giovedì 29 ottobre 2020

Ancora sul trade-off tra economia e salute

 

Nel dibattito sull’opportunità di un nuovo lockdown per fronteggiare la seconda ondata Covid, e sui conseguenti impatti economici, c’è un convitato di pietra.

Il nome di questo convitato è, l’avrete intuito, euro, o se preferite eurosistema o euroausterità.

Provvedimenti restrittivi che riducano lo svolgimento delle normali attività per un periodo di tempo limitato producono una perdita di reddito che, per quanto sensibile, è un evento una tantum.

La perdita di reddito deve essere compensata da un intervento pubblico. Se la compensazione c’è, le attività soggette a restrizioni non subiscono un danno irreparabile.

In caso contrario, il danno economico si amplifica a dismisura perché molte attività falliscono, e si creano inoltre enormi problemi di insolvenze per i loro creditori.

Tutto questo è assolutamente evitabile. Immettere reddito compensativo (NON finanziamenti ma contributi a fondo perduto) non solo è possibile ma non ha controindicazioni, nel momento in cui (già prima del Covid) l’inflazione era ed è SOTTO i livelli-obiettivo delle Banche Centrali.

Di che cosa sto parlando ? di altissimi livelli del (cosiddetto) deficit pubblico, e della sua integrale monetizzazione.

Se tutto ciò, in vari paesi dell’Eurozona, non ha luogo, è a causa dei vincoli causati dalla natura disfunzionale dell’eurosistema. Della pretesa, in altri termini, che le immissioni di potere d’acquisto effettuate dal settore pubblico debbano assumere la forma di debito, e che non esista la possibilità (da parte dell’emittente della moneta in cui è denominato il debito) di garantirlo incondizionatamente.

In questa situazione, gli Stati hanno in molti casi le mani legate. E l’assurdo trade-off tra economia e salute nasce da questo. Come si può chiedere a tutta una serie di aziende, di esercizi commerciali, dietro cui ci sono persone, di scegliere tra rischio sanitario e rovina economica ? 

A fronte di tutto questo, i piani di intervento proposti dalla UE – SURE, MES, Recovery Fund – sono pateticamente inadeguati nelle dimensioni e nella tempistica di attuazione.

Senza contare che sono in realtà concepiti per imporre agli Stati, in un futuro potenzialmente molto vicino, ulteriori controlli, vincoli e vessazioni.

L’eurosistema, se non si rimedia a questo, non può più essere definito “solo” catastroficamente disfunzionale. Occorre aggiungere criminale, anzi omicida.

 

domenica 25 ottobre 2020

Considerazioni sul secondo lockdown

 

No, non ho nessuna opinione sull’opportunità di un secondo lockdown o comunque sulla necessità (o meno) di introdurre forti misure restrittive.

Mi limito a qualche riflessione, in particolare riguardo alle potenziali conseguenze economiche.

Mi pare un dato di fatto che vari paesi europei, introducendo misure di contenimento molto severe tra marzo e maggio, hanno abbattuto la curva dei contagi, ma adesso la stanno vedendo risalire.

Avevano allora ragione i paesi (allora, e anche in seguito, molto criticati) che hanno adottato politiche più permissive – gli Stati Uniti, il Brasile, la Svezia ? non lo so.

L’unico paese dove un lockdown estremamente rigoroso ha eliminato radicalmente il virus è la Cina. Almeno stando ai dati ufficiali. Se i dati cinesi sono attendibili, cosa su cui a dire il vero non scommetterei a occhi chiusi.

Ammesso comunque che la strategia di contenimento radicale abbia effettivamente funzionato in Cina, occorre tenere in considerazione tre caratteristiche di quel paese e di quel contesto.

PRIMO, il lockdown radicale è stato applicato in un’area con 60 milioni di abitanti, in un paese che ne conta un miliardo e trecento milioni. Nel resto del paese si continuava a lavorare (e a sostenere la regione di Hubei) in modo normale, o quasi.

SECONDO, la Cina è una dittatura. La possibilità di introdurre e di far rispettare misure draconiane non è la stessa nelle democrazie occidentali.

TERZO, al termine del lockdown la ripresa economica cinese è stato molto forte, grazie a enormi misure di sostegno – in particolare sotto forma di investimenti pubblici.

L’Italia, o quanto a questo qualsiasi paese occidentale, non si trova nella situazione descritta né al primo né al secondo punto.

Fortissime azioni di sostegno all’economia (terzo punto) invece sono possibili: ma solo se si buttano a mare i vincoli imposti dall’appartenenza al sistema euro.

E naturalmente la dimensione degli interventi necessari è di una scala completamente diversa rispetto ai soldi (finti) che dovrebbero (?) arrivare grazie al Recovery Fund.

Non deve necessariamente esistere un trade-off tra economia e salute. Assolutamente no. Ma per il nostro paese la scellerata decisione di entrare nell’euro, e di accettarne le regole di funzionamento, in pratica complica enormemente le cose.

 

venerdì 23 ottobre 2020

I (finti) soldi della UE ? meglio senza

 

Un addendum al post di settimana scorsa, dove si parlava di quanto NON stia meglio l’Italia (che riceve (?) i “mirabolanti” “sostegni” UE) rispetto al Regno Unito (che si stampa le sterline, senza chiedere permessi a nessun soggetto estero).

Sempre basandosi sulle recenti previsioni del Fondo Monetario Internazionale (World Economic Outlook, ottobre 2020), scopriamo che il rapporto tra debito pubblico lordo e PIL tra il 2020 e il 2025 dovrebbe avere le seguenti dinamiche.

In Italia, discesa dal 161,8% al 152,6%.

Nel Regno Unito, aumento dal 108% al 117%.

Giusto la stessa variazione, ma con segno opposto. Nove punti in meno per noi, nove punti in più per loro.

Questo equivale a un mare di soldi in più che i britannici immetteranno nell’economia per assorbire l’impatto economico del Coronavirus.

Naturalmente qualche anima candida ipotizzerà che oltre Manica se lo possano permettere perché il loro debito è più basso (in rapporto al PIL).

Ma in Giappone, dove è molto più alto anche rispetto a noi, nel medesimo periodo è prevista sì una discesa, ma solo per due punti percentuali: dal 266,2% al 264%.

In altri termini, l’adesione all’Eurosistema forza l’Italia a un processo di riduzione del debito pubblico molto più accentuato di quanto avviene in Giappone, nonostante cento e passa punti di debito (in rapporto al PIL) in più.

Una volta ancora, il problema del debito pubblico esiste in quanto l’adesione a una scellerata unione monetaria l’ha convertito in moneta straniera, legando le mani al paese con una serie di vincoli, controlli e condizionamenti privi di qualsiasi senso economico.

All’Italia non servono “i soldi della UE” (che peraltro non è ancora dato sapere se realmente arriveranno, né quando, né con quali condizionamenti).

Serve liberarsi dai vincoli dell’eurosistema.

 

martedì 20 ottobre 2020

CCF e Moneta Fiscale: la cronistoria

Notevole lavoro di Francesco Chini e Thomas Vaglietti, qui in allegato: gli eventi fondamentali che hanno caratterizzato, da otto anni a questa parte, lo sviluppo del progetto CCF - Certificati di Compensazione Fiscale / Moneta Fiscale.

domenica 18 ottobre 2020

Il debito pubblico è un problema inventato

 

Il grande abbaglio (o la grande mistificazione)

Praticamente da quando siamo nati, o da quando abbiamo raggiunto l’età di intendere e volere, ci sentiamo ripetere che:

l’Italia ha “troppo debito pubblico”

il debito è un “fardello per le generazioni future”

andrebbero fatte cose, andrebbero ridotte le tasse, ma “non si può perché bisogna ridurre il deficit / il debito”.

 

 

Primo concetto: uno Stato che emette la sua moneta non ha bisogno di emettere debito

Se lo Stato emette la moneta nazionale, non c’è alcuna necessità che si indebiti.

Lo Stato semplicemente spende una determinata quantità di moneta “fiat”, ne ritira una parte con le tasse, e lascia in circolazione la differenza (il cosiddetto “deficit pubblico”).

Se la bilancia commerciale del paese non è passiva, la differenza rimane tutta all’interno del paese, sotto forma di risparmio finanziario.

 

 

Secondo concetto: il debito pubblico ha un senso solo come servizio di gestione del risparmio

Il debito pubblico non ha alcuna necessità di esistere.

Può avere una funzione come servizio di gestione del risparmio offerto ai propri cittadini.

L’immissione di moneta tramite il cosiddetto “deficit pubblico” lascia risparmio in mano alle famiglie: è utile che esista una possibilità di impiego sicura e non speculativa.

Questo impiego del risparmio è il cosiddetto “debito pubblico”.

Ma non ha nessun senso preoccuparsi del suo livello.

 

 

Terzo concetto: quali sono i veri vincoli al (cosiddetto) deficit pubblico ?

Un eccesso di immissione di potere d’acquisto nel sistema economico può creare due tipi di problemi.

Il primo è l’inflazione.

Il secondo è lo squilibrio nei saldi commerciali esteri (troppo potere d’acquisto si rivolge verso beni e servizi importati).

Ma nessuno di questi due problemi esiste oggi per l’Italia (inflazione zero, 60 miliardi annui di surplus commerciale).

 

 

In conclusione:le credenze superstiziose da abbandonare

Il debito pubblico italiano è un problema reale, ma è stato INVENTATO DAL NULLA con l’ingresso nell’euro.

L’Italia oggi emette debito in una moneta emessa e gestita da terzi, soggetta a vincoli privi di logica economica.

E’ assolutamente indispensabile rimuovere questi vincoli.

Lo era già prima del Covid, perché l’Italia si trovava da molti anni in una depressione economica facilmente risolvibile – ma irrisolta appunto a causa di vincoli arbitrari, illogici e infondati.

Lo è a maggior ragione oggi.

giovedì 15 ottobre 2020

I “poveri britannici” senza “i soldi della UE”

 

Il Recovery Fund si sta sgonfiando come un pallone bucato. Ma il suo impatto mediatico non è del tutto venuto meno. Un buon numero di persone continua a farsi abbindolare dai 209 miliardi che dovrebbero piovere dal cielo grazie alla “svolta solidale e keynesiana” della UE. 

Uno dei commenti più involontariamente umoristici che si leggono (ancora) di frequente è quello di chi compatisce, o fa dell'ironia su, i britannici che avendo deciso di brexitare, non parteciperanno alla cuccagna.

A chi afferma quanto sopra, sfugge qualche banalissimo dato di realtà. Per esempio, quanto segue.

Secondo le previsioni aggiornate pochi giorni fa dal Fondo Monetario Internazionale, il Regno Unito registrerà un rapporto deficit pubblico / PIL del 16,5% nel 2020, e del 9,2% nel 2021.

Gli analoghi valori per l’Italia sono rispettivamente pari al 13% e al 6,2%.

Come spiegato in altri post, il deficit pubblico non andrebbe chiamato “deficit”. L’eccesso della spesa pubblica rispetto alle entrate dell’Erario è in realtà un surplus del settore privato. Corrisponde alle risorse finanziarie immesse dal governo, a beneficio di famiglie e aziende.

Da tutto ciò si ricava che i “poveri” britannici in due anni ottengono un sostegno finanziario pari al 25,7% del PIL. Noi italiani “grazie alla generosa UE”, il 19,2%.

La differenza sono sei punti e mezzo di PIL. Che sulle dimensioni della nostra economia, corrispondono a circa 110 miliardi.

Ah dimenticavo. Tutto questo non include il munifico Recovery Fund. Da cui all’Italia arriveranno, secondo le stime più aggiornate… zero nel 2020, e 5 miliardi nel 2021.

Sono proprio da compatire, i poveri britannici, vero ?

Ma gli eurofili non demordono, e fanno notare che il Cancelliere dello Scacchiere del Regno Unito, Rishi Sunak, sta rilasciando dichiarazioni in merito alla necessità, nel prossimo futuro, di aumentare le tasse per ridurre il debito pubblico contratto in questo periodo.

E allora – dicono i baldi eurofili – dove sta il vantaggio di avere la sterlina invece di usare l’euro, se poi le tasse sei comunque costretto ad aumentarle ?

Il vantaggio invece c’è, è enorme, ed è molto semplice spiegare in che cosa consiste.

Sunak dice le stesse cose che dice Gualtieri: che i deficit in futuro dovranno scendere perché il debito pubblico è diventato “troppo alto”.

Il punto è che il debito britannico è in sterline (valuta che il Regno Unito emette e controlla), il debito italiano è in euro (valuta che l’Italia non emette e non controlla).

Gualtieri quindi “grazie” all’euro subisce un vincolo vero. Sunak afferma che il vincolo esiste, ma si sbaglia (o mente).

Cambia qualcosa, all’atto pratico ?

Sì, cambia moltissimo. In primo luogo perché fa parecchia differenza varare una stretta fiscale dopo aver immesso 110 miliardi in più nell’economia.

In secondo luogo, perché se Rishi Sunak riuscirà ad attuare quanto afferma (il dibattito politico è in corso, nel Regno Unito, e vedremo come si conclude) e quindi farà danni al suo paese, condurrà il suo partito alla sconfitta elettorale. Ne seguirà la sua rimozione dall’incarico e un cambiamento di politica economica.

Per Gualtieri le elezioni non sono invece un tema d’attenzione. Perché nell’Eurozona queste decisioni si prendono in conseguenza del “vincolo esterno” creato dall’euro, quindi “al riparo dal processo elettorale” (cit. Mario Monti), ovvero affidandosi “al pilota automatico” (cit. Mario Draghi).

Avete ancora voglia di compatire il Regno Unito ?

 

lunedì 12 ottobre 2020

Ideologia di ”sinistra” e ideologia “cristiana”

 

Le virgolette sono d’obbligo, perché qui parlo delle rispettive ideologie così come vengono praticate dalle più importanti istituzioni che ad esse si riconducono (a parole): non parlo, quindi, di come sono state originariamente concepite. 

Sia la “sinistra” che la “cristianità” si ergono a protettrici delle classi disagiate. Ma la loro finalità non è risolverne il disagio. Se lo facessero, eliminerebbero la loro stessa ragione d’essere.

Entrambe ritengono (o affermano) di aver ricevuto una forma di rivelazione: sono quindi intrinsecamente illiberali e antidemocratiche, perché in caso contrario autorizzerebbero gli adepti a porre in dubbio la rivelazione.

Entrambe ritengono che gli iniziati, il “clero”, debbano guidare il “gregge”, che deve essere illuminato dalla rivelazione e accettare la guida del “clero”. Non deve invece sviluppare forme di pensiero autonomo.

Vedono di conseguenza con scetticismo più o meno marcato, quando non con esplicita ostilità, il suffragio universale. Come può un’opinione condivisa dalla maggioranza del “gregge” prevalere su quanto gli “iniziati” ritengono necessario per guidare il “gregge” ?

Non stupisce che questi due flussi di pensiero si siano fusi così bene nell’ambito di organizzazioni politiche quali (ad esempio) il Partito Democratico italiano.

E ancora di meno stupisce che entrambe si ritrovino molto a loro agio con il pensiero europeista, anch’esso basato sul principio che un’élite illuminata debba guidare il popolo: non importa se contro l’opinione di quest’ultimo, perché il “gregge” non è in grado di identificare né quale sia il suo interesse, né tantomeno come debba essere perseguito.

 

venerdì 9 ottobre 2020

Austerità: la non soluzione di un non problema


L’economia italiana si trova in una situazione catastrofica in seguito all’ingresso nell’eurosistema e alle folli regole di funzionamento di quest’ultimo.

Situazione surreale ancor più che insensata. Per comprenderlo pienamente, riflettete in primo luogo sul fatto che l’ingresso nell’euro ha trasformato un debito in moneta nazionale (in realtà, una forma di emissione monetaria) in un debito in valuta straniera.

In altri termini, ha trasformato in un debito VERO qualcosa che prima non lo era affatto.

Creato senza alcuna necessità questo giogo finanziario, si è poi provveduto, soprattutto a partire dal 2011, a imporre regole di ricerca del pareggio di bilancio pubblico, che sono totalmente controproducenti per assicurare lo sviluppo dell’economia, e totalmente inutili allo scopo di risolvere il problema (creato dal nulla) del debito pubblico (in moneta straniera).

L’austerità imposta in un periodo di depressione economica, in cui il paese (come tutto il mondo occidentale) si è trovato in seguito alla crisi finanziaria mondiale del 2008, ha ottenuto il risultato di deflazionare la domanda, abbattere consumi e investimenti, tarpare il potenziale produttivo, e ovviamente NON ha ridotto (al contrario) il rapporto tra debito pubblico e PIL.

Si è creato un problema enorme dove non esisteva, e poi si sono adottati meccanismi che infliggono giganteschi danni all’economia pretendendo (senza minimamente riuscirci) di risolverlo.

Complimenti vivissimi ai vari Andreatta, Ciampi, Monti, Padoa Schioppa, Prodi. Neanche una guerra avrebbe creato all’Italia danni economici maggiori di quanti ne hanno generati loro.

 

lunedì 5 ottobre 2020

Inflazione: obiettivi “simmetrici”, come raggiungerli e come no

 

La Federal Reserve ha recentemente annunciato che da qui in poi interpreterà in modo “simmetrico” l’obiettivo d’inflazione. Significa che non punterà a raggiungere il 2% in ogni singolo anno, ma utilizzerà quel livello come obbiettivo per una media di più anni (quanti esattamente non è stato precisato).

In pratica, se ci sono stati anni con inflazione sotto il 2%, per esempio all’1%, ce ne potranno essere in seguito altri dove la Fed sarà “soddisfatta” di un’inflazione al 3% (detto altrimenti, non interverrà per ridurla).

Come sempre, la BCE dà segnali di muoversi con ritardo e lentezza, tendendo però ad allinearsi (si vedrà quanti anni dopo) con la posizione della Fed.

Il dibattito è interessante, ma anche alquanto surreale.

Parte infatti dal presupposto che le banche centrali siano in grado di manovrare l’inflazione al rialzo o al ribasso.

Questo era vero in passato, quando il livello dei tassi d’interesse era significativamente superiore a zero. Con i tassi al 3%, al 5%, al 7%, la banca centrale può spingere la domanda di beni e servizi reali riducendo il costo del denaro, o viceversa alzandolo.

Abbassare i tassi rende più convenienti credito al consumo, mutui, finanziamenti per investimenti industriali, e questo ha un impatto sull’economia reale.

Ma il mondo occidentale è caduto, a partire dalla crisi finanziaria mondiale del 2008, in una situazione di “trappola della liquidità”. La domanda di beni e servizi reali è caduta molto al disotto dell’offerta, l’inflazione è precipitata verso lo zero, e anche tassi d’interesse bassissimi o addirittura negativi non esercitano pressoché alcun impatto sull’economia.

Per questo il dibattito sull’obiettivo “simmetrico” d’inflazione è surreale. Nel contesto odierno le banche centrali NON governano l’inflazione. Prova ne è che l’obiettivo di “inflazione inferiore ma vicina al 2%” viene mancato dalla BCE ormai da otto anni consecutivi.

Nell’Eurozona, in particolare, riportare l’inflazione media al 2% implica un forte coordinamento tra politiche fiscali e politiche monetarie.

Tecnicamente la soluzione è molto semplice, addirittura banale.

In primo luogo la BCE deve, una volta per tutte, garantire esplicitamente i debiti pubblici dei vari paesi, sotto una condizione.

Quale condizione ? non l’esecuzione di “riforme strutturali” prescritte dalla UE, non determinati livelli di rapporto deficit pubblico / PIL o debito pubblico / PIL. Vanno buttati a mare il patto di stabilità e il Fiscal Compact.

L’unica condizione deve essere che i singoli paesi non spingano la loro azione di immissione di potere d’acquisto nell’economia, mediante la leva fiscale, al punto di aumentare l’inflazione in modo permanente (non per un anno o due) sopra il 2%.

Lo spazio di espansione fiscale non inflazionistica è enorme. Ed è quindi possibile innalzare fortemente il livello del PIL e dell’occupazione, nonché trasformare finalmente l’Eurozona in un’area economica che cresce e migliora le condizioni dei suoi cittadini, in misura omogenea in tutti gli Stati membri. La situazione di PRIMA dell’euro, in altri termini.

Tecnicamente è semplicissimo.

Politicamente no. Che è la ragione per cui da anni propongo il progetto CCF. Una via alternativa per raggiungere il medesimo (indispensabile) risultato.

 

sabato 3 ottobre 2020

Perché la UE non funziona

 

La UE, e a maggior ragione l’Eurozona, non sono in grado di sviluppare politiche economiche funzionali perché è impossibile conciliare visioni diametralmente opposte in merito ai problemi che affliggono una parte importante degli Stati membri.

L’Italia, in particolare, aderendo all’euro si è sottoposta a un forma particolarmente accentuata di vincolo esterno, ha adottato da metà degli anni Novanta in poi politiche deflattive, si è privata della flessibilità del cambio e della possibilità di finanziare in moneta propria le necessarie politiche anticicliche, ha trasformato “debito” pubblico in moneta nazionale (un non-debito, in realtà) in debito pubblico in moneta estera (debito vero).

I paesi nordeuropei e in particolare la Germania esprimono con la massima fermezza (se in buona o in malafede possiamo discuterne, ma non rileva più di tanto) la convinzione che tutto possa essere risolto con le “riforme strutturali” di cui si parla da quasi dieci anni, e che si sono in effetti applicate – Legge Fornero, Jobs Act – senza risolvere nulla, anzi peggiorando gravemente la situazione.

Nello stesso tempo, una parte preponderante dell’opinione pubblica tedesca rifiuta di prendere in considerazione l’idea che l’attuale assetto la avvantaggi. Al contrario, si preoccupa di problemi inesistenti quali l'espansione dei saldi Target2, o di altre inefficienze quali i tassi d’interesse negativi che penalizzano il risparmiatore e il pensionato tedesco.

Quest’ultimo non è un problema inventato; ma è la conseguenza di politiche adottate dalla BCE per tenere in qualche modo unito un assetto disfunzionale e quindi costantemente a rischio di rottura.

L’accordo sul Recovery Fund, nella mente di qualche europeista in buona fede (altrimenti detto, di qualche illuso) dovrebbe essere un passo nella direzione giusta, verso una UE solidale, keynesiana, capace di contrastare (invece che di enfatizzare) gli effetti prociclici di eventi esogeni quali il Covid.

In realtà il Recovery Fund non piace a nessuno, non è affatto certo che parta, la dimensione è risibile rispetto ai problemi che dovrebbe gestire, è in effetti uno strumento di ulteriore controllo e potenzialmente di ulteriore disciplina dei paesi in difficoltà, è una mossa di propaganda per far credere all’opinione pubblica che siano in arrivo fantastiliardi gratis.

Molti stanno aprendo gli occhi, ma molti altri, sicuramente, continueranno a credere alla favole.

La politica è fatta di mediazione e compromesso, non c’è dubbio. Ma la mediazione è utile se spinge la politica ad adottare scelte che conducono, magari imperfettamente, magari parzialmente, nella direzione giusta.

Invece siamo sempre allo stesso punto. Si decide di partire da Milano tutti insieme in pullman, ma metà dei passeggeri ha necessità di andare a Venezia, l’altra metà a Torino.

Arrivati a Verona, di fronte alle proteste sempre più vivaci di chi deve andare a Torino, gli altri “come compromesso” accettano di andare… nella stessa direzione, ma un filino più lenti.

L’errore è viaggiare tutti insieme.

Il compromesso accettabile è risolvere le disfunzioni del sistema evitandone la rottura. La spaccatura dell’euro è tecnicamente molto complessa: la via sensata è il progetto Moneta Fiscale / CCF. Ridare flessibilità e autonomia agli Stati evitando deflagrazioni.

Questa è una soluzione. Quelle che la UE mette sul tavolo continuano a non esserlo.