martedì 29 marzo 2016

Non si può avere fiducia in un sistema disfunzionale



Un paio di giorni fa, è uscito sul Sole 24Ore un articolo di Guido Tabellini, che mi pare si possa sintetizzare come segue. Non è possibile fare passi avanti nell’integrazione economica dei paesi appartenenti all’Unione Monetaria, se l’Italia non attua azioni finalizzate a “ristabilire la fiducia reciproca”, in primo luogo facendo scendere “il debito pubblico” che “ha raggiunto livelli che mettono a repentaglio la stabilità finanziaria, non solo dell’Italia”.

Ora, quest’ultima affermazione la si sente ripetere da quasi cinque anni, cioè dall’avvio di politiche di austerità e di consolidamento fiscale che hanno prodotto una pesantissima compressione di PIL e occupazione, nonché (a seguito dell’effetto sul denominatore) un netto peggioramento del rapporto debito pubblico / PIL.

Nell’articolo si afferma che “la Germania non si fida più del Sud Europa”. Può essere, ma mi pare ancora più corretto dire che non solo il Sud Europa, ma l’Eurozona nel suo complesso – o quantomeno una larghissima parte dei suoi cittadini – non si fida più delle possibilità di successo delle politiche economiche su cui s’impernia la governance dell’Unione Monetaria. E questa mancanza di fiducia è ampiamente giustificata, peraltro, da quanto è avvenuto soprattutto dal 2011 in poi.

D’altra parte che forma potrebbero assumere queste azioni finalizzate a far scendere il debito pubblico ?

Un intervento fiscale restrittivo – in forma di tasse e/o tagli – significa la cancellazione di quel minimo alito di crescita del PIL che, bene o male, l’Italia ha ottenuto nel 2015, riproponendo le stesse dinamiche perverse che hanno pesantemente danneggiato l’economia nazionale, soprattutto nel 2012 e nel 2013.

Un intervento una tantum sotto forma di una pesante imposta patrimoniale produrrebbe effetti analoghi.

Un'alternativa è un grosso piano di dismissione di attivi pubblici. Che, comunque, implica lo spossessamento (probabilmente a condizioni sfavorevoli) di patrimonio statale, ed avrebbe senso solo se si accompagnasse a concessioni sul fronte dell’attuazione di azioni fiscali espansive – alcuni punti di incremento del deficit pubblico per qualche anno, in altri termini. Non credo che ci sarebbe alcuna apertura, al riguardo, da parte delle autorità UE / UEM.

Tutt'altro effetto avrebbe, invece, emettere titoli fiscali (Certificati di Credito Fiscale, CCF) utilizzabili per ridurre pagamenti altrimenti dovuti alla pubblica amministrazione (per tasse, imposte o per qualsiasi altra causale) a partire da una data futura prestabilita – per esempio due anni dopo l’assegnazione originaria.

E assegnare gratuitamente i CCF a cittadini e aziende, per integrare redditi, incrementare spesa sociale, cofinanziare investimenti di pubblica utilità, ridurre il costo del lavoro lordo che grava sulle imprese, eccetera.

Il CCF è un titolo che non “mette a repentaglio” la stabilità finanziaria del paese emittente, in quanto non ha natura debitoria: non deve essere rimborsato in euro, in altri termini.

E’ vero che, nel momento in cui giunge a scadenza, il CCF ceteris paribus riduce (nella misura in cui viene utilizzato dal possessore) le entrate fiscali dello stato emittente. Ma nel frattempo l’economia è ripartita (perché il CCF ha valore fin dal momento in cui viene emesso, in quanto dà diritto a un beneficio futuro ma certo, e costituisce quindi un effettivo accrescimento di reddito e potere d’acquisto per chi lo riceve). Si producono quindi aumenti di PIL e di gettito sufficienti a compensare (a scadenza) l’utilizzo dei CCF.

Un’azione di questo tipo consente all’Italia, credibilmente e plausibilmente, di assumere l’impegno a mantenere in pareggio, in ogni singolo anno, le entrate e uscite pubbliche (intese come euro incassati ed euro pagati).

Il successo dell’azione è supportato, in primo luogo, dall’ampio livello di capacità produttiva inutilizzata dell’economia italiana. Il PIL reale 2015 è 9% inferiore a quello del 2007, il che equivale a 150 miliardi di minor prodotto e probabilmente a circa 70 di minor gettito. E’ assurdo pensare che, ripristinando adeguati livelli di domanda, l’Italia non possa tornare, in qualche anno, almeno ai livelli di PIL reale conseguiti nove anni fa. E questo implica, ovviamente, anche riassorbire la disoccupazione e mettere fine alla crisi.

Se poi qualche evoluzione congiunturale meno favorevole del previsto mettesse in dubbio il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica in singoli anni, possono essere comunque attuate una o più delle seguenti azioni compensative.

Su base volontaria, possono essere proposte, ai titolari di CCF che giungono a scadenza, posticipazioni di data di utilizzo, in cambio di incrementi nel valore facciale dei CCF stessi (in pratica, un tasso d’interesse pagato in “moneta fiscale”).

Sempre su base volontaria, il Ministero dell’Economia può emettere “CCF di lunga scadenza” per rifinanziare, o anche per riacquistare in anticipo, titoli di debito pubblico che andrebbero altrimenti rimborsati in euro.

Nell’eventualità (molto improbabile) che tutto quanto sopra non sia sufficiente, possono essere introdotte tasse da pagare in euro, ma compensate da erogazioni di CCF al contribuente; oppure determinate quote di spesa pubblica possono essere sostenute in CCF e non in euro.

In sintesi, il successo del progetto CCF è ottenuto in primo luogo rimettendo al lavoro le risorse produttive inutilizzate del sistema economico italiano.

Se questo non bastasse, si fa leva (su base volontaria o, molto al limite, forzosa) sull’alto livello di risparmio privato esistente in Italia.

Poiché l’Italia non ha mai accumulato alti deficit commerciali, la sua posizione finanziaria netta sull’estero è solo modestamente negativa (25% circa del PIL). Non sorprende quindi che a fronte dell’alto debito pubblico esista molto risparmio privato. In effetti, si spiega tutto in termini di partita doppia.

Il meccanismo sopra delineato fa leva sul risparmio privato (ove mai non bastasse il recupero di capacità produttiva oggi inutilizzata) per garantire il debito pubblico: ma non abbattendo il primo per pagare il secondo (con conseguenze depressive sulla domanda), bensì convertendo titoli di debito (da rimborsare in euro) in titoli fiscali (non soggetti a rimborso).

Va anche notato che se si “esagera”, cioè se si emettono quantità eccessive di CCF, il rischio è quello dello svilimento di valore del CCF nazionale, non dell’euro. Gli effetti di una politica eccessivamente espansiva, in altri termini, ricadono sul paese che la attua, non sugli altri membri dell’Eurozona.

Può darsi che esistano alternative per sbloccare lo stallo in cui l’economia italiana e la governance dell’Eurozona si sono venute a trovare. Io, però, in tutta franchezza, non ne vedo (e infatti l'articolo di Tabellini non le indica). Salvo una forte azione di Helicopter Money da parte della BCE: ma è un’ipotesi fuori dal controllo del governo italiano.

martedì 22 marzo 2016

Guida pratica e sintetica ai CCF

Grazie a Fabrizio Vanzan, tutto quello che è utile avere sulla punta delle dita in merito ai Certificati di Credito Fiscale...




Certificati di Credito Fiscale: espandere la domanda nel rispetto dei Trattati vigenti

Principali caratteristiche dei CCF:
·        sono crediti d’imposta, cioè titoli emessi dal Governo che così offre ai Privati (cittadini e imprese) una riduzione d’imposta differita nel tempo (due anni dall’emissione)
·        sono denominati in euro ma non ledono il monopolio BCE: lo Stato non emette euro ma si impegna a ridurre le imposte per l’ammontare dei CCF
·        non comportano esborsi monetari per lo Stato ma solo l’impegno a ridurre le imposte per il corrispondente valore facciale dei CCF
·        sono titoli infruttiferi, non maturano interessi, lo Stato non può fare default sui CCF, l’ammontare emesso è una percentuale del gettito fiscale previsto
·        al pari di agevolazioni fiscali quali superammortamento et al., rientrano fra le “passività atipiche” per lo Stato, contabilizzate in appositi fondi previsionali, quindi non sono “debito pubblico”, né “deficit”, non sono vincolati dai Trattati Europei né dal pareggio di bilancio in Costituzione
·        sono titoli negoziabili sul mercato, a fronte di uno sconto pro-soluto sul valore facciale, variabile in base al differimento della riduzione d’imposta
·        sono idonei alla circolazione fra privati, in cambio di sconti su valore facciale e/o di beni e servizi
·        sono un “succedaneo monetario circolante”, necessario all’espansione della domanda di consumi e investimenti, per una ripresa strutturale dell’economia, non dipendente da variabili esogene non controllate dal Governo (prezzi materie prime, importazioni di altre Nazioni ecc.)
·        contribuiscono ad aumento PIL e riduzione debito pubblico, in linea con il Fiscal Compact, senza innescare spirali recessive (austerità, tagli di spesa pubblica e aumento tassazione,  minor reddito e patrimonio privato, meno consumi e investimenti, disoccupazione ecc.)
·        sono emessi solo su base nazionale (eventualmente locale), agiscono su domanda interna, non comportano squilibri nei conti con l’estero (grazie all’azione anche sul cuneo fiscale, vedi seguito).

Applicazioni pratiche; i CCF sono flessibili e applicabili in vari modi, quello originario prevede:
·        incremento del potere d’acquisto dei lavoratori a basso reddito, mediante assegnazione di CCF (in pratica, qualcosa di simile agli 80 euro di Renzi)
·        riduzione del costo lordo del lavoro (cuneo fiscale): ogni datore di lavoro riceverebbe CCF in una percentuale prestabilita
·        altre azioni di sostegno della domanda: integrazioni pensionistiche, sussidi di disoccupazione, investimenti pubblici, lavori di pubblica utilità, politica industriale ecc.
·        positivi precedenti storici (uscita della Germania dalla “deflazione di Bruning”)

Obiettivi; l’economia nazionale conseguirebbe significativi risultati quali:
·        aumento domanda interna
·        miglioramento competitività aziende
·        piena sostenibilità: lo sconto d’imposta differito è compensato dall’aumento della base imponibile; nessun rischio inflativo (i CCF servono a riattivare capacità produttiva sotto-utilizzata, all’aumento della circolazione dei CCF corrisponde un aumento della produzione-stock di beni e servizi, non un aumento dei prezzi).

Clausole di salvaguardia non-procicliche; sfasamenti rispetto alle previsioni di recupero del PIL e del gettito sono agevolmente gestibili:
·        estensioni nelle scadenze di utilizzo dei CCF su base volontaria, offrendo un interesse
·        collocamento di CCF di lunga scadenza per rimborsare debito in euro
·        in casi estremi (molto improbabili) tagli di spesa o incrementi di imposta compensati da erogazioni addizionali di CCF, senza gli effetti depressivi delle manovre 2011-2012  

Approfondimenti:

CCF, articoli su Il Sole 24 Ore online:
Il Vice-Direttore de Il Sole 24 Ore Alessandro Plateroti intervista Marco Cattaneo, 26.2.2016:

CCF, bibliografia essenziale:

CCF, il sostegno di Mediobanca:

Altri link utili:
·        Sito aziendale: www.cpi-pe.com
·        Eurocrisi: www.cpi-pe.com/l-eurocrisi/ 
·        Blog: bastaconleurocrisi.blogspot.it/

Profilo di Marco Cattaneo
nato a Magenta (MI) nel 1962. Laureato a pieni voti in economia aziendale (Bocconi 1985).
Tra il 1985 e il 1994, ho ricoperto cariche nell’area pianificazione, controllo, finanza aziendale e finanza straordinaria presso il Gruppo Montedison.
Dal 1995 gestisco fondi e rappresento primari investitori internazionali in operazioni di private equity. Nella mia qualità di amministratore delegato di LBO Italia (1995-2007) e di presidente di CPI Private Equity (dal 2008 in poi) ho finalizzato dodici operazioni di investimento in società imprenditoriali italiane di dimensione compresa tra i 10 e i 50 milioni di euro di fatturato, e ne ho supervisionato gestione e valorizzazione.