venerdì 29 novembre 2019

Conchiglie, reddito e risparmio


Qualche giorno fa mi sono trovato a dover spiegare che il deficit pubblico accresce non solo IL REDDITO PRIVATO, ma anche IL RISPARMIO PRIVATO.

Il mio interlocutore accettava il concetto che la spesa netta dello Stato – quindi il suo deficit – crea, certamente, reddito per qualcuno: il destinatario degli acquisti pubblici di beni e servizi, il pensionato, il dipendente pubblico che percepisce uno stipendio. Ma questo maggior reddito – obiettava - poi viene in buona parte speso. Quindi non è tutto risparmio: dipende dalla propensione a spendere.

Qual è il passaggio mancante, in questa argomentazione ?

Il passaggio mancante è che la spesa effettuata dal beneficiario dell’intervento statale, a sua volta, accresce il reddito DI QUALCUN ALTRO. Se pago un dipendente pubblico in più e questo spende tutto lo stipendio al supermercato, il suo risparmio netto sarà pari a zero, ma il supermercato sosterrà maggiori costi (quindi creerà maggior reddito e risparmio) a vantaggio dei suoi fornitori e dipendenti, e per il residuo aumenterà i suoi utili – che sono, anche quelli, una forma di risparmio.

Fornitori, dipendenti, supermercato a loro volta spenderanno, il che creerà reddito ad altri – eccetera, a catena.

Forse è più facile spiegarlo così. Immaginiamo che uno Stato abbia il potere di creare dal nulla conchiglie, che sono la moneta in uso in quella economia.

Spende conchiglie a deficit, e quindi immette – poniamo – dieci conchiglie in più nell’economia.

I percettori delle conchiglie se le passeranno di mano una, dieci, cento, mille volte per effettuare le loro transazioni. Ma le conchiglie non scompariranno mai. Ce ne saranno SEMPRE dieci in più rispetto al caso in cui lo Stato non avesse speso conchiglie a deficit.

E quelle dieci conchiglie saranno, IN OGNI MOMENTO, un incremento del risparmio di qualcuno. Un accrescimento del risparmio privato sotto forma di conchiglie, quindi sotto forma di moneta.

Se la moneta può essere creata fiat, dal nulla, vale quanto sopra. Sempre e comunque.

martedì 26 novembre 2019

Limitare il debito si può: con i CCF


Il problema dell’Italia nell’ambito dell’eurosistema, ridotto al nocciolo, è semplice.

C’è necessità di politiche fiscali espansive, per rilanciare la domanda interna e per ridurre le tasse.

Ma nello stesso tempo, non si può fare conto sulla continua espansione di un debito pubblico espresso in moneta che lo Stato italiano non controlla, non gestisce e non emette - l’euro.

Quel debito – che ha una definizione precisa, contenuta peraltro nei trattati e nei regolamenti che governano l’eurosistema: il Maastricht Debt – deve smettere di crescere in valore assoluto, e deve ridursi in proporzione al PIL.

Lo Stato italiano deve quindi disporre di un’attività finanziaria, di un titolo, emesso e gestito in autonomia, che abbia valore ma che non rientri nel Maastricht Debt – in quanto non deve essere rimborsato cash e non deve essere collocato sul mercato dei capitali.

I Certificati di Compensazione Fiscale, in forma abbreviata CCF, hanno tutti i requisiti e tutte le valenze necessarie.

Se ci sono soluzioni diverse, sono più che felice di ascoltarle e di discuterle.

Sta però di fatto che la crisi dei debiti sovrani ha investito l’Italia otto anni fa; che l’Italia non ne è mai uscita; e che strade alternative ai CCF, concretamente percorribili, non ne ho sentite proporre da nessuno.

sabato 23 novembre 2019

CCF: uscire dal vicolo cieco


Non abbiamo intenzione di rompere l’euro. NON perché abbiamo cambiato idea sulle sue disfunzioni. Ma perché la rottura è troppo controversa (politicamente) e complicata (operativamente).

I CCF risolvono le disfunzioni dell’euro senza necessità di romperlo.

I CCF rilanciano domanda interna e competitività delle aziende, senza incrementare il Maastricht Debt (quello che deve essere rimborsato e rifinanziato, e che quindi è fonte di potenziale instabilità).

I CCF possono essere utilizzati per qualsiasi tipo di azione espansiva: integrazione dei redditi, spesa sociale, investimenti pubblici, riduzione del cuneo fiscale, ecc.

Con i CCF il Maastricht Debt smette di crescere e si riduce in percentuale rispetto a un PIL in ripresa. QUESTA è la miglior tutela possibile anche per i creditori internazionali.

Il rilancio della domanda permette inoltre di uscire dalle attuali politiche monetarie di tassi bassissimi o negativi, che penalizzano pesantemente i risparmiatori.

Un sistema stabile si ottiene solo risolvendone le disfunzioni. L’eurosistema oggi è instabile. Il sistema che si ottiene introducendo i CCF elimina i fattori di instabilità.

lunedì 18 novembre 2019

Che senso ha il debito pubblico in moneta propria ?


Nei giorni scorsi, ho ampiamente dibattuto su twitter, con vari interlocutori, in merito a un’affermazione più volte formulata in articoli di questo blog (vedi ad esempio qui).

L’affermazione è che se uno Stato emette la propria moneta, può finanziare i propri deficit pubblici direttamente con quella, e non collocando titoli di debito. Se esagera, naturalmente, può creare livelli eccessivi di inflazione. Ma questo avverrebbe anche finanziando a debito.

Mi è stato domandato più volte come mai, se questo è vero, anche gli Stati che emettono la propria moneta (praticamente tutte le economie avanzate, esclusa l’Eurozona, e la grandissima maggioranza delle altre) comunque collocano titoli di debito denominati in moneta nazionale.

Le mie considerazioni in merito sono le seguenti.

I titoli del debito pubblico svolgono due funzioni. La prima è di permettere alla Banca Centrale di effettuare operazioni – comprandoli e vendendoli – che ne fanno salire e scendere il valore, e quindi, di riflesso, scendere e salire i tassi d’interesse. Di conseguenza, sono una leva per regolare i tassi di mercato, che è una delle principali azioni di politica monetaria demandata alla Banca Centrale stessa.

La seconda, è che i cittadini di un paese che ha un deficit pubblico, se questo deficit non è assorbito da saldi commerciali passivi con l’estero, si ritrovano un incremento del proprio risparmio finanziario netto. E’ quindi un servizio interessante, proposto alla cittadinanza, offrire l’impiego del risparmio a un tasso modesto ma sicuro, in uno strumento d’investimento garantito dalla potestà di emissione nazionale della moneta.

E’ importante notare che il flusso degli eventi è invertito rispetto a quanto appare intuitivamente. Lo Stato non ha bisogno di collocare titoli per finanziare il deficit. Crea risparmio privato con il suo deficit, e poi offre titoli come forma di impiego del risparmio.

Va inoltre aggiunto che le due funzioni sopra descritte potrebbero essere svolte anche consentendo ai cittadini di depositare il loro risparmio presso la Banca Centrale, e regolando i tassi offerti sui loro depositi. Già oggi, in effetti, questa possibilità viene concessa, ma solo alle banche. Nulla impedirebbe di proporre la stessa cosa anche alle aziende non bancarie e ai privati cittadini.

Perché allora emettere titoli di Stato ?

Vedo due spiegazioni. In primo luogo, il mercato finanziario è ben felice che esista un grande mercato di titoli su cui conseguire commissioni di collocamento e svolgere attività di trading. Per le grandi istituzioni finanziarie, è business. E sicuramente queste istituzioni hanno parecchia influenza sui ministeri economici e sulle banche centrali.

In secondo luogo, all’establishment piace una cosa chiamata “vincolo esterno”. Lanciare strali e ammonimenti, nonché far passare determinate scelte politiche, perché “il debito pubblico rischia di andare fuori controllo” suona molto convincente (a chi – ma sono ancora parecchi – non ha capito la natura del debito pubblico in moneta propria).

Molto più difficile sarebbe persuadere la pubblica opinione che si stanno creando pericoli perché “i depositi presso la Banca Centrale crescono”.

Poi, c’è anche chi per dar corpo al “vincolo esterno” ha trovato una via perfino più efficace. Trasformarlo in una moneta straniera chiamata euro. Ma questa è un’altra (non tanto altra, diciamo collegata…) faccenda.


sabato 16 novembre 2019

Presentazione proposta di legge CCF - 2 dicembre

Si terrà alle 14.30 di lunedì 2 dicembre, presso il Palazzo dei Gruppi Parlamentari della Camera dei Deputati (sala Tatarella), a Roma.


Qui la video-presentazione di Pino Cabras.



giovedì 14 novembre 2019

domenica 10 novembre 2019

Garanzia del debito pubblico italiano nell’ambito del progetto CCF


Uno scambio di commenti con l’amico Paolo Canziani è utile a chiarire ulteriormente il contenuto di questo recente post.

L’emissione dei CCF incrementerà lo spread e i tassi d’interesse dei BTP, teme Paolo, perché i CCF assorbono una parte della “garanzia implicita” dei CCF: altrimenti detto, assorbono una parte dei flussi fiscali futuri.

E’ una preoccupazione comprensibile. Ma è infondata.

E’ infondata perché la garanzia implicita – ma anche esplicita – dei BTP è un’altra. E’ la capacità del sistema economico di generare crescita del PIL e del gettito fiscale, in misura tale da produrre una costante diminuzione del rapporto Maastricht Debt / PIL. Dove il Maastricht Debt – come da definizioni adottate nei trattati e nei regolamenti UE – è il debito che deve essere rimborsato cash, ed essere costantemente rifinanziato.

Immettere potere d’acquisto nel sistema economico mediante emissione di CCF produce una ripresa dell’economia e della competitività delle aziende, il che accresce il PIL, e anche il gettito fiscale lordo.

Partito il progetto CCF, ai fini della garanzia dei BTP e dei mercati che li sottoscrivono, tutto quello che lo Stato italiano deve fare è impegnarsi a far scendere costantemente il rapporto Maastricht Debt / PIL. Oggi i mercati constatano che questa diminuzione non si verifica, e temono quindi che ne possa conseguire, presto o tardi, un default o una ridenominazione (da euro a “nuove lire”) del Maastricht Debt italiano.

Il progetto CCF consente di azzerare questo rischio, grazie da un lato alla ripresa del PIL, dall’altro al fatto che l’immissione di potere d’acquisto supplementare nell’economia avverrà emettendo CCF, non ulteriore Maastricht Debt.

Quello che casomai potrà verificarsi è un eccesso di emissione dei CCF, tale da allungare (in pratica) i tempi per il loro utilizzo (via via che decorre il periodo di due anni, contemplato dal progetto, tra loro emissione e loro impiegabilità come sconti fiscali).

Quest’ultimo scenario comunque (1) è del tutto improbabile, dato il basso livello previsto per il rapporto CCF / gettito fiscale lordo, e (2) comporterebbe al massimo un deprezzamento di valore dei CCF, senza che venga meno la riduzione del rapporto Maastricht Debt / PIL: quella che interessa ai mercati.


giovedì 7 novembre 2019

L’unico timore dei mercati è la rottura


Lo ribadisco una volta di più a tutti i timorosi. L’Italia, adottando il progetto CCF nei termini qui sintetizzati, non ha niente di cui preoccuparsi per quanto attiene alla reazione dei mercati finanziari.

Il timore dei mercati, o per essere più precisi dei creditori, si riassume in quanto segue. Nel rischio di breakup dell’euro (che comporterebbe di essere rimborsati in moneta svalutata) o di default (ti rimborso comunque euro, ma in quantità inferiore a quanto mi hai prestato).

Il progetto CCF permette di conseguire, contemporaneamente, due obiettivi.

Uno, evitare il breakup.

Due, ridurre costantemente nel tempo il rapporto tra Maastricht Debt (debito pubblico da rimborsare cash) e PIL.

Va affermato a chiarissime lettere, senza nessuna ambiguità, che questi due risultati saranno ottenuti, in quanto si introduce nel sistema economico lo strumento che consente di far ripartire l’economia senza incrementare il Maastricht Debt e senza rompere l’euro.

Fatto questo, problemi con i mercati non ce ne saranno, di alcun tipo.

I CCF non sono un ponte verso la rottura semplicemente perché risolvono le disfunzioni del sistema, e sgombrano il terreno da un rischio che, alternativamente, è sempre presente e attuale.

Tutto ciò non va venire meno nessuna delle critiche formulate in passato nei confronti del sistema euro.

Ma se è stato costruito un ponte pericolante, la strada migliore non è necessariamente farlo esplodere.

Se c’è la possibilità di eliminarne i difetti strutturali, con gli appropriati interventi ingegneristici, questa è la strada migliore.

In qualche caso è possibile, in altri no.

Nel caso dell’eurosistema, introducendo i CCF, l’eliminazione dei difetti strutturali è possibile e anche (tecnicamente e operativamente) semplice.

lunedì 4 novembre 2019

CCF e debito: un equivoco da chiarire


Nel formulare il progetto CCF, abbiamo illustrato sotto quali condizioni si verifica un “rientro perfetto”, ovvero una generazione di maggior gettito che copre esattamente l’ammontare degli sconti fiscali, via via che questi diventano utilizzabili.

Le trovate esposte qui a pagina 15. Un ulteriore chiarimento è però necessario (e il medesimo documento peraltro lo evidenzia a pagina 14).

Non si deve necessariamente verificare una perfetta corrispondenza tra maggior gettito fiscale lordo e ammontare degli sconti fiscali utilizzati. E’ possibile, in un particolare anno dove se ne ravvisi l’opportunità o la necessità, emettere più CCF di quanti ne vengano utilizzati.

Va ricordato, innanzitutto, che il progetto prevede di arrivare a emettere, nel terzo anno dall’avvio, 100 miliardi di CCF. Data la dilazione temporale di due anni tra emissione e utilizzabilità (vedi sempre a pagina 15 del documento), l’utilizzo dell’importo massimo di 100 miliardi non si potrà verificare prima del quinto anno. E prima di allora, in effetti, ci sarà sempre un maggior ammontare di emissioni rispetto agli utilizzi.

L’equivalenza tra emissioni e utilizzi è prevista, nello scenario base, solo dal quinto anno in poi.

Ma se l’uguaglianza tra maggior gettito lordo e CCF utilizzati non si verificasse, a causa di un andamento dell’economia meno dinamico del previsto, nulla impedisce, anche successivamente, di incrementare le emissioni annue di CCF al di sopra del livello degli utilizzi.

Le previsioni più recenti indicano, nel momento in cui gli utilizzi raggiungeranno il livello di 100 miliardi, che le entrate lorde della pubblica amministrazione si attestino a oltre 900 miliardi.

Il rapporto 100 / 900, pari all’11% circa, è decisamente basso e indica chiaramente che non potrà sussistere il dubbio che giungano a utilizzo, in un particolare anno, quantitativi di CCF tali da rendere, in pratica, “vischioso” o difficile usarli tutti. Questo assicura un valore del CCF molto vicino a quello dell’euro.

Se si verificasse un grosso ammanco di entrate fiscali dovuta a una congiuntura economica fortemente negativa, ammanco per esempio pari a 30 miliardi, questo potrebbe essere gestito senza problemi incrementando le emissioni di CCF.

Due anni dopo, il rapporto invece di essere 100 / 900 sarà, a parità di condizioni, 130 / 900. Non l’11% ma il 14,5% circa. Nella sostanza, non cambia nulla.

In altri termini, il progetto CCF ha in sé elementi e opzioni di flessibilità tali da gestire senza alcuna ansia sfasamenti o ammanchi dell’ordine anche di decine di miliardi.

Confrontiamo tutto questo con la situazione attuale. Oggi il governo italiano è privo della capacità di adottare adeguate azioni anticicliche, nonostante l’economia soffra da DODICI anni di una pesante depressione da domanda.

Non solo: aggiustamenti minimi, dell’ordine di pochi miliardi o di pochi decimi di punto di PIL, costringono i governi ad acrobazie e salti mortali, per partorire alla fine provvedimenti nella migliore delle ipotesi assolutamente non risolutivi, e spesso, in realtà, controproducenti.

Tutto questo, mentre la soluzione del problema e l’uscita della crisi sono veramente a portata di mano.

Servono solo determinazione e idee chiare.


sabato 2 novembre 2019

Soluzioni semplici e problemi complessi


Una delle frasi preferite dei sostenitori dell’establishment politico-finanziario, tra i quali anche e soprattutto i loro economisti di riferimento, è che “non ci sono soluzioni semplici a problemi complessi”.

L’economia è un disastro da vent’anni ? l’euro non funziona ? le regole di governance dell’eurosistema sono un cumulo di assurdità ?

Ma no, non dovete pensare che le cose vadano male per questo ! L’intervento necessario a rimetterle in sesto non può essere semplice e rapido. Non sapete che c’è la stagnazione secolare ? il cambiamento climatico ? l’intelligenza artificiale che prende piede ? l’emergere di nuovi modelli di sviluppo ?

Qualcuno che aveva credenziali scientifiche un po’ più solide di questi signori, John Maynard Keynes, spiegava invece nel 1930 che la situazione era un po’ diversa.

Si stava guidando un’automobile che si è bloccata. Quando accade, molti si chiedono se l’auto vada completamente riprogettata, o addirittura se per qualche motivo un qualsiasi tipo di auto non sarà più in condizioni di funzionare. La verità, invece, è che si è scaricata la batteria.

Era vero allora, ed è vero oggi. Immettere potere d’acquisto in un sistema economico che sta viaggiando nettamente al di sotto del suo potenziale, e dove l’inflazione peraltro è troppo bassa (ce lo ripete ogni giorno la BCE stessa) è tecnicamente molto semplice.

La soluzione è semplice perché il problema, sul piano operativo, E’ SEMPLICE. Addirittura elementare.

La non-soluzione è semplicemente dovuta alla volontà di strumentalizzare la crisi, per conseguire trasferimenti di reddito, ricchezza, e, soprattutto, potere.

E’ la dimensione politica del problema a non essere ancora stata risolta. L’analisi tecnica e l’identificazione delle soluzioni da attuare è quasi banale.

Quando sentite dire, riguardo alla crisi economica, che non esistono soluzioni semplici a problemi complessi, sappiate che queste parole le sta pronunciando una persona alquanto confusa.

Oppure in malafede.