) ma mi pare proprio che i CCF non siano un “trick”, bensì un “clever device”.

Lo confermano gli studi approfonditi dei trattati e dei regolamenti UE (vedi qui, ma tornerò sul tema in uno dei prossimi post), effettuati dal Gruppo della Moneta Fiscale (Biagio Bossone – Marco Cattaneo – Massimo Costa – Stefano Sylos Labini).

E l’utilizzo dei CCF è proposto sulla base di alcune semplici considerazioni.

I debiti pubblici dei paesi appartenenti all’Eurozona non sono garantiti da una potestà di emissione monetaria. Quest’ultima è demandata alla BCE, a cui i trattati impediscono di fornire garanzie esplicite e illimitate.

Formalmente neanche (per esempio) la Federal Reserve garantisce incondizionatamente il debito federale USA, ma l’eventualità che la Fed consenta un default degli USA è considerata (a ragione) pura fantascienza.

I debiti sovrani degli stati membri dell’Eurozona incorporano invece un reale rischio di default: tanto è vero che uno stato membro, la Grecia, è andato in default. Il rischio non è teorico: si è già concretizzato.

E’ corretto e giusto che sia così ? no, è uno – probabilmente il più grave – dei difetti strutturali dell’Eurosistema.

E’ possibile cambiare questa situazione, ottenendo una garanzia incondizionata sui debiti sovrani, de jure o de facto, da parte della BCE ? No, è una proposta che non vale nemmeno la pena di formulare. Non sarebbe discussa, anzi nemmeno esaminata. La BCE e la UE la considererebbero “non ricevibile e non ricevuta”.

Dati questi presupposti, che strada si può percorrere ?

Emettere un’attività finanziaria (il Certificato di Credito Fiscale) che non è debito ai sensi dei trattati e dei regolamenti UE (non rientra nel Maastricht Debt) e che, non essendo soggetta a impegni di rimborso cash, non comporta il rischio di essere forzati al default.

Vedi qui per avere conferma che il Maastricht Debt non comprende i crediti fiscali.

L’utilizzo dei CCF consente di rilanciare domanda, competitività, produzione e occupazione, di bloccare l’incremento del Maastricht Debt e di avviarne la progressiva riduzione in percentuale del PIL.

E’ un “gimmick” ? lasciatemi essere immodesto: sì, nel senso che è un “clever device”.