martedì 28 febbraio 2023

La circolazione della Moneta Fiscale

 

Mi riaggancio a un’affermazione formulata nel mio ultimo post: “più il credito [fiscale] circola, e più è probabile che parte rilevante dei crediti emessi non vengano utilizzati per compensare tributi”. Il motivo è che il credito fiscale trasferibile è una Moneta Fiscale ad ampia accettazione, e chi la detiene quindi tende, in misura significativa, a scambiarla, senza necessariamente usarla per ridurre pagamenti di tributi.

Del resto, ai tempi del gold standard la moneta era convertibile in oro a un tasso prestabilito: ma in pratica chi si presentava effettivamente alla Banca Centrale per chiedere lingotti al posto delle banconote ? nessuno, a meno che non venisse emessa così tanta moneta da ingenerare il dubbio che la Banca Centrale NON sarebbe stata in grado di onorare le eventuali richieste di conversione.

In definitiva è sempre una questione di equilibrio. I pagamenti dovuti ogni anno alla Pubblica Amministrazione, a titolo di tasse, imposte, contributi eccetera, sono dell’ordine di circa 900 miliardi. Finché la circolazione di crediti fiscali rimane nettamente al di sotto di tale importo, il dubbio che si crei un “sovraffollamento”, cioè che le richieste di utilizzo superino il prelievo fiscale lordo, non ha ragione di esistere.

Tra l’altro la proposta Minibot di Claudio Borghi era impostata sull’idea di emetterli in forma cartacea, il che secondo il proponente avrebbe avuto il risultato di stimolare la circolazione e ridurre l’utilizzo (per compensazioni fiscali). Questa affermazione però mi lascia perplesso. Se l’utilizzo è semplice e certo, il valore del titolo è garantito. Il motivo per cui il Minibot cartaceo non sarebbe in pratica massicciamente utilizzato in compensazione è che raccogliere pezzi di carta e presentarli al fisco è scomodo. Ma se è scomodo al punto da far preferire la circolazione alla compensazione, significa che la compensazione è così macchinosa da svilire il valore del titolo.

Mi convince molto di più l’idea di favorire la circolazione, e quindi di differire la compensazione, creando degli appositi conti fiscali, gestiti dal MEF, presso cui la Moneta Fiscale verrebbe depositata, offrendo un tasso d’interesse superiore ai normali conti correnti bancari. Che attualmente (in effetti da parecchi anni) rendono zero. Quindi basterebbe un rendimento dell’1% o del 2%.

La circolazione avverrebbe addebitando il conto fiscale del pagatore e accreditando quello del percettore, esattamente come si verifica per i conti bancari. Il differimento dell’utilizzo in compensazione non avverrebbe perché la compensazione “è scomoda”, ma perché è conveniente che la Moneta Fiscale rimanga sui conti fiscali (anche passando da un conto all’altro) e renda interessi.

Ancora una volta, comunque, si conferma l’infondatezza della pretesa di Eurostat. Che vuole considerare “pagabili” i crediti fiscali NON soggetti a rimborso cash ma che possono circolare, in quanto “la circolazione rende certo che verranno utilizzati per compensare pagamenti all’erario, perché prima o poi finiranno in mano a qualcuno che li userà a quello scopo”. Al contrario: la libera circolazione DIMINUISCE, non aumenta, le probabilità di utilizzo in compensazione.

domenica 26 febbraio 2023

Moneta Fiscale e gettoni telefonici

 

Nell’ultimo post ho chiarito che le recenti modifiche alle regole contabili di Eurostat non impediscono affatto l’emissione di Moneta Fiscale e non minano la sua efficacia. Eurostat ha solo affermato che i crediti fiscali utilizzabili in compensazione, se possono circolare liberamente, devono essere computati nel deficit pubblico dell’anno di emissione, non dell’anno di utilizzo.

Cambia quindi il profilo temporale del deficit, ma non l’impatto totale sul deficit. E non cambiano minimamente (neanche sotto il profilo temporale) né il fabbisogno finanziario dello Stato (non serve trovare fondi sul mercato per emettere crediti fiscali) né il debito pubblico di Maastricht (quello rilevante ai sensi dei trattati).

Ciò premesso, la modifica introdotta da Eurostat è a dir poco discutibile, e un’ulteriore argomentazione che mette in luce la sua incoerenza l’ha fornita Massimo Costa.

Per ragioni (a quanto ne so) mai ben chiarite, durante gli anni Settanta del secolo (anzi del millennio…) scorso, scarseggiavano le monete metalliche, e quindi erano spesso utilizzati succedanei per gestire le piccole transazioni. I miniassegni, le caramelle date come resto. E i gettoni telefonici.

Il gettone costava 200 lire, e veniva scambiato per quel valore. Ci pagavi il caffè oppure lo ricevevi in cambio delle mille lire quando effettuavi un acquisto che costava 800.

Il valore di 200 lire non veniva messo in discussione perché quello era il prezzo a cui la Telecom (allora ancora SIP) lo vendeva.

Se il gettone non avesse potuto circolare liberamente, è chiaro che pressoché tutti i gettoni sarebbero stati usati per telefonare (ai tempi c’erano le cabine telefoniche, e non i cellulari né tantomeno gli smartphone…). Chiaramente qualcuno sarebbe stato perso, qualcun altro dimenticato in qualche tasca di vestiti dismessi. Ma la grande maggioranza sarebbe stata usata nelle cabine telefoniche.

Poiché invece circolavano, tantissimi gettoni NON venivano, al contrario, usati per le telefonate: continuavano a passare di mano in mano.

Ecco: Eurostat pretende di considerare il credito fiscale a libera circolazione parte del deficit pubblico già all’atto dell’emissione perché afferma che la libera circolazione implica che prima o poi qualcuno (non necessariamente l’assegnatario originale, ma qualcuno a cui è stato ceduto successivamente) lo userà per ridurre i pagamenti di tributi.

È vero proprio il contrario: più il credito circola, e più è probabile che parte rilevante dei crediti emessi non vengano usati per compensare tributi, e in ogni caso è assolutamente incerto il momento futuro in cui avverrà la compensazione.

Così come cinquant’anni fa, o poco meno, i gettoni circolavano, e finché circolavano non venivano usati per telefonare…

 

venerdì 24 febbraio 2023

Superbonus, crediti fiscali, Moneta Fiscale: fare chiarezza

 

Il dibattito sul Superbonus 110% e sui crediti fiscali immobiliari, alla luce dei recenti provvedimenti del governo, ha raggiunto vette di concitazione che non contribuiscono certo a capire che cosa sta succedendo. Cerco qui di seguito di chiarire il tema.

UNO, Eurostat NON ha affatto “bocciato la Moneta Fiscale” né l’ha “messa fuori corso”. Eurostat al contrario ha pienamente riconosciuto che i crediti fiscali trasferibili, utilizzabili per compensare tributi, esistono e sono pienamente legittimi. Ha solo affermato che vanno considerati spese dello Stato all’atto dell’emissione e non minor gettito fiscale negli anni in cui verranno utilizzati; e che di conseguenza entrano nel deficit pubblico nell’anno di emissione medesimo, non successivamente.

Che cosa significa ? che cambia solo il profilo temporale del deficit, non l’impatto sul deficit complessivo. L’impatto totale rimane lo stesso ed è pari all’ammontare dei crediti emessi AL NETTO dei benefici in termini di crescita del PIL e quindi del gettito tributario.

DUE, ISTAT ed Eurostat hanno confermato che i crediti fiscali, trasferibili o meno, NON vanno computati nel “debito pubblico di Maastricht”, quello rilevante ai fini dei trattati. La ragione è semplice: lo Stato non deve approvvigionarsi di fondi per emettere crediti fiscali. Li crea dal nulla, come se si trattasse di una moneta fiat.

TRE, per lo stesso motivo, all’atto dell’emissione i crediti fiscali non producono nessun impatto sul fabbisogno di cassa dello Stato.

QUATTRO, è una bugia sfacciata, che purtroppo viene costantemente ripetuta, che il Superbonus 110% abbia prodotto un’enorme quantità di frodi. Già il 10 febbraio 2022 il direttore generale dell’agenzia delle entrate, in audizione presso la commissione bilancio del Senato, aveva chiarito che solo il 3% delle frodi accertate erano riconducibili al Superbonus. I principali “colpevoli” erano state altre categorie di bonus, in particolare il bonus facciate (46%) e l’ecobonus (34%). Il Superbonus 110% è nato con un sistema di controlli ed asseverazioni (successivamente anche rafforzati) che hanno limitato al minimo le frodi. Il che significa che le frodi non si eliminano bloccando la circolazione dei crediti (come hanno affermato Draghi tempo addietro, e Giorgetti ancora pochi giorni fa) ma introducendo un appropriato sistema di controlli – sull’emissione, non sulla circolazione. Ed è proprio il Superbonus a dimostrarlo !

Detto tutto ciò, il Superbonus ha dei difetti ? doveva essere costruito diversamente ? probabilmente sì, ma per motivi che non hanno nulla a che vedere né con le frodi né con la demonizzazione della Moneta Fiscale:

CINQUE, si sostiene che fosse eccessiva l’aliquota con cui è stato introdotto, il famoso 110%. Se si incentiva un importo addirittura superiore alla spesa effettiva viene meno la spinta, da parte di chi commissiona i lavori, a negoziare al meglio con l’azienda a cui vengono affidati. Va detto che il 110% è ripartito su cinque anni, quindi al momento della cessione del credito entra in gioco l’attualizzazione dei benefici futuri: per cui il valore riconosciuto dal compratore è sempre stato inferiore a 110%, e spesso anche a 100%. In ogni caso, questa obiezione ha un fondamento ma non mette in dubbio la validità dello strumento: casomai suggerisce (come del resto già è stato fatto) di abbassare l’aliquota di incentivo.

SEI, quello che è senz’altro un difetto del Superbonus è non aver previsto un limite dimensionale. Se non si fissa un limite totale di lavori incentivabili, per esempio su base annua, si rischia che le opere incentivate siano di ammontare superiore a quelle che il settore edilizio nazionale riesce a gestire. E questo sicuramente crea un collo di bottiglia e produce la lievitazione dei costi. Ma questo significa semplicemente che qualsiasi applicazione della Moneta Fiscale, così come qualsiasi politica economica espansiva, deve essere ben calibrata nelle sue dimensioni e modalità.

Altro che “metterla fuori corso”. La Moneta Fiscale, vale a dire i crediti fiscali trasferibili e utilizzabili in compensazione, sono uno strumento di enorme efficacia, e sarebbe folle che lo Stato italiano rinunciasse a utilizzarlo.

venerdì 17 febbraio 2023

Inflazione e tassi d’interesse

 

Parecchi economisti, soprattutto di scuola MMT, esprimono perplessità sul fatto che incrementare i tassi d’interesse produca il calo dell’inflazione. Cosa, questa, che sorprende molti commentatori. Il fatto che l’inflazione salga o scenda in funzione della disponibilità di credito a tassi, rispettivamente, più bassi o più alti, in genere è considerato un’ovvietà. Di sicuro, è quanto hanno in mente le principali banche centrali, Fed e BCE prime tra tutte.

Certo, tassi d’interesse più alti significa credito più caro, quindi rallentamento degli investimenti (soprattutto immobiliari, ma non solo) e dei consumi (in Italia il consumatore compra a credito meno che altrove, ma comunque molto più che in passato).

C’è anche un effetto ricchezza: maggiori tassi d’interesse deprimono il valore di mercato delle obbligazioni a tasso fisso e delle azioni. Il risparmiatore / investitore si sente quindi meno ricco e questo dovrebbe spingerlo a limitare le spese (anche se non è chiaro in che misura).

Tuttavia ci sono almeno due fenomeni rilevanti che puntano nella direzione opposta.

Il primo: la maggior parte dell’aziende hanno debiti finanziari e gli interessi che pagano su questi debiti sono un costo di gestione. Se il maggior costo del lavoro e delle materie prime le spinge a chiedere maggiori prezzi per i loro prodotti (quantomeno a provarci) non vale lo stesso per il costo del denaro ?

Il secondo: chi ha soldi da investire in titoli a reddito fisso ottiene una maggiore remunerazione. Più interessi attivi, in altri termini. Questo è a tutti gli effetti maggior reddito, e a parità di altre condizioni spinge consumi e prezzi al rialzo, non al ribasso.

Si può argomentare che il saldo netto di tutti questi effetti vada, in ogni caso, nella direzione di maggiori tassi => minore inflazione. Però non sono a conoscenza di nessuno studio che abbia cercato di quantificarli voce per voce, e di arrivare a una conclusione solida e ben fondata che ne dia evidenza. Magari esiste, e ringrazio chi nel caso me lo segnalerà.

Tuttavia tanto per cambiare il mantra delle banche centrali, alzare i tassi per ridurre l’inflazione, mi sembra alquanto dogmatico, e di efficacia quantomeno dubbia.

martedì 14 febbraio 2023

Rassegna stampa 10.2.2023 9MQ

Sul canale degli amici di 9MQ, venerdì scorso Fabio Conditi e io abbiamo prima commentato la rassegna stampa, poi (dal minuto 28'50") parlato di Moneta Fiscale, anche alla luce degli ultimi sviluppi su temi quali Superbonus ed Eurostat.

Qui sotto il video.




sabato 11 febbraio 2023

Dice Mike Norman…

 

…ben noto attivista MMT:

“There is no national “debt”. Period. Debt to whom ? What is owed ? This is the most ridicolous, idiotic argument that ever esisted. It is a reflection of complete and utter ignorance and the total indoctrination (gaslightning) of a citizenry about a non-issue.”

“Non esiste un “debito” nazionale. Punto. Debito verso chi ? Cosa è dovuto ? Questa è la discussione più ridicola e idiota che sia mai esistita. È un riflesso della completa e totale ignoranza e del totale indottrinamento di una cittadinanza su un non problema”.

Un problema in effetti, quello del debito pubblico, completamente inventato. Che diventa reale solo se qualcuno commette il tragico errore di convertirlo in moneta straniera, per esempio aderendo all'euro

martedì 7 febbraio 2023

Ancora sull’impatto della Brexit

 

Sempre sul tema Brexit, e sul confronto tra realtà e narrazione, riporto qui di seguito i dati aggiornati, forniti dal Fondo Monetario Internazionale a fine gennaio.

Per il 2022, siamo ormai a livello di consuntivi, sia pure preliminari (potrà esserci qualche aggiustamento, ma a livello di decimali).

Fatto pari a 100 il PIL 2019 (ultimo anno prima della Brexit), il livello 2022 del Regno Unito è addirittura il migliore tra i principali paesi europei: 101,4 contro 100,9 per Francia e Italia, 100,7 per la Germania, e 98,6 per la Spagna.

Obiettano gli euroausterici: il Regno Unito è l’unico per cui è prevista una variazione negativa del PIL nel 2023. Ma, a parte il fatto che qui siamo sulle previsioni, e le previsioni sono spessissimo disattese dalla realtà; a parte che il dato 2023 previsionale UK è ritenuto, da parecchi commentatori, dovuto a fenomeni diversi dalla Brexit (es. il conflitto tra il governo Truss, ormai dimissionato, e la Bank of England sul finanziamento del deficit pubblico, e le conseguenti turbolenze finanziarie)…


…a parte tutto questo, la posizione UK per il 2023 sarebbe comunque all’interno del campione: 100,8 come la Germania, sotto il 101,6 francese e il 101,5 italiano, ma meglio del 99,7 spagnolo.

Il disastro economico della Brexit è una fantasia degli euroausterici, o per meglio dire una delle solite operazioni propagandistiche di Bruxelles: cercare di convincere l’opinione pubblica che fuori dalla UE c’è solo pianto e stridor di denti.

Senza che i dati lo confermino, neanche lontanamente.


sabato 4 febbraio 2023

La Moneta Fiscale è più viva che mai

 

Lo scorso 1° febbraio, Eurostat ha pubblicato l’edizione aggiornata del Manual on Government Deficit and Debt (MGDD), e molti commentatori l’hanno interpretata come una campana a morto per la Moneta Fiscale.

Le edizioni precedenti del MGDD contenevano un concetto molto semplice e chiaro: concorrevano alla determinazione del deficit e del debito pubblico i  crediti verso l’erario che, se non utilizzati dal titolare per compensare (quindi per ridurre, o azzerare) il pagamento di tributi, dovevano comunque essere rimborsati cash dalla pubblica amministrazione. Si parla dei cosiddetti payable tax credits, e il concetto appare evidente dalla denominazione stessa.

I crediti utilizzabili in compensazione ma senza diritto al rimborso cash erano invece non payable tax credits, e non concorrevano al deficit e al debito pubblico.

Il nuovo MGDD invece introduce un nuovo concetto. Con una capriola semantica e logica degna di miglior causa, afferma che vanno considerati payable tax credits quelli che hanno elevata probabilità di essere effettivamente utilizzati, anche se non danno diritto a rimborso, mentre i non payable tax credits sono solo quelli che, oltre a non essere rimborsabili, hanno significative possibilità di scadere senza che nessuno li utilizzi.

Per comprendere se un credito fiscale sia payable o meno, occorre a questo punto tenere in considerazione vari fattori. Se un credito può essere ceduto a terzi, le probabilità di utilizzo aumentano, perché il compratore non effettuerebbe l’acquisto se non prevedesse ragionevolmente di utilizzarli. Ma ci sono altre cose da tenere in considerazione: la probabilità di utilizzo aumenta se il credito (anche quando non è trasferibile) ha durata temporale lunga, o addirittura indefinita; se può essere utilizzato per compensare una varietà di tributi, e non una sola categoria; se viene attribuito a soggetti tendenzialmente “capienti”; eccetera.

Riguardo alla “capienza”, prendiamo per esempio il caso dei super-ammortamenti / iper-ammortamenti, cioè dei vari provvedimenti che hanno consentito in passato di ammortizzare per un valore superiore al costo d’acquisto, a fini fiscali, cespiti acquistati da un’azienda.

I super- e iper-ammortamenti non sono mai stati trasferibili, ma è chiaro che un’azienda, prima di investire in un bene strumentale, valuta attentamente se sarà in grado di utilizzare il beneficio fiscale. Naturalmente si può sbagliare, ma è difficile che i risultati futuri siano così negativi da non permettere mai l’utilizzo totale del beneficio. A questo punto bisognerebbe affermare che i super-ammortamenti, gli iper-ammortamenti, ma a ben guardare anche gli ammortamenti ordinari (!), siano payable tax credits, da classificare nel deficit e nel debito pubblico.

Un’evidente assurdità, che nessuno si è mai sognato di sostenere. Ma diventa una possibilità concreta alla luce del nuovo MGDD.

Sorgono poi altre domande. Chi determina la probabilità che un beneficio fiscale verrà utilizzato o andrà perso ? con quali criteri ? a quale percentuale si pone la “significativa probabilità” che il beneficio fiscale non verrà utilizzato ?

E ancora: poniamo che la stima probabilistica (effettuata non si sa da chi e non si sa con quali criteri) dell’utilizzo sia il 90% per un provvedimento, e il 50% per un altro.

La conseguenza è che nel primo caso, il costo fiscale del provvedimento sarà sovrastimato del 10% (perché verrà considerato deficit e debito per 100 quando in realtà l’impatto sarà 90). Nel secondo caso il costo fiscale verrà invece stimato zero: quindi si ignorerà totalmente, ai fini del calcolo del deficit e del debito, un provvedimento che comunque genererà, a parità di condizioni, un impatto fiscale pari a metà dell’importo massimo.

Il nuovo MGDD, in altri termini, delinea un capolavoro di arbitrarietà, di ambiguità e di incoerenza.

Detto tutto ciò, la Moneta Fiscale, cioè la possibilità di emettere crediti fiscali non payable (secondo la precedente, chiara e logica, definizione) e di farli liberamente circolare, è morta ? E nello specifico, lasciamo nei guai i titolari di crediti fiscali attribuiti a seguito del Superbonus 110% e degli altri provvedimenti introdotti a beneficio del settore immobiliare ?

Ma neanche per idea.

Il nuovo MGDD è stato pubblicato lo scorso 1° febbraio 2023, ma i suoi contenuti si stavano delineando già da parecchio tempo. Erano in corso interlocuzioni tra MEF, ISTAT ed Eurostat, e si stava parlando di quanto poi ha trovato concretizzazione.

Stefano Sylos Labini già il 29 giugno 2021 aveva quindi pubblicato su Milano Finanza un articolo che esprimeva una serie di dubbi e di preoccupazioni.

Pochi giorni dopo, sempre su Milano Finanza è uscita una replica di Davide Colombo, Direttore Relazioni Esterne e Ufficio Stampa ISTAT. La parte finale della replica è illuminante e la riporto testualmente.

“La differenza tra la spesa [pubblica] di competenza del primo anno e i crediti d’imposta già usufruiti, dà luogo a una passività finanziaria per lo Stato.

Tale passività finanziaria è classificata come other accounts e non rientra tra quelle che concorrono alla definizione del debito di Maastricht, quindi è errato affermare che la contabilizzazione di crediti payable abbia un impatto sul debito. L’utilizzo negli anni successivi dei crediti d’imposta payable da parte dei contribuenti riduce progressivamente tali passività finanziarie fino ad azzerarle”.

Che cosa significa ?

Il debito di Maastricht è quello rilevante per i trattati. Quello che viene costantemente monitorato e riguardo al quale la Commissione Europea discute con gli Stati gli obbiettivi di contenimento e di riduzione.

Esistono passività che sono inequivocabilmente debiti e che vanno quindi pagati, ma che non concorrono alla determinazione del debito di Maastricht. Sono appunto quelle che vengono classificate negli other accounts.

Una fattispecie di queste passività finanziarie sono i debiti di fornitura della pubblica amministrazione.

Un’altra fattispecie sono… i payable tax credits ! L'avevo già constatato diversi anni fa. I payable tax credits sono semplicemente IGNORATI, NON RICOMPRESI, nella determinazione del debito di Maastricht.

Sono ignorati anche se esistono, e in alcuni casi sono anche trasferibili e attivamente scambiati. Io personalmente ho collaborato per diversi anni con un’organizzazione finanziaria che compra crediti fiscali a sconto (soprattutto crediti IVA) e poi aspetta tranquillamente di essere rimborsata, generando così i suoi utili. Esiste un mercato di dimensioni significative, e molto attivo, che opera in questo segmento di attività.

Per maggiore chiarezza, quello che il dottor Colombo dell’ISTAT ci sta dicendo è: i payable tax credit quando sono emessi costituiscono spesa pubblica. Entro fine anno in parte verranno utilizzati (o rimborsati), e la parte ancora in essere costituirà una passività finanziaria dello Stato. Passività finanziaria dello Stato che si estinguerà negli anni successivi via via che avranno luogo i rimborsi, o le compensazioni, o l’estinzione per scadenza dei termini. Ma questa passività finanziaria NON È MAI RICOMPRESA NEL DEBITO DI MAASTRICHT.

A questo punto la conclusione è…

MA CHI SE NE FREGA DEL MGDD ???

L’emissione di crediti fiscali liberamente trasferibili è perfettamente possibile e non incide sul debito di Maastricht. Questo, sia che li chiamiamo payable che non payable che Amilcare che Giovanni.

Liberalizziamo quindi completamente la circolazione dei crediti d’imposta immobiliari, Superbonus e altri.

E utilizziamo lo strumento dei crediti fiscali trasferibili per tutte le azioni di politica economica che il governo riterrà opportune.

Non avremo nessun impatto sul debito di Maastricht, mentre recupereremo un amplissimo margine di autonomia nella gestione della politica economica italiana.

 

mercoledì 1 febbraio 2023

L’alternanza scuola-lavoro

 

Ogni tanto si riparla dell’alternanza scuola-lavoro, cioè del provvedimento normativo in base al quale i ragazzi, agli ultimi anni delle scuole superiori, devono passare un paio di settimane a svolgere un qualche tipo di attività presso un’azienda.

Quello che però forse sfugge è l’origine di questa innovazione. Si tratta, in effetti, di un grosso (ma non certo unico) esempio di ipocrisia.

Le deliranti politiche di austerità “prescritte” dalla UE e attuate in Italia soprattutto dei governi Monti e Letta hanno prodotto, tra i loro vari effetti nocivi, un forte incremento della disoccupazione giovanile.

Non solo di quella, in realtà. Trovare un lavoro, e trovarlo a condizioni stabili e dignitose, è diventato molto più difficile per i giovani, per i meno giovani e per i non più giovani. In sintesi, per tutti.

Ma la disoccupazione e la precarizzazione delle nuove leve hanno attirato l’attenzione dell’opinione pubblica in modo particolarmente significativo.

Poteva, l’establishment, ammettere che questa era la conseguenza delle “politiche di risanamento” e delle “riforme strutturali”, nomi con i quali viene chiamata l’euroausterità ?

Certo che no, ovviamente non poteva. DOVEVA esserci un’altra ragione. Eccola presto identificata: i giovani non trovano lavoro non perché la domanda interna è massacrata da tagli e tasse. I giovani non trovano lavoro perché “la scuola trascura le competenze e la formazione necessarie per inserirsi nel mondo del lavoro moderno”.

Soluzione ? prendere i diciottenni e far passare loro una decina di giorni in qualche organizzazione aziendale, a fare fotocopie (ma si fanno ancora le fotocopie ?) o a riordinare gli scatoloni negli scantinati.

Si capisce benissimo che ne nasce un contributo determinante a elevare gli skills necessari a muoversi nell’odierno mondo del lavoro infotelematicodigitalvirtuale.

Tutto questo è in perfetto stile euroausterico: creare un problema, rifiutare di riconoscerne le cause, e attivare interventi che non lo risolvono.